Capitolo 5

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Tutt'attorno a noi si estendeva un mare dalle mille sfumature rosa; non poteva essere un luogo in cui ero già stata per il semplice fatto che sul nostro pianeta non esisteva un oceano come quello. Assottigliando lo sguardo riuscivo ad intravedere, molto lontana, una piccola isola, simile a una collinetta circondata dall'acqua, anche quella completamente rosa. Tutto era silenzioso ad eccezione del dolce suono delle onde che s'infrangevano a ritmo regolare sulla spiaggia ormai distante.

Evalyn, seduta davanti a me e tranquillamente immersa nei suoi pensieri, aveva lo sguardo rivolto verso il cielo e un leggero sorriso dipinto sulle labbra. Ci misi un po' a rendermi conto che nessuna delle due stava remando, il che significava che la barca si stava spostando da sola. Era come se l'oceano la stesse trascinando verso la nostra nuova meta, molto probabilmente l'isola di fronte a noi.

"Evalyn?" Azzardai a parlare. La ragazza non sembrò accorgersene, o forse aveva deciso di ingnorarmi. "Evalyn?" Ritentai, questa volta con voce più forte e decisa. Ma sempre nessun segno di vita. Decisi quindi di aspettare; aveva già parlato una prima volta, di sicuro lo avrebbe fatto di nuovo.

Passarono ore. Tante, lunghe ore di silenzio. Stranamente, però, non mi annoiai neanche un secondo. Era una cosa particolarmente insolita. Normalmente non ero una persona che parlava molto, ma allo stesso tempo odiavo il silenzio, e più ancora del silenzio odiavo il dover stare ferma senza far nulla. Per questo motivo andavo molto d'accordo con Oscar: lui aveva sempre qualche idea geniale in mente, qualcosa da dire o da fare e la voglia di partire per una nuova avventura.

Ma in quest'avventura ero finita con qualcun altro, ovvero con la ragazza più tranquilla e silenziosa al mondo; e mi stavo proprio chiedendo se potesse essere considerata una cosa positiva quando la mia attenzione fu catturata da qualcosa di totalmente insolito e dall'aspetto piuttosto pericoloso.

Un'onda gigante, alta almeno cinque metri e rosa come il mare che l'aveva generata, si stava avvicinando alla nostra barchetta che, mi dissi, sicuramente non avrebbe retto il colpo. Solo in quel momento la mia compagna abbassò lo sguardo che aveva tenuto per circa tre ore incollato al cielo e, per la prima volta, riuscii ad intravedere un lampo di paura sfrecciare nei suoi occhi.

"Cosa facciamo?" Le chiesi agitata, guardandomi attorno in cerca di una via di uscita. Ma eravamo nel bel mezzo del nulla; o ci tuffavamo o...

"Tuffiamoci." Mi girai di scatto vero Evalyn. "Tuffarci?" Sì limitò ad annuire. L'onda era ormai completamente visibile ed era ora chiaro che non era alta cinque metri, ma almeno il doppio.

Evalyn si alzò in piedi senza esitazione, restando in perfetto equilibrio sulla barca che barcollava, poi tese la mano nella mia direzione. Deglutii prima di afferrarla e tirarmi su con fatica.

Ci scambiammo uno sguardo d'intesa e, sempre tenendoci per mano, ci buttammo con un salto nell'acqua dalle mille sfumature rosa.

Non sentii mai il freddo dell'acqua, né la sensazione di non poter più respirare. Quando riaprii gli occhi ero di nuovo di fronte alla porta della segreteria, con gli occhi di Evalyn puntati su di me.

Rimasi con la bocca serrata per un po', fin quando lei non decise che era arrivato il momento di andarsene e mi passò accanto, sfiorandomi la spalla. A quel contatto sentii un brivido percorrermi la schiena e improvvisamente, senza neanche sapere cosa stessi facendo, mi girai indietro e urlai nella sua direzione:"Vuoi venire al ballo con me?"

La reazione della ragazza non fu immediata. Voltò lentamente il viso verso di me per poi squadrarmi per un breve attimo. Dopodiché si rigirò e riprese a camminare come se niente fosse successo.

Fu solo in quel momento che sentii l'acqua gelarmi le viscere e il fiato mancare e, per un attimo, desiderai di poter affogare.

∘ 〄 ∘

Presto arrivò il giorno prima del ballo. Era un giovedì, il che significava che non avevo appuntamenti dagli psicologi.

Mio zio Emmett, che quella mattina indossava due maglioncini, la sciarpa e un paio di guanti color moccacino, si affacciò alla porta della mia stanza per svegliarmi:"Sveglia sveglia, ho una buona notizia per te!" Sembrava di buon umore; la notizia doveva essere veramente buona. "Mhh cosa?" Mugugnai rigirandomi tra le coperte. "Niente scuola oggi! Stanotte ha nevicato!"

Ancora con gli occhi chiusi, sorrisi. Era veramente un'ottima notizia. "Cosa vuoi fare oggi?" Mi chiese con un po' troppo entusiasmo, entrando nella stanza per tirare su le tapparelle. Odiavo il rumore che facevano quando venivano alzate. Mi ricordava la mia vecchia casa e mi portava a rivivere altri ricordi legati ad essa... il latte al cacao che la mamma mi portava in camera per la colazione, la radio accesa che mio papà ascoltava prima di andare a lavoro.

"Quindi?" Insistette mio zio venendo a sedersi sul bordo del mio letto. Mi decisi ad aprire gli occhi e tentai di rispondergli con la voce ancora impastata dal sonno:"Andiamo a vedere una partita di tennis." Proposi, ma non ci misi molto a realizzare che avevo appena chiesto qualcosa di impossibile. "Con la neve? Tutte le partite sono state annullate." Delusa, sospirai. Poi mi resi conto di una cosa che avevo dato per scontata fino a quel momento:"Quindi... Anche quella di domani è stata sospesa?"

Avevo tirato su la testa e ora stavo guardando lo zio con aria preoccupata. "Già... Motivo per il quale volevo proporti di andare a piedi al centro commerciale per scegliere un vestito per il ballo di domani. I vostri insegnanti ci hanno già comunicato che quello verrà fatto!" Lo guardai pietrificata. I corsi erano stati sospesi ma la festa di Natale no? Che senso aveva?

"Perché non lo hanno annullato?" Ero quasi arrabbiata; ora non avevo più una scusa per non andarci e sapevo che Oscar non mi avrebbe più parlato se non mi fossi presentata a quel cavolo di evento sociale. "Per il budget, suppongo. La scuola ha speso tantissimi soldi per la festa e credo che abbiano già allestito tutto visto che era prevista per domani." Alzò le spalle come di solito facevo io, poi si alzò e uscì dalla mia stanza fischiettando.

Sul mio comodino, nel frattempo, il mio telefono aveva appena smesso di vibrare. Lo presi e vidi che Oscar aveva cercato di chiamarmi. Stavo per richiamarlo quando un suo messaggio comparve sullo schermo accompagnato da un sonoro "dlin".

Feci per aprirlo quando un forte rumore dal piano di sotto mi fece sobbalzare e lasciai cadere a terra il telefono. Abbassai lo sguardo verso il pavimento: avevo appena distrutto il mio cellulare. Ma quella non era la mia priorità. Qualcosa era appena successo al piano di sotto.

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