Cap. IV Bagliori metallici Parte II

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La notizia di quanto era avvenuto raggiunse Edmund prima che lo facessi io.

Quando arrivai trafelata al suo cospetto in condizioni pietose – sporca, lacera, con la schiena e le ginocchia che perdevano sangue – lui mi fissò attentamente senza dire nulla.

Era seduto alla sua scrivania di massello di noce, di fronte a una cappelliera di cuoio in cui nascondeva i sigari. Sua moglie Edna, infatti, anche se tollerava le relazioni extra coniugali del marito e la mia presenza alla villa, non riusciva proprio ad accettare il suo vizio del fumo.

Il barone aveva appena chiuso il portasigari celato all'interno della cappelliera, quando entrai nella stanza. Mentre mi osservava poggiò la lama di un coltello affilato contro la testa del sigaro scelto e la recise con un colpo netto. Fu solo esercitando un grande controllo sul mio corpo che riuscii a non trasalire.

Edmund scaldò il piede del sigaro ruotandolo sopra il fuoco di un fiammifero e infine ne portò la testa alle labbra, accendendolo. Assaporò il fumo socchiudendo gli occhi, poi lo buttò lentamente fuori dalla bocca, con una specie di sospiro.

– Sei qui – mi salutò, in un tono un po' troppo pacato. – Mi hanno detto che le tue compere sono andate a buon fine. Sei soddisfatta del tuo acquisto di oggi?

Io mi portai una mano alla bocca, prendendo a tormentarmi il labbro inferiore con le unghie. – Edmund...

– E dimmi, mia dolcissima creatura, – m'interruppe lui – con quali soldi hai potuto comprare il magnifico esemplare che hai condotto nelle mie terre, a mia insaputa? Non con le irrisorie somme che ti lascio ogni mese per le tue spese personali, dico bene?

Se avessi provato a mentire, sapevo che non me la sarei cavata. – No, non quelle somme – ammisi.

Lui mi guardò piegando un po' la testa, come per guardarmi meglio da un'altra angolazione. – Con quali soldi, allora?

– Non ho rubato, se è questo che vuoi sapere. Non ti ho mai sottratto un centesimo di dinaro, lo giuro.

Il suo sguardo consapevole si soffermò sulla collana di grani azzurri che mi scendeva sul petto e mi resi conto che aveva capito.

Perché era dalla vendita di alcuni dei gioielli che mi aveva regalato che ero riuscita a ricavare la cifra importante pagata per Mizrael, di certo non dagli "spiccioli" che guadagnavo presso la Casa del Loto – e che pure servivano ad arrotondare.

– Edmund – ripetei, strizzando le palpebre subito dopo e inveendo mentalmente contro me stessa perché sembrava che il suo nome fosse una sorta di formula magica.

Le tende color porpora drappeggiate alle finestre davano al volto del barone un colorito bruno che rese il suo sguardo più scuro.

– Perché hai voluto comprare uno schiavo senza il mio consenso, Leda? – mi domandò tra uno sbuffo di fumo e l'altro, mentre faceva ruotare il sigaro tra le dita. – Perché proprio un Alato? Non mi sarei aspettato niente del genere da te.

Io alzai il mento con uno scatto, cominciando a perdere un po' della mia apparente calma. – Non l'avevo programmato! È... capitato...

Lui scoppiò improvvisamente a ridere. – Capitato, dici? Queste cose non capitano, mia cara! – Si alzò per venire verso di me, dopo aver poggiato il sigaro sul posacenere.

– Sai che cosa penso degli azrariani, Leda. Sono selvaggi che godono nel versare sangue umano. – Mi infilò le dita tra i capelli, tirandomi leggermente la testa all'indietro. – Cartago non è stata ancora toccata dalla guerra, ma gli umani delle altre città-Stato muoiono ogni giorno per mano di quelle creature senza Dio. E tu mi porti qui proprio uno di quei demoni alati?

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