𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝐈

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— bambino mai amato :

Tutti noi adoravamo le canzoncine per andare a dormire: ogni sera, prima di chiudere gli occhi aspettavamo che la nostra mamma venisse a cantarcela e senza non potevamo stare, quasi come fosse la nostra piccola droga per poter stare bene; ci sentivamo protetti e al sicuro da ogni tipo di pericolo, perché c'era quella melodia che ci cullava ogni sera, tutti i giorni per tanti anni. Ebbene, Jongho in vita sua non aveva mai sentito una sola ninna nanna cantata dalla sua mamma, la quale sembrava de testarlo troppo, quasi lo disconosceva come figlio, neanche fosse stata la feccia dell'umanità. Fu proprio con quel ricordo che Jongho si sveglio su delle scale il cui inizio e fine erano sconosciuti, accusando un brutto mal di testa, forse a causa della sua improvvisa caduta, pensando fosse stava più leggera dato il suo sonno tranquillo, evidentemente aveva preso una brutta botta. Si assicurò che non fosse nulla di così grave, prima di mettersi sulla sue gambe, facendo un giro su se stesso in quel grande gradino, l'incontro tra una scala verso il basso e una verso l'alto.

Una melodia dolce arrivò alle sue orecchie, sembrava proprio una ninna nanna, una per quei bambini piccoli e indifesi, quelli che si aveva paura a lasciarli da soli nella penombra della loro cameretta, troppo delicati per essere sfiorati. Jongho non capiva da dove provenisse, difatti si guardò intorno scrupolosamente senza mai captare la sua origine, finché dalla punta in alto delle scale, una figura attirò la sua attenzione, ingoiata da quella luce bianca tanto fastidiosa agli occhi. Jongho dovette comprire i suoi occhi con la mano per non rischiare di diventare cieco, mentre dei passi rimbombavano come il ticchettio delle lancette di un orologio. Portava qualcosa in mano, o almeno Jongho riuscì a dedurre questo, dato che qualcosa sembrava posto tra le mani a forma rettangolare in una mano e nell'altra qualcosa che si identificò come un carillon. "Ecco da dove veniva quella canzoncina" si disse prima che fosse bruscamente interrotto.
«Non è bella? Per essere una ninna nanna qua dentro, e molto carina» disse la voce di quell'individuo. Per un momento Jongho si chiese se tutti gli alter ego avessero una voce così. Non gli era servito tanto per capirlo, perché una volta di fronte a sé notò la mascherina e il cappello neri.

«Sembra molto carina, effettivamente per provenire da un luogo così orrendo» commentò allora il ragazzo non distogliendo mai lo sguardo da quel carillon

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«Sembra molto carina, effettivamente per provenire da un luogo così orrendo» commentò allora il ragazzo non distogliendo mai lo sguardo da quel carillon. Lui non ne aveva mai avuto uno, ma credeva che da piccolo molto probabilmente lo avrebbe adorato.
«Sì, infatti. Sai, una signora dai capelli corti e scuri; bassina e vestita di verde, me lo ha regalato insieme ad un vecchio album di fotografie. È avvenuto recentemente, la donna si disperava al pensiero di aver perso suo figlio più piccolo, un certo Choi…»
«…Jongho? Choi Jongho per caso ?»
«Che strana combinazione, non trovi Jongho» rise quella figura non smettendo un secondo di muoversi in quello spazio ristretto, risultò ancora più antipatico alle orecchie del giovane, già abbastanza nervoso.
"Non ha ancora capito che so del suo inganno" pensò Jongho, mettendosi a braccia conserte.
«Io un paio di giorni fa facevo un giro per Sanghwa, incontro una donna che voleva vendermi delle cose che non le servivano, di suo figlio, e poi mi trovo stranamente qui, insieme a lui. Il figliol prodigo; colui che ha abbandonato casa.»

«Come tu di certo sosterrai: ho fatto bene ad andare via, e in questa storia non c'è nessun ritorno a casa. Non oserei fare visita ai miei ora neanche morto o sotto possessione tua, per esempio.»
«Mia? No, Jongho. Lo hai detto anche tu non molto tempo fa, che nessuno doveva avere a che fare con te, che non avresti mai aperto bocca con degli sconosciuti e che avresti alzato delle barriere che ora come ora sono crollate. Non ho intenzione di possedere una persona apatica come te.»
«Hai ragione, probabilmente ero asociale già di mio, per quello che sono stato costretto a subire, ma che io sappia qualcuno ne ha approfittato, no? Non sapete proprio mentire voi alter ego, avete per forza bisogno di contraddirvi.»
«Magari ci contraddiciamo, ma io ho delle cose contro di te, ah ah» rise contento la figura scura facendo una sorta di balletto per accompagnarlo alla sua canzoncina fastidiosa. Jongho non capi cosa avesse di così terribile contro di lui, ma il suo viso cambiò espressione quando vide il suo orsacchiotto di pezza tra le sue sporche mani; cercò di prenderlo, ma venne spinto indietro, quasi al limite del grande gradino. Per un momento trattenne il sospiro, non avrebbe amato la sensazione di caduta nel vuoto, ma avrebbe volentieri spinto lui giù da quell'altezza.

«Non così in fretta tesoro. Per quanto possa essere così gentile, non esiterei a buttarti giù e trovarne un altro come te. Il mondo è pieno di bambini abbandonati che covano una grande apatia. Sono sicuro che né la tua mammina né i tuoi amici o nuova famiglia potranno aiutarti.»
«I miei amici sarebbero qui se non avessero altre gatte da pelare a causa vostra. Lo capisco, non sono solo.»
«Tu sei da solo, capiscilo una volta per tutte!» gridò l'alter ego «Tu non hai nessuno che sia qua con te, capiscilo!»
La figura nera sembrò lasciare Jongho e il ragazzo poté sorreggersi e camminare lentamente verso di lui, in preda a qualche crisi isterica; non importa cosa lo avrebbe buttato giù da quel dannato gradino, sentendo il suo urlo per la sconfitta. Non avrebbe mai permesso che altri bambini, altri ragazzini come lo era lui, avessero avuto il suo stesso destino. Il mondo era già abbastanza crudele per i loro occhi, abbandonati da chiunque, e serviva tempo permettere che il trauma passasse; non serviva che qualcuno come quello ci lasciasse lo zampino, rovinando tante vite, una dopo l'altra.

Mentre quello era ancora impegnato a lamentarsi e buttare tutto ciò che voleva da quel gradino che non appena Jongho ne ebbe l'occasione lo spinse giù, sentendo come aveva ipotizzato, il suo urlo e poi un tonfo sordo.
Jongho respirò profondamente a quella scena che appena messa in atto; prese l'unica cosa che era rimasta su quel gradino: una vecchia fotografia di lui con sua madre e la conservò piegandola dentro una tasca dei pantaloni. Poi decise se scendere o salire, naturalmente scegliendo di salire verso la luce, sperando che lassù trovasse la sua vera famiglia.

 Poi decise se scendere o salire, naturalmente scegliendo di salire verso la luce, sperando che lassù trovasse la sua vera famiglia

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