ultimo giorno

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Contare i passi
Approssimando
Risulterebbe più semplice.
Contare i miei passi
Approfittando
Della loro semplicità sarebbe un'opportunità.

Scoordinati, privi di equilibrio, come se seguissero istanti diversi e divisi su un piano uguale.
Passi che corrono lenti, che racimolano amori distanziati dal senso di vergogna.
Passi che non odorano di musica, né di rumore.

" Il dolore al naso prima o poi passerà, pensa a raccogliere il sangue sul pavimento. Sta per decomporsi. "

- Ti sei accorto del mio sangue -

" Mi accorgo sempre di tutto. Sei tu quella che ripone poca attenzione sulle cose, sui movimenti e sui pensieri. Sei un rigurgito di sangue anche tu, buttato sul pavimento. Ed io mi sento un inserviente, destabilizzato che deve ripulire ogni volta la tua merda. "

- Non ti ho mai chiesto io di ripulire. -

" Non ti ho nemmeno chiesto io di morire tutte queste volte. Non ti ho uccisa. Tu hai deciso di giocare con la morte, come se non contasse nulla. Adesso, cosa si prova a non poter ritornare indietro? Ripulisci sempre la tua rovina, ma il pavimento continua a sporcarsi. "

Sono rimasta intrappolata per fuggire da me stessa.
Sono intrappolata dentro questa dimensione, dove non ci sono colori, né sensazioni, né tatti, dove continuo continuamente a ricordare, a lasciare libera la mia memoria. Dove continuo a morire, senza alcun attacco alla realtà che non mi appartiene.
Non riesco a tornare indietro.
Il mio cervello si è avvelenato per colpa mia, interamente per una colpa mia.
Nessun organo del mio corpo è stato più dolce nei miei confronti.
Tutti dietro un' emorragia, a seguire del sangue perso su sfatti di questa casa vecchia e poco viva.
È come se continuassi a viaggiare su una rotta compromessa, quasi irreale. Priva di emozioni.
A volte, sono bambina, altre una donna.
E continuo a morire, dentro i miei anni e a fuggire da quello che nascondono i miei stessi anni.

" Come mai non funzioni più? Come mai non ti brillano più gli occhi?"

- Penso che non c'entri più la morte. Penso che la mia è una resa interiore. Il mio spirito, si è arreso. Sfasciato, poco curato, insabbiato e arrabbiato. Ho scelto di morire pur di convivere con te. Con tutto ciò che mi riporta a te. Le tue maschere, i tuoi farfugli. La tua capanna col tetto blu in plastica. Faceva freddo lì dentro, non te l'ho mai detto. Perché era estate e non potevo sentire quelle sensazioni. Il mio corpo sputava sudore, sputava vergogna ma io non assorbivo altro che freddo. Che cercavo in tutti i modi di riversarti addosso, sulla pelle, sulle spalle per appesantirti i giorni. Per farti provare anche per un minuto la mia assenza, il mio deterioramento. -

" Potevi dirmelo. Farmelo presente, avrei fatto qualcosa di sicuro. Pensavo stessi bene. Pensavo che fossi felice. Pensavo che potessimo essere felici. Fuori da tutti, lontano dal resto. "

- Tu hai sempre deciso per me, come se io non riuscissi a farlo. Hai pensato al mio bene, al mio vivere e al mio decorso.  Ma non hai visto neanche una delle pugnalate che ti ho buttato sul cuore. Non mi hai mai ascoltato, non ti sei mai permesso di infiltrarti dentro i miei pensieri. E, adesso, siamo questi. Due corpi distanti e senza vita, anche se tu da fuori continui a respirare. -

" Non era questo ciò che desideravi più di tutto? Smettere di respirare? Era da mesi che ripetevi sempre la stessa storia trita e ritrita, come se leggessi un copione. Io mi ero stancato, i muri che ti ascoltavano si erano stancati. Eravamo tutti stufi della tua amarezza, delle tue scelte poco sensate, del tuo odio che tenevi negli occhi che allargava le pupille. Eravamo stufi di vivere con te.
Cosa avrei dovuto fare? Io, continuo a curare il tuo corpo. Continuo a ripulirti dal sangue, dalle mosche, dalle larve, dallo sporco. Cosa dovrei fare? Darti fuoco? Per te sarebbe l'ideale. Non hai mai scelto davvero con te stessa, sei sempre stata dubbiosa in tutto e non sei mai rimasta sui tuoi passi. "

- Cosa avrei sbagliato? -

" Hai sempre cambiato idee. Cento volte, sulla stessa ragione. Non hai mai affrontato le mie provocazioni, anzi, hai regalato soltanto ira alle mie voci restando in silenzio. Sei stata sempre inerme a tutto, al tuo stadio di metamorfosi, di cambiamento. Inerme con la morte, con la tua famiglia e con tutto il resto che poteva circondarti.
Dubbi, poche parole, poche espressioni. I capelli sul viso per nascondere le paure e poi? "

- Guarda il mio letto, è cambiato tutto -

" Cos'è cambiato? "

- Non c'è più il mio risveglio su quelle lenzuola. Non ci sono i miei capelli persi per la stanza. Non c'è l'ultimo tramonto che abbiamo fissato insieme. Ci siamo lasciati da soli e, ora, su quel letto dormi tu. -

" Cosa significa? "

- La tua vita è continuata. Anche senza di me. Ti guardo rigirarti sui tuoi sensi di colpa, suoi tuoi drammi e mi piacerebbe accarezzarti la fronte a volte. Mi piacerebbe farmi baciare la mia, da te, come facevamo prima. Il nostro saluto, la nostra forma di rispetto che abbiamo vietato. Quel bacio sulla fronte che divento' un tonfo violento sul mio stomaco, che mi ha risucchiato ogni forma di vita. -

" Come se non funzionasse qualcosa dentro di me. "

Sono morta dietro un televisore.
Sono morta dentro un televisore.
Non mi ha sentita, ma ho urlato più di una gola persa. Ho urlato più di boato in cielo. Ho parcheggiato la mia voce su quel pavimento. E tutto si è fermato. Tutto si è lentamente spento.
Il sorriso di mia madre, le sue maglie colorate. I suoi capelli castani dorati, le sue belle parole sprecate nei miei confronti, le sue amiche e la lettera che mi scrisse quando morì papà. Scompariva lo sguardo suo, dietro quello di mamma; scappava via la loro voce, i rimproveri, gli anni dannati. Scivolavano via come nebbia in aria anche le belle giornate, quella natura che affascinava i miei fianchi. Andava via l'erbetta vispa che assaggiava il mio fondoschiena, dietro il palazzo abbandonato. Andava via il naso rotto. Andava via il sangue, andava via qualsiasi anfratto nella mia testa. Stavo scomparendo e non possedevo alcuna forza per farla franca.
Perdevo la mia adrenalina. Perdevo le mie spalle.
Perdevo il mio piatto di Spaghetti, il mio ultimo pasto.

E rimasi inferma, su una pozza di sangue. Con lui affianco che deteneva i miei ultimi respiri.
Non ricordo nessun colore, nessuna classica luce di cui tutti parlano. C'era solo un torpore, un silenzio instabile e la sensazione che tutta la mia vita stesse scomparendo. La sensazione di perdizione, di aver perso casa, di aver perso identità, di aver perso i miei organi. Di aver perso ogni mia tipica sensibilità.
Ero morta ed ero appena entrata in pubertà.
Perché, allora, il resto della vita mi risultava come vissuto? Come perso?
Io ero stata lì, sempre, ad ogni evento che giaceva in quel casino. Ma non ero io.
Ero una costruzione, una falsità irreale. Io ero morta, non avrei mai potuto stare con mia madre, vederla sorridere. Vedere i fiori in giardino crescere, vedere le mie gambe divenire più lunghe e dritte. Vedere i miei difetti.
Non ero io. E non riuscivo a spiegarmi.
Ero io, ma non c'era più niente di me dentro quei ricordi.
Il freddo stava andando via.
Anche lui, non piangeva più sul mio sangue.
Ero quasi libera. Quasi del tutto libera.

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