Capitolo Nove-Goodbye Billings

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Pianificare la mia fuga non era stato semplice. Capii ben presto che dovevo essere paziente e osservare. Osservare le falle nei sistemi che Pedro usava per controllarci, così presi tutto il tempo necessario per capire e per trovare il momento giusto. C'è sempre un momento giusto, aveva detto una volta mia madre, avevo otto anni, ma non so bene a cosa si riferisse, probabilmente era l'alcool o la droga che la faceva parlare.
Gli uomini di Pedro erano tanto muscolosi quanto stupidi, si davano il cambio alle tre di notte in punto, ma Dimitri, che normalmente terminava il turno a quell'ora, spesso fumava una sigaretta con Yusef, il ragazzo del turno dopo. A volte si allontanavano per circa tre minuti, il tempo di scolarsi una birra senza farsi vedere da Pedro, perché era probabile che si svegliasse per delle ispezioni. Capii da subito che quello era il momento giusto, dovevo essere pronta e determinata. Sarei passata dalla porta sul retro, che era quella che lasciavano scoperta per quei tre minuti. Dovevo essere fottutamente veloce, per scendere dall'ottavo piano, avrei impiegato un minuto, ed un altro minuto per arrivare al cortile. Un altro ancora per essere fuori. No, dovevo essere più veloce, trenta secondi al massimo per scendere, altri trenta per raggiungere il cortile, e altri trenta ancora per essere fuori. Novanta secondi, la mia libertà dipendeva da quei novanta secondi.
Avevo calcolato tutto, anche il peso dello zaino, che doveva essere assolutamente leggero, avevo preso giusto le cose essenziali, ovvero i contanti e i miei documenti. Avrei lasciato tutto il resto lì, vestiti e quant'altro, avrei comprato ciò di cui avrei avuto bisogno a destinazione. Il treno delle 06:25 per Salt Lake City nello Utah era la mia ancora di salvezza. Da lì avrei preso un aereo low cost per raggiungere Los Angeles in California. Avevo scelto quella meta per due motivi. Il primo perché avevo contattato il magazzino a Great Falls, e avevano detto che non avrebbero potuto riassumermi, in genere riassumevano solo dipendenti eccellenti, e non era stato il mio caso. Secondo, perché mia madre nominava spesso Los Angeles. Diceva che quella era la città delle star e dei falliti, che era la sua città perché è facile a Los Angeles diventare un fallito se sei una star, ma per chi era un fallito sarebbe stato semplice diventare una star. Non so dove avesse sentito quel detto, ma mi risuonava in testa, talmente tanto che la scelta mi fu praticamente dettata dal subconscio.
Il rammarico era quel tizio, quel ragazzo del Seven-Eleven, avrei dovuto parlarci almeno un'altra volta. Oh sì, avrei dovuto veramente.
Nonostante il caldo afoso, quel pomeriggio c'era una leggera pioviggine, che rendeva lucide le vie. Quando pioveva a Billings, la città della lentezza, tutti diventavano improvvisamente più rapidi. Mi ritrovai davanti al Seven-Eleven, avevo già le sigarette, ma come scusa avrei comperato un altro pacchetto.
"Fa' che sia di turno, fa' che sia di turno", avevo detto tra me e me. Mi avvicinai alla cassa, e una donna bionda, con un grosso neo sulla guancia mi fissò, cazzo che sfiga. Sentii un movimento dietro di me, mi voltai ed era lì, più bello del solito. Aveva fatto crescere un po' la barba, la portava delicatamente sui baffi e sul mento, lasciando le guancie pulite, come un neonato. "Hey Karen," si rivolse alla donna con il grosso neo, "Lei prende le Chesterfield, e una sprite". Allora si ricordava di me. Mi veniva da piangere per la gioia. La donna mi passò il pacchetto di sigarette, poi aggiunsi "La sprite non serve, grazie". Pagai e mi girai verso di lui. Era visibilmente imbarazzato, io invece, stavo arrossendo dalla vergogna. Calmati Jennifer, datti una cazzo di calmata. "Sono in pausa, se vuoi possiamo fumare insieme." Mi aveva fatto una proposta, ero eccitata, avrei voluto chiedergli tante cose, ma dovevo aspettare, non sapevo bene come mi dovevo comportare in quella situazione, ma sicuramente avrei dovuto dare tempo al tempo.
"Ma certo", dissi educatamente, "a meno che non hai da ridire sulle mie sigarette." Aggiunsi con un po' di ironia. "Magari tu avrai da ridire sulle mie", mente parlavamo eravamo usciti fuori, e lui stava prendendo una sigaretta dal pacchetto, "Vediamo, cosa fumerà mai questo ragazzo". Cercai la marca sul pacchetto, "Ah bene! Le Camel senza filtro, devi essere pazzo!" E scoppiammo a ridere insieme, "Sono un uomo di altri tempi". Disse lui mentre si muoveva come un gentiluomo di fine ottocento.
"Allora, come posso chiamarti?", più lo guardavo più mi piaceva, "Jennifer, e tu?" sembrava vergognarsi del suo nome, ma poi disse "Drake", era un nome particolarmente bello, gli calzava a pennello,
"Bene Drake, piacere"
"Piacere mio".
Avevo il timore che sarebbe arrivata quella fatidica domanda, e infatti arrivò. "E quindi, cosa fai in una città come questa?". Ero preparata, l'avevo studiata bene la risposta. "Non ha importanza, me ne sto andando".
"Andando dove?"
"Via, vado via da qua"
"Ah sì?" sembrava incredulo.
"E dove te ne vai?"
Presi un gran respiro, poi aggiunsi "Los Angeles", la sua bocca si aprì in un grosso "Wow", "L.A. Lì si che puoi divertiti, party, party sulla spiaggia, party in discoteca, altri party sparsi un po' qua e un po' la". Cazzo quanto era simpatico, ci avrei messo un bel po' a scordarmi di lui.
"Così è un addio?"
"Hey, no, proprio no, non ti conosco, gli addii sono per le persone che conosci da tempo, che non potrai più rivedere". Dissi senza aver paura di turbarlo, lui sorrise e poi continuò,
"Bhe allora meglio così" aveva una strana luce negli occhi, "Meglio cosa?" chiesi. "Meglio che non ci conosciamo, sarebbe stato brutto perderti così".
Ci era riuscito. Era riuscito a farmi cambiare tutti i piani, cazzo se ci era riuscito. "Hey Drake!" esultai con un sorriso a trentadue denti, "Sì?" fece eco lui, "Sai chi è scemo e crede a tutto?"
"Ehm per caso io?"
"Sì, proprio tu" e scoppiammo a ridere. Lui guardò l'orologio e poi riprese a parlare, nel frattempo avevamo buttato le sigarette, "Devo tornare dentro, quella strega mi tiene sotto controllo, hey però noi ci rivediamo vero?"
Mi batteva forte il cuore, veramente tanto, era assurdo, l'avrei baciato subito, o meglio non so se era una cosa corretta, ma sentivo di farlo, lo sentivo veramente. Perché? Che diavolo mi stava succedendo?
"Sì certo, passo qui davanti molto spesso",
"Bene, allora buona giornata Jenny". Su Google avevo letto che gli uomini  davano i soprannomi per affetto, e che era un segno buono e positivo. Ero contentissima, lui rientrò a lavoro, e io girai i tacchi tornandomene verso il campo. Ah! Che pomeriggio fantastico, fanculo Salt Lake City e fanculo Los Angeles. Il piano era un altro. Ricominciare una nuova vita con Drake. Sì, lui mi avrebbe amata, lui mi avrebbe dato quello che volevo, lo sentivo.
Mancavano giusto pochi metri al campo quando mi chiamarono alle spalle, mi voltai. Era Sharon, aveva uno sguardo d'odio nei miei confronti.
"Avevi parlato fin troppo con quel ragazzo anche la volta scorsa, a me non sfugge niente, e sì, ti ho seguita." Si accese una sigaretta poi continuò, "Conosci le regole, dovrai essere ricondotta, andiamo da Pedro, ti conviene bere un po' d'acqua, dovrai parlare per un bel po', e dare spiegazioni".
La mia migliore amica, la mia salvezza, era cambiata. Non so cosa l'avesse spinta a diventare quello che era. Notai solo in quel momento che indossava un abito Armani, gli stivali erano di vera pelle, e la borsa di Yves Saint Laurent. Nemmeno dopo un anno di lavoro, avremmo potuto permetterci tutta quella roba. Era Pedro, ormai era diventata la sua donna, non sapevo però se tutto quello era parte di un suo piano per vestire di lusso, per apparire, per credere di essere tornata quello che un tempo era: ricca.
O se in fondo c'era amore veramente tra i due. Ma non avevo tempo, dovevo prepararmi per affrontare Pedro.

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