Capitolo 4: Minho recognized you

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-Oggi io e te andiamo ad una festa-.

-Scordatelo, io da qui non mi muovo-.

-Non era un invito, Felix. Noi andiamo, punto-.

Lo scambio di battute era stato veloce, ma alla fine erano andati davvero. Più tardi di quanto Minho avrebbe voluto –nonostante Felix avesse protestato dicendo che era stato velocissimo, ci aveva messo davvero un'eternità. Anche se, prendendo in considerazione il fatto che era riuscito a tirarlo fuori da uno dei suoi periodi di reclusione sul tetto di casa sua solo con lo scopo di venire a fargli da babysitter, avevano raggiunto un grande risultato.

Minho sapeva cosa il suo migliore amico stava passando. Sapeva quanto l'improvvisa educazione della sua Stella lo stesse disorientando, e quanto si stesse sentendo male al pensiero di ritornare nel ciclo infinito di sofferenza da cui diceva orgogliosamente di essere uscito anni prima. Lo sapeva, e non era proprio che non gliene fregasse nulla.

Gli sembrava di assistere ai drammi dell'amico da dietro una parete di vetro: vedeva la sofferenza dipinta sull'altro volto, ma non lo sentiva piangere, non sentiva con quanta forza si conficcasse a volte le unghie nei palmi per non scoppiare. E preferiva concentrarsi sui suoi, di problemi. Su Jisung che ancora si faceva vedere in giro con quella ragazza, alla verifica di matematica che incombeva su di lui come un presagio di morte, a sua nonna che continuava a rivolgergli sguardi grondanti disapprovazione ogni volta che passava a trovarla. Sapeva che stava sbagliando, certo che lo sapeva, ma ogni volta che si trovava in compagnia del suo amico, far finta di niente e parlare di sé e di quello che gli stava succedendo era anche troppo facile. E magari a volte si sentiva una merda, ma continuava a ripetersi che se lui non gli diceva nulla, allora doveva andare tutto bene. Che, per inciso, era quello che si stava ripetendo anche in quel momento, mentre attraversava le arcate del portone di quella casa e si ripeteva che quella volta sarebbe stato tutto diverso, perché quella non era la casa di un suo compagno di classe qualunque: sul campanello c'era il cognome di Jisung, che aveva scoperto essere Han. Perché diavolo, si chiese chiudendosi il portone alle spalle e trascinando avanti l'amico, anche solo il suono del suo nome nella sua testa doveva fargli salire i brividi fino alla base della nuca?

L'atmosfera era la solita, con tutte le feste di quel tipo che aveva visto non si aspettava nulla di diverso. Era l'aspettativa che lo stava ammazzando: l'ansia sottile che non era altro che la parte di lui che non era preparata al possibile incontro con il padrone di casa, che egli fosse in dolce compagnia oppure no. Probabilmente, fu per quel motivo che dopo poco sentiva a malapena le esclamazioni di Felix, che tra le altre cose gli stava dicendo che era ormai gonfio come una damigiana. L'unica cosa che voleva era perdere i sensi, magari, così non avrebbe dovuto affrontare Jisung semmai se lo fosse trovato davanti. Eh sì che c'era voluto andare lui.

A dir la verità, quando a scuola si era sparsa la voce che Jisung organizzava una festa, all'inizio avrebbe voluto portarci sia Jeongin che Felix, additando la scusa che per una cosa del genere avrebbe avuto bisogno di sostegno doppio. Ma poi era successa quella cosa di Felix che si era chiuso in meditazione per più di una settimana, e per una volta non c'era stato bisogno del genio della lampada perché lui facesse ciò che poteva, al meglio delle sue possibilità. A volte succedeva ancora, insomma.

Era contento che il suo migliore amico fosse lì con lui. Era l'unico in grado di trattenerlo, di frenarlo quando cominciava a diventare davvero troppo da gestire per chiunque altro. Almeno, di solito ci riusciva. Quella volta, sembrava proprio che Felix avesse dovuto chiamare i rinforzi.

Minho non aveva registrato molto, tranne due braccia forti che lo avevano afferrato dall'altro lato rispetto a quelle più sottili che già lo sorreggevano, e la superficie morbida del divano sul quale era stato letteralmente gettato. E la chioma blu del ragazzo accanto a lui: certo, quella sarebbe stata difficile da mancare.

Quando riconobbe Jisung, Minho credette seriamente di rischiare l'attacco cardiaco, e capì che non sarebbe mai stato prodotto abbastanza alcol per lui da bere che avesse potuto placare il batticuore che la presenza dell'altro ragazzo gli provocava. Per cui, c'era solo una cosa da fare che mostrasse i suoi veri sentimenti.

Minho si alzò precariamente in piedi, salì altrettanto precariamente sul tavolo più vicino, e cominciò a cantare quella che sperava sarebbe suonata come Single Ladies di Beyoncè.

Non era poi andato così male: diversi ragazzi, ubriachi come cosacchi, si erano uniti al suo canto, e tra loro aveva riconosciuto diversi compagni di scuola. Tutto era cominciato a precipitare quando lui aveva voluto gettarsi su di loro e si era aspettato che loro lo prendessero al volo.

Era facile prevedere che così non sarebbe stato; non era facile prevedere che sarebbe finito in braccio a Jisung. E Minho, che in quel momento non sapeva neanche quasi come si chiamava, figurarsi mettersi a fare dei calcoli di statistica, risolse il problema saltando immediatamente giù. Si sarebbe anche girato per non parlargli mai più, ma proprio in quel momento una fitta gli colpì le tempie e lo costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, la figura di Jisung che lo guardava con un sopracciglio alzato cominciava a tingersi di blu, e dipingersi a tempera dorata di stelle. E giustamente, ritenne opportuno mettersi ad urlare come una sirena.

Minho registrò confusamente la figura di Felix che entrava di corsa nella stanza, con un altro ragazzo al seguito, richiamato dai suoi stridii, e che come tutti gli altri si teneva accanto alle pareti, capendo che stava succedendo qualcosa che non sarebbe dovuto essere interrotto. E lui capiva cosa fosse, lo capiva davvero, e la sua parte razionale gli diceva semplicemente di darsela a gambe levate, perché se era stato talmente stupido da non riconoscere la sua Stella quando lo aveva incontrato la prima volta, poteva solo immaginare cosa avrebbe combinato se lo avessero lasciato una vita insieme a lui.

E quella cosa lo stava spaventando a morte, cosa avrebbe dovuto fare ora, come ti comporti quando il ragazzo che hai cercato di conquistare per settimane, in preda un po' alla noia un po' a qualcosa che neanche tu riesci ad identificare, forse orgoglio forse vero interesse, improvvisamente non solo pare ricambiarti, ma pare essere l'unico che lo farà nel corso della sua intera vita?

Minho non voleva che quella fosse tutta una costrizione, non voleva dover stare per forza con uno sconosciuto e dovere poi piangere sulla sua tomba, voleva essere ancora libero e ridere e bere in giro e provarci con chiunque trovasse un po' più carino del solito-

-ma Jisung era così bello. Così bello, e mentre gli prendeva il viso tra le mani con l'espressione più seria che Minho gli avesse mai visto dipinta in volto e gli premeva una prima serie di baci rapidi sulle labbra, il ragazzo pensò che questa cosa si poteva provare. Questa cosa che gli sembrava come avere una cornetta in mano e sapere che dall'altro lato del filo c'è qualcuno che ti ascolta sempre e comunque... Qualcosa dentro di lui gli suggeriva di avvolgere le braccia intorno al collo di Jisung e sparire lì. Non sapeva da quale parte di sé provenisse, ma come idea suonava fattibilissima.

E così fece.

YOUNGBLOOD - minsung.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora