Capitolo 10

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Le stradine dell' ospedale " Saint Mary" erano avvolte nel silenzio.

Si percepiva solo il rumore delle scarpe di Lux a contatto con il grigio asfalto.

Piccoli lampioni diffondevano di tanto in tanto una luce flebile, soffusa nel buio della notte.

La ragazza trascinava i piedi producendo uno strano rumore, facendo avanzare con goffaggine le gambe.

Sul suo viso lentigginoso regnava la preoccupazione per il fratello.

Le sopracciglia biondine erano inclinate verso il basso, formando lievi rughe orizzontali sulla fronte.

Gli occhi cerulei erano leggermente spalancati, assumendo un aria dolce, quasi tenera, e le tumide labbra avevano una piega rigida, ferma, senza emozioni.

Di tanto in tanto sfregava fra loro le piccole mani, strette l' una nell' altra davanti al suo ventre, cercando di produrre calore per scaldarsi.

Si portò  improvvisamente i lembi del cappotto vicino al lungo collo, tirando su la metallica cerniera.

Rabbrividì leggermente quando la pelle venne a contatto con la parte fredda dell' indumento, mugulando in dissenso.

Le guancie scarne, si coloravano via via di un rosso sempre più intenso, abbandonando quel colorito rosa pallido, quasi biancastro.

Il sonno continuava a  bussare alla sua porta,  ma lei resisteva, perché sapeva che quella notte i pensieri sarebbero riusciti in ogni caso a reprimere, in modo caregorico, la sua stanchezza.

Tutto ispirava la pace al " Saint Mary Hospital", quella pace che coinvolge tutti i sensi, quella pace capace di rendere quiete le anime tormentate.

Nessun rumore, nessuna voce nel fitto buio della notte.

Il nulla.

Lux voleva abbandonare il tormento, i rimorsi. Tutto.

Lasciare al buio della notte consigliera tutto il male, tutti i problemi, risplendendo come nuova al mattino, sotto le chiare luci dell' alba.

Si sedette su una panchina in legno, resa umidiccia dal leggero strato di brina che la ricopriva, puntando lo sguardo verso il cielo terso, ma costellato di stelle.

Sembravano tutte uguali. Tutti piccoli puntini luminosi nel cielo, che brillavano incessanti, facendo compagnia al sottile spicchio di luna che brillava incontrastata nella volta celeste.

Eppure ognuno di quei piccoli corpicini, erano diversi, ognuno aveva la su storia, ognuna brillava con luce propria in modo diverso dalle altre.

Lei le guardava una ad una cercando un aiuto, in quelle stelle che tanto invidiava.

Invidiava la loro luce. Invidiava il loro modo di fare.

Tutte le sere, con la stessa costanza, erano lì su, in cielo, nonostante tutto e tutti.

Resistevano coperte dalle nuvole, dalle intemperie, ferme su nel cielo come piccole lucerne.

Luccicavano incessanti, senza mai perdere il loro bagliore, la loro bellezza.

Amate da tutti , ma considerati da pochi.

Uno spettacolo gratuito, il più bello fra tutti che ci dimentichiamo di apprezzare.

Teniamo sempre lo sguardo fisso sul nostro naso senza mai voltare a guardare il cielo, di una bellezza pura, idilliaca.

Ci dimentichiamo la nostra origine e il nostro approdo sicuro, a cui non abbiamo scampo, veniamo dal cielo e inevitabilmente vi ritorneremo. Tutti.

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