Capitolo Tre-Tre anni prima

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Il carcere femminile di Bismarck, in North Dakota, mi ricordava il mio liceo. Non sapevo cosa potesse essere più triste, una scuola che somiglia ad una prigione, o una prigione che somiglia ad una scuola. L'agente all'entrata mi stava perquisendo, poi passò a perquisire anche Laila, la mia assistente sociale, visto che non ero maggiorenne non sarei potuta recarmi lì da sola. Camminammo lungo un corridoio stretto che dall'ingresso principale portava alle stanze dove sarebbe stato poi possibile incontrare i detenuti. Non potevo credere di essere lì, c'era una parte di me che non riusciva ad accettarlo. Mia madre Judith non era mai stata una santa, venne arrestata la prima volta a diciannove anni nella cittadina di Glendo, nel Wyoming, dove era nata da un padre alcolista e da una madre drogata. Venne arrestata un'alta volta nove mesi più tardi per aver rapinato il fast food vicino la baracca dove viveva con Tobias (e indovinate un po' chi è lui? Esattamente! Mio padre). Il poliziotto aprì la porta per farmi entrare nella stanza, c'era già molta gente che parlava con alcuni detenuti. Mentre aspettai mia madre, mi fu impossibile non notare la disperazione della gente che andava a trovare i propri cari, non che i carcerati fossero allegri, però in loro c'era un tipo diverso di malinconia, un qualcosa che li teneva chiusi lì dentro, un tipo di preoccupazione che sembrava volesse dire "Dio, quando uscirò da qui?" E non il tipo di preoccupazione di chi li andava a trovare, che doveva fare i conti con tutte le difficoltà vere al di fuori di quel penitenziario. Solo quando arrivò mia madre, Laila si tolse di mezzo, non potevo essere lasciata sola nemmeno per un momento. Judith, così la chiamavo, perché "mamma" non era un appellativo che proprio le si addiceva, sembrava assonnata, quando arrivò davanti a me. Ma soltanto pochi minuti più tardi capii che non era assonnata, era fatta. "E così anche qua trovi il modo di drogarti" dissi. Lei ebbe difficoltà a rispondere, poi prese fiato e mi guardò bene negli occhi "Jennifer..." disse lei come se fosse in trance. Passammo circa venti minuti così, poi a poco a poco si riprese, ed ebbi la sensazione che quando voleva mia madre era una persona molto intelligente. Me la immaginavo avvocatessa in un prestigioso studio legale di New York, o addirittura a Londra, mentre le chiedevo per cosa era stata arrestata. "Vedi tesoro" iniziò a dirmi, "Dicono che io ero in possesso di circa un grammo e mezzo di hashish, io non ricordo nemmeno di averlo comprato, quando mi hanno arrestata avevo i vestiti sporchi di vomito, forse l'ho preso lunedì o martedì, sta di certo che io non spaccio, ma gli agenti hanno detto che avrò tanto tempo per riflettere." "Quanto tempo resterai in questa merda?" Più la guardavo più mi convincevo che non avrei mai avuto più pena per lei, mai, mai più. "Tre anni e sette mesi, ma dicono che se mi comporto bene tra venticinque mesi sono fuori su buona condotta" parlava come se fosse tornata dodicenne, probabilmente per effetto delle droghe che continuava ad assumere. "E qua chi ti rifornisce? Diavolo sei fatta come una pigna! Ci hai messo venti minuti a riprenderti" "No, amore, no non sto toccando niente, sto male per via del profumo" inizialmente non capii, ma poi ricordai che oltre alla dipendenza da droghe, mia madre era anche alcolista, e spesso in casa, quando finiva l'alcool e non aveva abbastanza soldi per comprarne altro, si attaccava alle boccette di profumo, inutile dirvi gli effetti collaterali. "La mia compagna di cella sta qua da dodici anni, e riesce a far entrare qualche campione di profumo, io me lo scolo in un sorso, è l'unico modo che ho per sopravvivere a questo inferno". Poi scoppiò a piangere. Subito dopo il poliziotto ci fece segno che era ora di andare, Judith mi chiese di tornare la settimana successiva a trovarla, le dissi di sì, ma in realtà fu l'ultima volta che la vidi. La corriera che prendevamo io e Laila costava tredici dollari, soldi che venivano pagati dalla casa famiglia in cui stavo a Medina, gli uffici affidatari avevano scelto quella città perché era la più vicina a Bismarck, bastavano infatti solo un paio d'ore per recarmi al penitenziario. In quella casa famiglia mi trovavo molto bene, ma quando si sta bene, i guai non tardano mai ad arrivare, infatti quando il giudice venne a sapere che mi rifiutavo di vedere mia madre mi mandarono alla casa famiglia di Miles City in Montana. Lì iniziarono i veri problemi, trascorsi un anno assurdo, venivo bullizzata sia a liceo che alla casa famiglia. Il mio soprannome era Jennifer l'orfanella. Avevo quindici anni quando capii che tanto ormai ero spacciata, per sopravvivere a tutto ciò, iniziai a fare dei lavoretti di "mano" ai miei compagni di classe per cinque dollari, così da Jennifer l'orfanella, divenni presto Jennifer mano veloce, pensavo che quel soprannome mi avrebbe portato ancora più guai, invece poco dopo a scuola iniziai ad essere rispettata, e piena di clienti. Volevo accumulare più soldi possibili per andarmene da quello schifo di città, ma soprattutto da quella casa famiglia. Se a liceo le cose andavano meglio, nella casa famiglia andava sempre peggio, così iniziai a comprare completini intimi sexy per attirare più clienti a scuola, ci fu un periodo che tutti passarono per le mie mani, secchioni, palestrati, fidanzati, anche un prof venne da me, con lui però fui molto più furba, gli dissi che con i prof era molto più rischioso, e che la tariffa era di quaranta dollari. Andò a finire che mi ritrovai nella sua vecchia Ford, e quando uscì da quell'auto avevo quaranta dollari in più. Le regole erano semplici, chi veniva da me lo sapeva, niente sesso e niente bocca, solo una sega avrei eseguito. Nel mio periodo di punta ero arrivata a incassare circa 230 dollari a settimana, ma non bastavano, mi serviva un lavoro stabile con regolare contratto per andare via dalla casa famiglia compiuti i sedici anni. Fu quando arrivò Sharon che la mia vita svoltò. Iniziò a difendermi dagli atti di bullismo di cui spesso ero la protagonista alla casa famiglia, così poco a poco iniziai a fidarmi di lei sempre di più. Un giorno tirò fuori un telefono cellulare, stava parlando con un certo Pedro, mi disse che lui ci avrebbe tirato fuori da quel posto di merda. Sharon aveva tre anni in più di me, percui aveva già l'età legale per vivere da sola, ma decise di aspettare il compimento dei miei sedici anni, così saremmo andate insieme da Pedro. Spesso mi viene chiesto se sapevo che Pedro era un pappone, in realtà non lo sapevo, ma lo immaginavo, ma non importava. Se Jennifer mano veloce faceva 230 dollari a settimana, una presunta Jennifer fica d'oro quanto avrebbe guadagnato? Di più, sicuramente molto di più. Ma quando si sta bene succede sempre qualcosa, gli uffici di affidamento avevano trovato un lavoro a Sharon in una caffetteria di Great Falls, a volte quando diventava difficile mantenerci, la casa famiglia contattava l'ufficio di affidamento chiedendo di rimuovere gli ospiti in età legale, così cercavano un impiego a quest'ultimi che poi sparivano magicamente dal giorno alla notte. Fu una segretaria che mi diede il numero di Sharon, mi disse che non avrei dovuto dire niente a nessuno. Fu così che un giorno dopo la scuola, tra un cliente e l'altro raggiunsi una cabina telefonica e composi il numero con il prefisso di Great Falls. Il telefono squillò a lungo, poi l'inconfondibile voce di Sharon mi rispose. Mi disse che dormiva in una stanza a mezz'ora dalla caffetteria dove viveva, e che guadagnava meno di quanto si sarebbe immaginata, a stento riusciva a pagare il monolocale dove alloggiava, e che aveva già fatto presente tutto agli uffici affidatari, ma loro non avevano mai risposto alle sue email. Mi parlò ancora di Pedro, mi disse che l'unico modo che avrei avuto per raggiungerlo era innanzitutto raggiungere lei. Passò lentamente un altro anno, arrivò il mio diciassettesimo compleanno e lo stesso giorno presi una corriera fino a Great Falls, mi feci lasciare davanti la caffetteria dove lavorava Sharon, condividemmo così quel buco dove lei viveva, che se era stretto per una persona, figuriamoci per due. Dovevo cercare un regolare lavoro per lasciarmi gli uffici affidatari alle spalle, a loro non importava se era pagato di merda e che con quei soldi a stento riuscivi a prendere un monolocale e vivere di merda per tutta la vita, a loro importava solo il contratto regolare, con quello eravamo okay, addio uffici affidatari per sempre. Sarebbe bastato lavorare un mese, in quanto veniva controllata solo la prima busta paga, poi ci saremmo potute licenziare, nessuno avrebbe saputo niente perché il datore di lavoro non era tenuto di comunicare il licenziamento agli uffici affidatari. E andò proprio così. Certo inizialmente fu difficile trovare un lavoro, con un passato come il mio spesso venivo scartata ai colloqui, ma non mi arresi. Fui assunta come magazziniera da Sam's Club, il giorno dopo la mia prima busta paga diedi le dimissioni. Poi partimmo per Billings, Sharon mi disse che Pedro ci stava aspettando alla stazione dei treni. Sì, lo capii subito, appena lo vidi, capii nell'istante in cui me lo ritrovai di fronte che Pedro era un pappone.

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