Capitolo 4

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La moto corre lungo le strade di Seattle, mi guardo intorno, questa città non smetterà mai di affascinarmi. Osservo alcune persone camminare lungo il marciapiede, altre sono fuori da qualche locale con una birra in mano a ridere con i propri amici, vedo due bambini rincorrersi ed involontariamente cresce un sorriso sulle mie labbra. La spensieratezza dei bambini è la cosa più bella che noi adulti non potremmo mai non guardare, senza suscitare in noi delle emozioni.

Chiudo gli occhi, percepisco il vento accarezzare il mio viso, sfiorare la pelle delle mie gambe nude e penso, forse se guidata con prudenza non è poi così male andare in moto. Siamo entrambi senza casco, affianco il mio viso al suo, un odore di miele mischiato ad un'altra fragranza invadono il mio olfatto, sorrido lasciando andare un sospiro; il miele ed il muschio saranno la mia morte.

Cameron accosta la Ducati vicino al marciapiede, mi fa cenno di scendere, lo vedo spegnere la moto per poi venire verso di me e affiancarmi; mi guardo intorno, di certo questa non è la via di casa mia, inizio a guardarlo mentre percepisco qualcosa salire lungo il mio stomaco, l'ansia.
Dio, ti prego, dimmi che non è un serial killer e che non mi farà a duecento pezzi per poi spargeli in qualche bosco e la polizia per trovare tutta la me spezzettata dovrà fare tipo caccia al tesoro. Per una volta, per una maledettissima volta che dó ascolto alle mie sensazioni e fidarmi di uno sconosciuto ecco come va a finire.

"Va tutto bene?" lo sento chiedermi.

"Certo!" gli rispondo prontamente con voce acuta, lo vedo guardarmi in modo strano "Mh mh, volevo dire, si, va tutto bene. Mi stavo solamente chiedendo per quale motivo fossimo qui".

"Ho pensato di fare una deviazione. Ti va un gelato?" vedo la sua mano passare più volte nei suoi capelli "ovviamente se per te non è un problema o se non vuoi ancora tornare casa, perché se così non fosse ti accompagnano immediatamente" percepisco il suo imbarazzo, rido, in alcuni momenti mi sembra così sfrontato e sicuro di sé, in altri invece lo vedo timido ed imbarazzato.

"No, va bene, mi va un gelato" rispondo sorridendogli, "perfetto" sorride.

°°°

Siamo seduti uno di fronte l'altro, con le nostre coppette piene di gelato posate sul tavolo fuori la gelateria.
"Da dove vieni? Non sei di qui" mi domanda continuando a gustarsi il suo gelato "Oh no, che cosa mi ha tradito?" ride fino a far spuntare due leggere fossette sulle sue guance, come ho fatto a non notarle prima?

"L'accento, decisamente l'accento" sorrido borbottando un 'accento di merda', ride ancora più forte "Io non direi che tu abbia un accento di merda, anzi è.." seguono alcuni secondi di silenzio "..particolare, mi piace" arrossisco "Allora, me lo dici da dove vieni?" richiede appoggiando le braccia sul tavolo, per poi incrociarle tra loro.

"Vengo dall'Italia, da Roma per l'esattezza" rispondo gonfiando il petto con fare orgoglioso.
"Wow, dev'essere una città bellissima, ci vorrei andare un giorno. Raccontami"
"Che cosa dovrei raccontarti?" gli domando. "Parlami di Roma"

Le mie labbra si allargano in un sorriso "Roma è casa, è unica, non esiste stupore al tramonto che quello di Roma. È una città che parte dalla propria bellezza al calore delle persone che la abitano".
"Da come ne parli, da come ti brillano gli occhi, ne sembri molto legata" mi fa notare "E lo sono, mi manca enormemente. Roma farà sempre parte di me, ma só che il mio posto è qui, dove sono ora".

Mi metto nella sua stessa posizione "Allora Cameron, adesso sono io che faccio una domanda a te, che cosa fai nella vita?" vedo il suo corpo irrigidirsi, che cosa gli prende?

Lo vedo prendere fiato "Sono un soldato dell'esercito Americano, è questo quello che faccio nella vita. Mi sono arruolato quando avevo 19 anni, adesso ne ho 28 e fortunatamente sono ancora dentro."
Adesso capisco il disagio che ho letto nei suoi occhi poco prima che aprisse bocca "Sei un eroe quindi", "Non è cosí che mi definisco, faccio solamente il mio lavoro".

"Bhè permettimi di pensarla in maniera diversa, credo che quando si parla di un lavoro pericoloso, un lavoro dove un'uomo, rischia costantemente la vita e nonostante ne sia consapevole, decide di restare, bhè allora è un'eroe." ribatto.

Cameron
Avevo paura di dirgli quale fosse il mio lavoro, già sapevo quale fossero state le sue parole "mi dispiace" oppure "grazie per quello che fai per noi" e mentre queste parole lasciavano la sua bocca è lì che avrei visto la sua pena per me, sul suo viso.

Ma non fu questo che accadde, ero rimasto colpito dalle sue parole, sembravano così giuste pronunciate da lei, è esattamente in quel momento che mi resi conto che lei, forse, poteva essere quella luce ad illuminare il buio, presente dentro di me.

Spazio autrice: spero che il capitolo vi piaccia! Come state passando questa quarantena?

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