L'ultima sigaretta.

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Ormai era quasi una settimana che io e Sebastian non parlavamo. O meglio, avevo provato a farlo chiamandolo una decina di volte, alle quali mi rispose solo la sua segreteria telefonica e, altrettanti messaggi che snobbò lasciandomi con il visualizzato.
Comportamento molto maturo da parte sua, quello di evitarmi come se fossi la peste.
Dopo l'ennesima telefonata senza risposta, lanciai sbuffando il cellulare sul divano, buttandomi poi di schiena su di esso.
Buttai un'occhiata verso la porta finestra che dava sul balcone, vedendo le gocce di pioggia scendere lungo il vetro; era la tipica giornata Londinese, piovosa e con il cielo grigio e dovevo ammettere che al momento rispecchiava alla perfezione il mio stato d'animo. Sentii delle chiavi girare nella toppa della porta del mio appartamento, vedendo poi sbucare Vivian con il suo vestito bianco in pizzo sangallo, che nonostante il brutto tempo, ancora si ostinava ad indossare, interamente asciutto. Posò il suo ombrello a pois blu e neri all'ingresso e chiuse la porta, togliendosi poi la giacca di jeans appendendola all'attaccapanni e posando alcune buste della spesa sul tavolo da pranzo in vetro.
"Per questa settimana siamo a posto con il cibo." mi comunicò, cominciando ad uscire i pacchetti dai vari sacchi, mentre dal divano guardavo i suoi movimenti.
"Ho comprato degli hamburger di soia da fare in padella," a quelle parole feci una smorfia di disgusto "No, non fare quella faccia perché sono buonissimi."
"Puoi mangiarteli tutti tu." dissi, nascondendo la testa tra due cuscini.
"Meglio così, non sai che ti perdi. Piuttosto, alza le terga e dammi una mano a mettere le cose in frigo. Scansafatiche." mi ordinò la bionda, facendomi alzare dal divano sbuffando.
"Hai chiamato Sebastian?" domandò tutto ad un tratto. Sbattei le palpebre più volte, per poi annuirle.
"Sì, ma questa è l'ultima volta che lo faccio. Gli avrò lasciato una decina di chiamate in segreteria ma non si è degnato di rispondermi nemmeno ad una." risposi, mettendo nel freezer gli spinaci congelati e chiudendo lo sportello con furia.
"È normale che sia arrabbiato. Non ti sei rivolta a lui nei migliore dei modi." mi disse, fece spallucce. La guardai allibita; stava dalla sua parte?
"No, che non è normale! Okay, ammetto di aver esagerato usando quel tono, ma ne avevo tutte le ragioni. Se gli avevo detto più volte di non volergliene parlare, perché insistere così tanto? Dovrebbe rispettare la mia decisione!" sbottai, alzando le braccia in aria.
"Avanti, mettiti nei suoi panni! Penso che anche tu se Sebastian ti nascondesse qualcosa, vorresti saperla."
"Non lo costringerei a parlare se non ne avesse voglia." replicai, passandole l'ultimo pacchetto di noodles da mettere nel mobile sotto i fornelli. Vivian poi si sedette sul divano, picchiò il palmo della mano su di esso per invitarmi a sedere e tese le braccia verso di me, per far sì che l'abbracciassi.
Le sedetti accanto, mentre lei appoggiava la mia testa sulla sua spalla, come faceva sempre quando ero giù di morale o arrabbiata.
"Hai bisogno sfogarti un po'?" chiese, appoggiando la guancia sulla mia tempia; io annuii portando le ginocchia al petto.
"Vedere Francesco è stato come se mi avessero buttato un secchio d'acqua fredda addosso. Mai avrei creduto che dopo tutto questo tempo sarebbe tornato a cercarmi."
"Ma perché è venuto? Cosa vuole da te?"
"Che dovrei riallacciare i rapporti con la mia famiglia e di dargli un'altra possibilità." risi amareggiata e continuai a parlare.
"Probabilmente i miei cari genitori avranno problemi economici con la loro attività e per questo motivo vorrebbero riavvicinarsi a me, solo perché ho uno stipendio fisso e ben retribuito. Stessa identica cosa per Francesco, dato che la sua famiglia è socia della mia; se va a fondo una, si porta con sé anche l'altra e questo non converrebbe a nessuno."
"Dio mio, mi sembra di star ascoltando una storia dell'età medievale, quando le uniche cose che legavano una famiglia erano gli interessi. Com'è possibile che nel 2014 esista ancora gente di questo calibro?" replicò Vivian, scioccata e disgustata dalle mie parole; d'altro canto, come biasimarla.
"Gente simile non si è mai estinta. Comunque, non sono state le sue intenzioni sconvolgermi, ma la sua presenza. Per quanto abbia cercato di tirare avanti, lasciandomi alle spalle tutto quello che mi teneva legata lui, non riesco a perdonarmi per quello che ho fatto, anche se sono passati cinque anni. Mi sento un mostro, Vivian, un mostro."
"Margo, è normale che tu ti senta così, ne potranno passare anche duemila di anni, ma questo non cambierebbe il tuo stato d'animo. Sei stata indotta a prendere quella decisione, eri giovane, innamorata, incosciente e spaventata da quello che sarebbe potuto succedere, non puoi fartene una colpa. Sei una donna, è il tuo corpo, e se non ti sentivi di continuare, nessuno può giudicarti, perché la decisione spettava a te." 
"So che la parte più dura di questa storia sarà parlarne con Sebastian. Chissà che dirà." sospirai, spostandomi una ciocca di capelli dagli occhi. Prima o poi avrei dovuto affrontare questo problema spinoso.
"Penso che capirà il motivo per cui tu non abbia voluto dirgli nulla. E poi, ormai dovresti saperlo che lui è una persona dalla mentalità tutt'altro che chiusa. Andrà bene, vedrai." mi consolò, mettendo poi una mano sulla mia spalla.

Flashback
Era bellissimo, all'inizio. Le nostre mani intrecciate l'una con l'altra, i sorrisi che ci scambiavamo, la continua voglia di vedersi e passare del tempo insieme, che per noi era sempre troppo poco; eravamo due ragazzini innamorati. Era tutto perfetto, all'inizio.
Quel pomeriggio di giugno il caldo era afoso e, l'unica cosa che teneva al fresco me e Francesco, erano le fronde di un pino sotto il quale eravamo seduti.
Entrambi eravamo in silenzio da quando eravamo arrivati, l'uno di fronte all'altra, lui con lo sguardo rivolto verso il basso, il mio era fisso su di lui.
Si portò velocemente alla bocca la sua sigaretta, per poi far uscire una nuvola grigia. Fumava sempre le Marlboro quando era agitato ed io odiavo quando lo faceva; il loro odore era nauseante e forte da impregnarne i vestiti ogni volta.
"Almeno abbi il coraggio di dire qualcosa." sbottai, infastidita. Alzò gli occhi verso l'alto, incontrando i miei, aspirando di nuovo dalla sigaretta.
"Sto aspettando una risposta. Perché mi hai fatta venire?" chiesi, avvicinandomi.
"Dobbiamo finirla qua." disse schietto e con freddezza.
"Finire, cosa?" domandai confusa, sperando non intendesse noi e quello che avevamo costruito insieme.
Ci fu un attimo di silenzio, nel quale si sentiva solo il frinire delle cicale e il cinguettio degli uccelli, poi si decise a riprendere a parlare.
E ciò che disse spezzò la pace che si era creata intorno a noi.
"La nostra relazione." rimasi spiazzata, non potevo credere stesse dicendo per davvero.
"Stai scherzando, spero."
"Mai stato più serio." rispose subito, ancora con più freddezza di prima, se possibile.
"Dopo tutto quello che abbiamo passato, ora vuoi lasciarmi? Dopo che ti ho accontentato sempre ed in ogni cosa per non perderti?" domandai, con voce rotta e gli occhi lucidi.
"Prima o poi tutto finisce. Anche il mio amore per te. Accettalo." disse, finendo di fumare la sua sigaretta, spegnendola e accartocciandola sul terreno.
"Accettalo? Tu ti rendi conto di quello che stai dicendo? In tutto questo tempo non hai fatto altro che prendermi in giro, vero Francesco?"
"Io ho vent'anni e tu diciassette, ti aspettavi per caso che la nostra relazione durasse in eterno? Beh, se è così, ti sbagli alla grande." sbottò quasi infastidito.
"C'è un'altra?" chiesi tra i singhiozzi, tenendo saldamente il bordo del vestito a fiori tra le mani come valvola di sfogo, invece di torturare la mie labbra già rovinate.
"Non deve esserci per forza un'altra." disse facendo spallucce.
"Non ti credo."
"Sì, c'è un'altra. Contenta? Ti risparmierò il fiato per la prossima domanda che sono sicuro mi farai. È Miriana. Mi piace già da molto e non posso reprimere i miei sentimenti." confessò, con nonchalant, come se mi avesse appena raccontato di come fosse andata la giornata e non del motivo per il quale mi stava lasciando. Forse una coltellata al petto avrebbe fatto meno male di queste sue parole.
"Tu! Sei solo un fottuto egoista! Non hai pensato nemmeno per un minuto ai miei di sentimenti, a come sarei potuta star male per te? No, non l'hai fatto. Non l'hai fatto mai. Ti sei sempre preoccupato di te stesso." sbottai, mentre lacrime di rabbia scendevano fuori controllo lungo le mie guance.
"E nonostante mi senta una merda dentro, è stato quasi meglio non aver avuto quel bambino con te, perché non provi amore per niente e nessuno, a meno che non ci sia qualcosa che ti possa tornare in cambio."  continuai puntandogli il dito contro, mentre mi guardava fisso negli occhi impassibile.
Ormai distrutta, decisi che l'unica cosa da fare in quel momento fosse andare via e tornare a casa, rinchiudendomi in camera mia, dove avrei trovato un minimo di pace e avrei potuto sfogare la disperazione e la rabbia che, in quel momento, avevano completamente offuscato la mia mente. Così, alzandomi da terra andai verso la mia bicicletta appoggiata all'albero, salendo poi su di essa.
"Addio Francesco. Spero di non rivederti mai più." conclusi e, dando una pedalata, lo lasciai solo, in quello che prima era il nostro posto segreto, dove custodivamo i ricordi più felici ma che ora erano diventati solo un mucchio di bugie.

Spazio autore
Capitolo di passaggio e forse un po' noioso, ma volevo rendere più chiaro cosa fosse successo in passato. A presto con il prossimi capitoli! :3

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