Terre desolate

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Accompagnato da quella consapevolezza di ciò che ero, mi guardai attorno. Ero steso in un tipico prato primaverile, l'aria era densa, il cielo di un blu intenso che sovrastava quel conflitto di luce e tenebre che dentro divampava. Sembrava attenuarlo fino a offrire un senso di pace. Non ero abituato a stare da solo nella realtà quotidiana. Nella solitudine, infatti, bisogna fare un'altra tipologia di battaglia: quella con se stessi. Quest'ultima è molte volte la più ardua perché non si è sempre pronti ad affrontarla. La si rimanda, infatti, a quel momento prima di immergersi in un sogno e di sprofondare nei meandri più interni di noi stessi.

Questa volta, però, stavo sognando di fare in anticipo questa resa dei conti.
Mi alzai e quello che era un prato divenne una verdeggiante pianura, il cui verde si contrapponeva all'intenso blu del cielo. Sognavo di camminare senza una meta particolare affiancato esclusivamente da quel peso nel cuore, che non riuscivo ad ignorare.
Barcollavo, stavo per perdere i sensi quando più in lontananza vidi una culla. Udii il pianto di un bambino provenire da essa. Tentai di raggiungerla, ma più mi avvicinavo più questa sembrava terribilmente lontana. Mi accasciai a terra quando quel dolore si fece straziante. Mi contorsi, imprecavo.

Quando il mio pianto si unì a quello del bambino, qualcosa cadde da quel cielo azzurro.
Una foto.
La foto mi ritraeva con il mio cane. Era un pastore tedesco, che amava correre fino a non avere più fiato nel proprio corpo. E io non vedevo l'ora di tornare a casa, di invocare il suo nome e sentire i passi delle zampe riecheggiare nella casa.
Ecco che un senso di angoscia mi penetrò
nelle vene e in

quei
meandri più bui.

Anche la parte più oscura di me sembrava aver avuto un freno. Il tempo rallentò mentre io osservavo quella foto attentamente.
Fui assediato dai ricordi.

Corrergli affianco, cadere, ridere a crepapelle, accarezzarlo. Le orecchie che fischiavano, l'odore della primavera sulla mia pelle. Il cielo blu.

Perchè mi aveva abbandonato?

Ecco che la terra tremò. Tutto iniziò a cambiare. Il cielo iniziò a scurirsi come se a breve stesse per arrivare un temporale. La temperatura si abbassò e il gelo pervase anche il calore delle varie battaglie dentro di me. Da una parte c'erano luce e tenebre e, dall'altra, io ero contrapposto alla mia coscienza.

Sotto i miei piedi la terra iniziò piano piano a spaccarsi e ciò che era una pianura, si trasformò in un deserto gelido. Nessun tipo di vita mi circondava, anche quella piccola culla in lontananza mi aveva abbandonato. Ero da solo, o meglio, con le più svariate sfumature del mio essere. In quel preciso momento sembrava che il mio corpo fosse solo una parete che separava quei conflitti esterni da quelli che mi divoravano dal'interno.
In quel paesaggio desolato, in parte distrutto dall'esterno ma in parte divorato dalla mia esistenza, tutto ciò che mi rimaneva era scappare. Ma mentre quel pensiero iniziava a prendere forma nella mia mente, tutto divenne ancora più nero. Una presenza si stagliava contro di me, era un animale. Una bestia.
Ringhiava, percepivo la sua volontà di penetrare quelle zanne nel mio corpo. Sentivo l'odio che provava nei miei confronti.
Per quanto tentai di correre, tutto fu inutile. Quella che però era una bestia nera, si trasformò in una nebbia fitta che mi fece perdere il senso dell'orientamento.
Urlai.

La nebbia si dissolse.
Mi ritrovai dinanzi ad una casa abbandonata. Doveva essere una villa molto alta, ma non così larga. Il cancello era aperto come se qualcuno fosse entrato da poco e allora decisi di varcarne la soglia. Gli alberi del giardino accanto la casa erano spogli, come se da tempo il sole, l'acqua e tutto ciò che tiene in vita normalmente una pianta fosse mancato per molto tempo.

Una porta blindata mi si stagliava dinanzi, anch'essa già aperta. Era consumata dagli agenti esterni e sembrava marcare quella sensazione di morte, di paura che avrei avuto se solo fossi entrato. Ma quasi come se fossi ipnotizzato, varcai la soglia. Dopo qualche passo mi voltai all'indietro, la porta si chiuse. Due finestre gotiche a lato permettevano di vedere ancora l'esterno.
Un vento aveva iniziato a soffiare sempre più forte. Un lampo venne disegnato nel cielo e un tuono fece tremare l'aria.
Le tenebre all'interno della casa iniziarono ad esplodere.

Non riuscivo a muovermi, un'ombra molto più alta di me sembrava avvicinarsi. Il tempo frenò anche in questo caso il suo irrefrenabile corso.
tic toc tic toc tic toc tic toc tic toc tic toc
Un orologio scandiva un tempo che sembrava essere diverso. I secondi erano molto più lunghi e quell'ombra era sempre più fitta.
Nel mio Essere le tenebre erano richiamate da quell'oscurità sempre più minacciosa e la luce faceva il proprio meglio per trattenerla. Quando tutto al di fuori di me fu solo buio, un brivido mi serpeggiò sulla schiena e quando arrivò alla base, l'ombra mi divorò.
Le tenebre in me esplosero e con esse anche la luce.
In quel momento sembrava che le tenebre avevano un forte vantaggio e la luce appariva fioca, stanca.

Allora mi ricordai.

Il prato. Il verde. Il cielo. Il blu. Le risate.
La luce divenne sempre più forte e non vi fu più solo nero, ma tutto divenne grigio.
Mi ritrovai in un corridoio familiare. Non riuscivo a scorgere la fine perché sembrava avere infinite porte. Ero, tuttavia, molto stanco. Luce e tenebre avevano smesso di lottare, la mia coscienza si era ad un tratto spenta e caddi a terra.
Ansimavo, ansimavo, ansimavo.

Il mio piccolo infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora