Cap. I Senz'anima - Parte II

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Camminai tra le case del Quartiere delle Catene seguendo il filo dei ricordi. Il busto del dottor Stheiner mi aiutava a tenere le spalle dritte, ma di certo non a contenere il dolore, più acuto a mano a mano che il tempo passava.

Sapevo che quel dolore, checché ne dicesse il medico, prima o poi sarebbe diventato intollerabile e nemmeno le massicce dosi di morfina che mi venivano puntualmente iniettate avrebbero avuto il potere di alleviarlo.

E un giorno non troppo lontano quel dolore mi avrebbe uccisa.

Il vicolo che stavo attraversando sboccò quasi senza preavviso su una delle vie principali della città, costruita sulle tracce di un antico percorso per la transumanza dei tempi in cui la zona era ancora coperta della vegetazione rigogliosa delle campagne.

I lampioni a gas si ergevano come spettri di ferro sui marciapiedi; la loro luce intensa illuminava il pavé di pietre minute cementate insieme. La crosta spessa e scura della strada correva dritta tra palazzi signorili e muri di recinzione, risuonando del rumore dei miei tacchi.

D'un tratto, mentre stavo per raggiungere il marciapiede di fronte, più illuminato di quello dove mi trovavo io, un rumore insolito e disturbante ruppe la quiete della notte – i fuochi d'artificio non incendiavano più il cielo già da diversi minuti. Un rombo che pareva diventare sempre più forte si sovrappose al lungo lamento di un gatto in calore, finendo per sovrastarlo. Quando mi voltai alla mia sinistra scorsi una sagoma voluminosa che si stava avvicinando velocemente.

Restai a fissarla imbambolata senza riuscire a capire di cosa si trattasse. All'inizio avevo pensato a un omnibus, ma gli omnibus non producevano quel genere di rumore e per di più non riuscivo a vedere i cavalli incitati dal vetturino.

Il veicolo arrestò fortunatamente la sua corsa prima di finirmi addosso, accostandosi al marciapiede e fermandosi proprio sotto il cono di luce di un lampione.

In questo modo potei rendermi conto di che cosa stessi effettivamente guardando.

Ma quella... quella dev'essere... un'automobile!

Ne avevo sentito parlare molte volte, ultimamente, ma non ne avevo mai vista una. Sapevo che alcuni modelli sarebbero stati presenti all'Esposizione Universale che si sarebbe tenuta di lì a poco in città – evento che Cartago ospitava per la prima volta – ma non avrei immaginato di ritrovarmene una davanti così, per caso, in piena notte.

Dalla vettura scese un uomo vestito in modo tanto appariscente da contrastare con il colore della carrozzeria, di una tonalità scura, forse un blu che virava al nero. Indossava una specie di uniforme da ufficiale, con tanto di mostrine cucite sulle maniche, ma la giacca rossa, con le profilature dorate, era piena di lustrini che scintillavano alla luce del lampione. I pantaloni, senza essere meno sgargianti, erano larghi sulle cosce fino alle ginocchia, per poi stringersi sugli stinchi.

L'uomo, che a ben guardare era molto più giovane di quanto avessi pensato inizialmente, si ravviò i capelli scuri con una mano e poi tirò fuori dall'automobile un barattolo, un pennello e un mucchio di fogli.

Quando si avvicinò al muro di recinzione che gettava la sua ombra sul marciapiede, e che era in parte coperto di annunci mortuari, tariffari delle case di piacere e manifesti che annunciavano l'imminente Esposizione Universale, cominciò a incollare quelli che parevano volantini pubblicitari stampati con il ciclostile.

Raggiunsi con il mio passo strascicato il marciapiede e me ne stetti a guardare da una ragionevole distanza. Osservai lo strano individuo che si dava tanto da fare per incollare i suoi minuscoli manifesti sopra quelli decisamente più grandi e appariscenti già affissi sul muro.

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