Dopo essere tornata alla carrozza, Gideon mi accolse con un tale evidente sollievo che per un attimo pensai che mi avrebbe abbracciato.
– Benedetto sia l'Unico! Sei tutta intera! – esclamò, aprendomi la porta della vettura. – Avete parlato a lungo, tu e i due del circo!
– No. Niente affatto – dissi, sporgendomi giusto un po' per afferrare la maniglia interna dello sportello e sbatterglielo in faccia.
– Va bene, Leda – sentii che diceva. – Mi pare che tu non abbia voglia di parlarne.
No, non ne avevo. Avevo solo voglia di piangere, di farmi uno di quei bei pianti che dopo mi facevano stare meglio.
Mi lasciai cadere su un fianco sul sedile imbottito e restai in quella posizione per tutta la durata del tragitto che mi separava dalle proprietà del barone. Non versai una sola lacrima.
Quando desideravo abbandonarmi alle emozioni il mio corpo manifestava l'irritante abitudine di restare impassibile. Quando invece mi sforzavo di mantenere il controllo, mi capitava di perderlo con estrema facilità. Mi scivolava via dalle dita, come le anguille ancora vive che le monache compravano una volta a settimana per tutte le orfane del monastero. Ricordavo bene il modo in cui guizzavano, quasi consapevoli della mannaia che si sarebbe abbattuta presto su di loro, mozzandone la testa. Anche dopo la morte continuavano a dimenarsi, reagendo al calore delle pentole.
Era mostruoso e bizzarro, eppure affascinante.
Arrivai alla tenuta che era quasi mezzanotte.
La signora Kant mi accolse sulla soglia con un viso smunto per la stanchezza e una candela in mano. – Leda, è molto tardi! Il barone è quasi impazzito perché non rientravi!
Sospirai, guardando l'orologio a pendolo con i dischi dorati degli ingranaggi in bella vista dietro uno sportello di cristallo. Quando non era impegnato a godere dei benefici dello ius primae noctis Edmund si accorgeva presto della mia assenza.
– Mi accompagna nella mia stanza, signora Kant? – chiesi, intrecciando il mio braccio al suo.
La donna mi guardò meglio stringendo gli occhi. – Sei una maschera di cera, ragazza mia! – esclamò. – Cosa ti è successo?
– Ho male alla schiena. Molto.
Quando m'innervosivo il dolore lo avvertivo più vivido, lungo tutta la colonna vertebrale. Affondava nella mia carne con dita acuminate e non aveva pietà.
– Che Dio ci aiuti, bambina mia! Appoggiati a me! – La signora Kant mi fece salire uno a uno i gradini della scalinata che conduceva ai piani superiori dove il barone e sue moglie avevano le loro stanze, rigorosamente separate.
Nella stessa ala del palazzo c'era anche la mia, piuttosto vicina a quella di Edmund.
Una volta là, la signora Kant mi aiutò a svestirmi, ma ogni movimento, seppur cauto, era una nuova stilettata alla schiena.
Soffrivo tanto che chiesi alla donna di somministrarmi della morfina e la pregai di fare in fretta. Poi lei si sedette sul letto e io mi sdraiai di lato, poggiando la testa sulle sue ginocchia. Indossavo solo una camicia di lino bianca senza maniche lunga fino ai piedi, con merletti di pizzo a decorarne l'orlo.
Malgrado la morfina sentivo il mio corpo andare a fuoco. Non riuscivo a dominare il dolore... Se almeno avessi potuto tirare con l'arco o esercitarmi con la frusta! Ma era troppo tardi e il barone mi avrebbe di certo reclamato subito per sé non appena si fosse accorto del mio rientro.
– Puoi dirgli che non stai bene, Leda – mi suggerì la governante, mentre mi accarezzava la fronte madida di sudore.
Ma io scossi la testa: Edmund era generoso con me, mi dava ciò che chiedevo, e soprattutto una certa libertà di movimento alla quale non potevo rinunciare. Se si fosse arrabbiato avrebbe potuto cambiare atteggiamento e diventare più possessivo nei miei confronti, cingendomi i polsi con catene invisibili che mi avrebbero tenuta ancora più legata a lui.
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Bloody Wings
FantasyNell'opulenta e corrotta Cartago, città-Stato che ha fatto del commercio di schiavi la sua prima fonte di ricchezza, il nuovo secolo si apre con la diffusione di invenzioni tecnologiche quali il motore a scoppio e il telefono. Tali innovazioni, tutt...