Domande senza risposta

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Mentre la speranza era tutto ciò a cui potevo aggrapparmi, ero accasciato con una mano su quella ferita che non emetteva sangue. Faceva male e non riuscivo a scorgere nessuno nella penombra che avesse potuto aiutarmi. Alla fine, come sempre, avrei potuto contare soltanto su di me e su quello che sono. Mi sforzai così tanto di alzarmi, di riuscire a intraprendere qualche passo verso quella meta che ancora mi era ignota. Non potevo essere impassibile, non potevo arrendermi, avrei dovuto provare, avrei dovuto lottare.

Ad un tratto, come per magia, alcune immagini iniziarono a balenarmi attorno. Esse erano sommerse da una fioca luce, la quale serviva per dare un tipo di vita che quel luogo sembrava non aver mai conosciuto. Le immagini mi ritraevano in quegli attimi in cui lottavo, mi impegnavo, cercavo di raggiungere obiettivi tanto arditi. La posta in palio era infatti alta: La mia rivalsa. Ogni singola volta dovevo cercare di trovare quella forza che permetteva di distinguermi e di alterare quel moto di inerzia, nel quale mi trovavo a vivere.

Quando mi concentrai proprio su quel sentimento, su quella ricerca, capii cosa dovevo fare. Dovevo andare al di là dei miei limiti, sfondarli e sfidare qualsiasi cosa che avrebbe tentato di fermarmi, persino il fato. Se avessi perso, se avessi toccato quel fondo così distante da terra, lo avrei calpestato. Per questo motivo che iniziai a rialzarmi e la ferita veniva, piano piano, lenita da quel sentimento di rivalsa.

Quando finalmente ripresi quella sensibilità del mio corpo, ormai perduta da tempo, qualcosa cambiò. Fui travolto da un forte vento, così forte da far tenere chiusi i miei occhi per molto tempo. Quando li riaprii, mi trovai in un luogo diverso. Ero abbagliato da una luce, che proveniva da un sole differente da quello che nella realtà quotidiana vediamo. Era molto più vicino, sprigionava un intenso rosso e appariva così minaccioso che sembrava stesse per esplodere. Anche in quel luogo, la luce sembrava essere un pericolo, qualcosa da cui dover fuggire.

Mi guardai attorno e mi resi conto di trovarmi in un campo di grano, così esteso da non riuscire a vedere altro. In quel luogo era più viva che mai la presenza dell'atmosfera, che sembrava avere una pressione così elevata tale da poter farmi crollare. Nella sua apparenza quel luogo celava qualcosa di oscuro, di terribile.

Ecco che in quel luogo deserto, poco più distante da me, intravidi una figura femminile

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Ecco che in quel luogo deserto, poco più distante da me, intravidi una figura femminile. Corsi versa di essa, cercando di accantonare ogni singolo filamento di grano. Quando arrivai, di quella figura non vi era più alcuna traccia e, al suo posto, mi trovai dinanzi a infinite lapidi di pietra. Cercai di riconoscere le persone che vi erano raffigurate, ma, all'apparenza, erano tutti sconosciuti.

Mentre camminavo, notai una lapide molto più grande delle altre e mi ci avvicinai. Essa consisteva in una lastra di pietra collocata su un'iscrizione che non riuscivo a comprendere. Quest'ultima, però, riportava l'unico volto che ero stato in grado di riconoscere. Il mio.

Come poteva essere? Ero vivo, respiravo, non potevo essere morto.

Quando il panico iniziò a pervadere tutto il mio corpo, ad entrare nelle vene e nei più ristretti capillari, mi voltai in cerca di aiuto. Molto più vicina, questa volta, vi si trovava di nuovo quella figura femminile. Ella era inginocchiata su una lapide e, per questo, mi avvicinai. Quando le fui proprio dietro le spalle, notai che stava piangendo.

<<Scusate se mi permetto, ma dove siamo?>>

Questa non sembrava avermi sentito e le toccai la spalla tremolante. Si voltò di scatto e mi trovai dinanzi ad una signora che tentava di respingere in dentro quelle lacrime. Aveva occhi così neri tali da poter penetrarmi l'anima, da frantumarla, da divorarla.

<< Tu non dovresti...>> le tremolò la voce.
<<Rivolgermi la parola.>>

Non capii, ero così confuso.

<< La domanda non è dove, la domanda è...>>

Ed ecco che la voce le si spezzò, un urlo agghiacciante le prese posto, trafiggendomi il corpo. Successe tutto all'improvviso. Quella voce sembrava aver vissuto qualcosa che un essere umano difficilmente avrebbe potuto comprendere. Era un grido di dolore, di angoscia, di paura, di orrore.

Il sole divenne ancora più scuro e la temperatura iniziò ad aumentare così tanto che quasi mi impediva di respirare. Quei filamenti di grano iniziavano sempre di più a disintegrarsi.

Un mostro aveva preso le sembianze della donna. Era alto, avvolto da un mantello nero impenetrabile,così terrificante che sembrava aver assorbito qualsiasi tipo di emozione positiva. Ero solo, in un mondo che non era il mio; alla disperata ricerca di sensazioni che non potevo più ambire.

Il mostro puntò con il dito scheletrico verso di me e tutte le lapidi iniziarono a rotearmi attorno. Qualcosa era cambiato.

Ero raffigurato in ogni singola lapide e, mentre queste mi roteavano attorno, l'oscuro demone sembrava volesse farmi intuire qualcosa, che io non ero in grado di comprendere.

Il tempo, ad un tratto, sembrava essersi rallentato. Ogni secondo che passava sembrava essere eterno e quell'Essere, piano piano, mi si avvicinava. La vicinanza era cosi elevata tanto da potermi vedere riflesso in quegli occhi neri e giganteschi.

Mi guardai e ciò che vidi fu un mostro nero con quegli occhi lucenti da poter aspirare qualsiasi tipo di vitalità.

Non ero io, non mi riconoscevo.

Chi ero?

E mentre ero in balia delle domande che mi pervadevano il corpo, l'Essere mi abbandonò lasciandomi precipitare.

<<La domanda non è dove siamo...>> aveva detto quell'oscura donna.

Ma chi siamo.

Per la prima volta mentre cadevo iniziai a ridere. Una risata profonda, oscura, agghiacciante.

Ridevo, ridevo, ridevo.

Il mio piccolo infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora