Come giocavi?

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Le scosse mi muovono lo sterno; arrivano da dentro come codici che si distribuiscono all'interno del mio cervello. Schiavo e sottomesso da un branco di pensieri che non possono manifestarsi. Un vortice tra i miei occhi, che nasconde il respiro che sale e lascia la bocca; respiro che lascia la fiamma dentro la pancia, sopra il diaframma. Respiro distante dalla mia coscienza, dispersa in una nebulosa di netturbini di sprezzate candite di aria fresca.

E' come se queste scosse seguissero imperterrite il mio sangue; insidiate all'interno delle mie vene, nei cunicoli più rettilinei e passivi del mio apparato circolatorio. Oramai, mi stanno invadendo completamente, come il nero che si mischia al bianco, come i miei capelli sul cuscino; non esiste nessuna via di fuga, posso solo aspettare. Aspettare di essere completamente e dignitosamente tumefatta dai loro intrichi e nuocere ogni senso di volere contro i loro spostamenti.

" Mi dava così fastidio condividere la parvenza, essere così intima e fuori luogo, come i suoi pensieri. Mi torceva lo stomaco assaporare i pasti accanto a lei, sentirla masticare dentro quella bocca, alla quale avrei dato volentieri fuoco. Scorgevo i suoi movimenti rozzi e frequenti, non c'era nulla in quella persona che io riuscissi ad apprezzare, nemmeno un lineamento del viso, nemmeno il suono della sua voce.

Provavo così tanto odio per me stessa quando la mia di voce, mi ricordava la sua. Seppur vagamente, appartenevamo alle stesse infime corde vocali ed io avrei voluto non possedere parola, piuttosto di avere la voce come la sua. Ingrata, indegna, figlia di un contorto concerto di un vagabondo flusso di parole frustate gettate a caso per accendere discussione, per possedere l'ultima parola, per non sentirsi emarginata.

Cosa avrei potuto fare, se non aspettare? Aspettavo da anni di lasciarla, ma ogni volta che, quasi, riuscivo a farlo, una tempesta mi ributtava sotto ai suoi occhi maligni ed io tornavo così piccola dentro il mio corpo, così inferma e silenziosa, così punita e arrogante. "

YoYo

Ricordo ancora la gioia che provai quando i miei occhi incrociarono i colori di quel piccolo aggeggio. Era rosso sui bordi, poi era una follia di arancione e giallo e all'interno vi erano dei brillantini. Mi piaceva osservarlo quando stavo al buio, non ci giocavo a volte, ma osservavo soltanto. Come se potessi vivere dentro quel giocattolo, come se quei brillantini fossero le mie lacrime incastrate lì dentro. Come se quei colori così vivaci, per qualche volta, mi appartenessero.

Non mi importava di giocare con gli altri, di sentirmi più umana, più reale, io avevo trovato il mio piccolo e guasto mondo, stracolmo di luce e avrei potuto illuminare la vita di tutti, un giorno.

Ma quella stessa luce scappò via da me in un pomeriggio d'estate.

Sono passati più di quindici anni, ma non riesco a dimenticare il dolore che provai quando mi portarono via il mio piccolo cosmo. Le mani mie erano strette al petto, i miei occhi disperavano un perdono, una scusa, una ripresa. Io ero pallida, ero pallidissima e cominciai ad avvertire le prime dannate scosse. Dapprima sui piedi, poi sulle gambe e poi dritte in pancia, come un pugno.

E la mia umanità si distrusse, accanto al ricordo di quel pezzo di plastica che non ritrovai mai più intatto.

Fu quando il contadino tornò a casa e abbracciò la sua compagna

Mise i fiori all'interno del vaso sul tavolo grigio

Sorrise agli occhi ignari che aveva tradito

Mescolò della brodaglia che le servì

Mentre egli continuò ad avvelenarsi

Passivamente.

I fiori marcirono

Gli occhi ignari si spensero

Il contadino rimase a fissare loro con appetito

Era pronto per mangiarli

Poteva finalmente divorare ciò che aveva tradito, nascosto, inaridito

E cambiare quei fiori

E cambiare dentro

Pur di non sentirsi perso

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