Cap. V Gli Amanti Parte I

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Dovetti imparare a mie spese che comprare la libertà di una persona, firmando con il mio nome il suo atto d'acquisto, era un gesto che avrebbe avuto delle conseguenze poco piacevoli.

A Cartago, dove la schiavitù era così importante che persino sulla bandiera erano effigiate le catene, il mio gesto non appariva tanto eclatante. Ma i miei conoscenti mi avevano probabilmente considerata eccentrica per aver scelto come schiavo un pericoloso Alato che neanche la frusta avrebbe saputo domare.

Per gli schiavi che non si rassegnavano alla propria sorte c'erano solo la tortura e, se neanche quella fosse bastata, la morte.

Oltre che eccentrica, quindi, ero quasi certa che la gente mi ritenesse stupida per aver investito i miei soldi in un acquisto chiaramente inutile.

Dal canto mio, non avrei mai permesso che Mizrael venisse torturato, tuttavia se non fossi riuscita a renderlo in qualche modo inoffensivo, se non docile, sarei stata costretta a tenerlo segregato per il resto della sua vita. E questa era una possibilità che mi rifiutavo di accettare.

Dopo aver subito la tortura della garrota, era stato condotto nelle segrete dei sotterranei in pessime condizioni. Avevo dovuto pagare uno dei sorveglianti con quanto rimaneva dei dinari guadagnati alla Casa del Loto per costringerlo ad avvicinarsi allo schiavo e a estrargli la pallottola.

Per un po' era andato tutto bene, ma quando il ferito aveva cominciato a dimenarsi furiosamente, in un rumoroso tintinnare di catene e anelli di ferro, il sorvegliante si era tirato indietro.

– Non posso ricucirlo se continua ad agitarsi così.

Tuttavia non aveva aspettato che si quietasse, lasciandomi da sola con l'occorrente per suturare.

– Lo faccia lei, signorina – aveva suggerito, prima di defilarsi. – Non è poi così diverso dal cucire l'orlo di un abito femminile o chiudere un tacchino ripieno!

Mi era parso di cogliere un sarcasmo non troppo velato in quelle parole.

Il sorvegliante era quanto di più simile a un medico avessimo nelle terre di Edmund. Era un uomo abituato a curare gli schiavi e non doveva essere pagato per le sue prestazioni, a differenza di un dottore vero. I dinari che io avevo dovuto dargli per obbligarlo a toccare il mio schiavo, non erano comunque che una minuscola parte della parcella di un medico qualificato.

Per Mizrael avrei potuto provare a rivolgermi al dott. Stheiner: ero quasi sicura che non avrebbe preteso un centesimo. Tuttavia avevo scartato l'idea, pensando a quanto l'uomo avrebbe apprezzato il poter mettere le mani su un Alato.

Temevo la possibilità che gli infliggesse più sofferenza del necessario, solamente per testare la sua soglia del dolore.

Allora mi ero rimboccata le maniche – letteralmente – e mi ero avvicinata al ferito. Dal foro che era stato lasciato dal proiettile rimosso usciva parecchio sangue. Non bisognava essere un medico per capire che bisognava disinfettare e chiudere subito.

Ma Mizrael non sembrava essere d'accordo.

Quando avevo provato a toccarlo era scattato contro di me come un crotalo e per la prima volta mi aveva sfiorato l'idea che avrebbe preferito morire, piuttosto che perdere di nuovo la libertà.

E mi aveva preso lo sconforto. Come avrei potuto curarlo se non voleva salvarsi?

Madida di sudore nervoso, con il respiro mozzo e il cuore che mi martellava in petto, avevo maledetto il sorvegliante che se n'era andato con i miei soldi senza aiutarmi almeno a tenere fermo il ferito. Non avevo compreso se lo avesse fatto perché detestava dover avere a che fare con un azrariano, perché mal sopportava di prendere ordini dalla "sgualdrinella" del barone o per entrambe le ragioni.

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