Rossetto e labbra blu

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Il letto era così caldo che, mai, avrei voluto scostarmi da esso.

Quando si è bambini, il proprio letto è come una vera e propria fortezza; ci si sente così forti, così protetti ed eterni. Le coperte proteggono i corpi dai mostri, dai demoni, dalle sconsiderazioni. Le lenzuola cercano di coccolare i sogni, di addolcirli più di quanto davvero si possa fare. Come se ci si potesse mascherare all'interno di questo grande involucro di cotone, così fresco e pulito.

" Riuscivo a guardare il cielo nero, senza luna che si nascondeva dietro l'impronta della mia casa. Immaginavo lo spazio, il tempo fermo all'interno di quelle stelle così lontane l'una dall'altra.

Avrei voluto trovarmi in quel campo di luci disordinate e mortali; un po' di stelle sul corpo, forse mi avrebbero nascosta. Avrei voluto fondermi, perfino, con una di esse, avvicinarmi maggiormente al grande Sole e stargli accostata, così vicino fino a bruciare anch'io. Mi sarei depravatamente riscaldata e di sicuro, avrei lasciato questa stanza piena di colori e di profumi.

Di questo ambiente non mi piace nulla, l'illuminazione forse è troppa, non mi piace molto la luce.

Mi illumina il volto, illumina i volti degli altri ed io, vorrei tanto restare da sola, senza alcun viso.

Non tollero quelle bambole, spoglie e sedute sulla medesima mensola da mesi. Tutte perfettamente controllate per apparire amorevolmente buoniste e giuste, per il gioco di stupide bambine.

A volte, mi sembrano così tristi, intrappolate dentro il loro cordoglio di rossetto fatto di vernice tossica; mi sembrano così tristi, intrappolate nei loro vestiti così imbarazzanti e colorati. Troppo colorati per apprezzarli davvero. Le ho portate con me in giardino due volte, mi hanno annoiata subito. Perché avrei dovuto giocare con dei pezzi di plastica vuoti e muti, che non rimandano mai a nessuna parola, mai a nessuna vergogna, mai a nessuna umanità?

Le ho posate subito dopo, con indifferenza, senza curarmi dei loro sentimenti astratti e finti, montati come i loro capelli su quella dannata testa plastificata e inquinante.

Su quella mensola riposavano anche i libri per bambini, i libri di storie e fiabe tutte da raccontare la sera, prima di andare al letto.

Io, ne conoscevo soltanto una. E penso che mi sarebbe bastata per l'intera mia mortalità.

Era la favola di Cappuccetto Rosso, ma in verità non la conoscevo poi così bene. Chi me la raccontava portava con sé sempre diverse versioni della vita di quel maledetto Lupo, che una notte a settimana diveniva una talpa, o un leone, o un cane, o un orco. La bambina sporca di rosso, invece, diveniva una contadina, una combattente delle armate del Re del paese di Rosso, o una semplice bambina alla quale non piacevano le storie, come me. Mi piaceva quando riuscivo a non addormentarmi subito, adoravo ascoltare fino alla fine le imprese postume di quella bambina spaiata e senza genitori.

Una volta, persino, mi raccontarono che il Lupo e la bambina divennero amici e che lei curò la rabbia di lui e, viceversa, lui rese lei più forte. Le solite storie strappalacrime alle quali ti aggrappi voracemente quando hai meno di dieci anni e credi ancora che le lacrime siano il segno della tua civiltà umana nel mondo.

Mi sarebbe piaciuto vivere a Rosso, sembrava un paese così accogliente, genuino e utopico, ma dentro era falso e ipocrita come il mio. La gente bramava l'odio e il rancore come nella vita reale e a nessuno importava della bambina. Non c'erano occhi, non esistevano mani che potessero difendere la sfera affettiva di una preziosa quasi adolescente.

Mi raccontavano che Rosso era un paese pieno di alberi alti e verdi, con i tronchi tutti un po' decorticati e i bambini quando passeggiavano nel bosco, si nascondevano dietro quei pezzi di legno un po' offesi dai loro rimproveri. Non andavano mai bene, alcuni erano troppo bassi, altri avevano poca chioma, altri ancora non riuscivano mai a fiorire e le altre bambine non si accontentavano mai. Avevano bisogno sempre di nuovi fiori per colorire i propri capelli, per fuggire dallo schermo a tinta unica che incoraggiava il paese.

A volte, tra le parole di mio padre, mi perdevo, ed anch'io mi sentivo dietro quegli alberi, in sicurezza, ero salva da me stessa e da quei libri che nessuno mai avrebbe letto.

Toccavo le decorticazioni, uscivano formiche da ogni fessura che si univano alle mie mani e mi brulicavano in corpo. Con le foglie mi nascondevo gli occhi, le nervature che riuscivo a controllare con la punta delle dita erano il posto perfetto dove nascondersi. Il mio vestito rosso era così brillante e comodo che mai, avrei voluto lasciarlo. Io, nascosta a Rosso, con il mio vestito e con il Lupo in giro. Non avevo paura di incontrarlo, i tronchi mi avrebbero difesa. Non avevo paura perché l'avrei curato io, consegnandogli un pezzetto della stoffa del mio abito, sarebbe stato perfetto anche lui a Rosso, omologato al colore del paese, al colore degli altri abitanti. "

La terra trema

La mensola si è staccata dalla parete

Rosso non è più il paese di nessuna stravagante storia

Il Lupo è scomparso

E il mio vestito, è rimasto troppo piccolo per il mio corpo

Il rosso adesso brama sui miei occhi

Non dormo, non dormo

Mentre la terra continua tremare

Io urlo con lei

Entrambe prive di colore

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