Capitolo XXVIII: Prigionieri

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   Le ore passarono monotone.
Il cielo si era nuovamente annuvolato durante il pomeriggio. Mentre Abegail era rimasta nella soffitta - immersa tra le strane parole di un libro - Cassandra e Nathalie avevano trovato qualcosa di diverso con cui impegnare la giornata.
Nat aveva aiutato Victor, spostando alcuni resti del capannone e riordinando. Avevano in mente di ricostruirlo, sembrava che persino Samuel fosse d'accordo.
Tuttavia non sapevano bene da dove cominciare. Avevano bisogno di molto più materiale e un clima a loro favorevole.

Cassandra intanto si stava dilettando nel respirare serena all'aria aperta. Si era seduta su di un'asse di legno, all'ombra dei larici che dividevano la proprietà della famiglia e un piccolo bosco di conifere e arbusti. Ai suoi piedi crescevano rigogliose delle ginestre.
La bambina stava imparando a non lamentarsi e a godersi ogni momento come se fosse un dono.

La mattina si svegliava per correre allo specchio e cercare la sorella, spesso finendo per piangere. Voleva che Clarissa vivesse assieme a lei, tramite il suo aspetto: solo questo le dava la forza di placare le lacrime. Ogni singolo giorno.

— Vuoi restare ad oziare, oppure ci vieni a dare una mano?

   Le venne chiesto e lei subito si riscosse, accavallando le gambe.
Aspettò qualche secondo per osservare i suoi capelli sospinti dalla brezza proveniente dalla spiaggia. Non ci aveva mai fatto realmente caso, ma erano dello stesso colore di quelli di suo padre. Poco dopo decise di alzarsi e - sbuffando - aiutò a portare degli scatoloni in casa, concentrando i pensieri sull'oceano che era distante pochi chilometri.
Non lo aveva mai visto e sperava che presto avrebbe potuto farlo.

Le azioni dei tre andarono avanti per molto - a volte rallentando per la stanchezza - finché Elizabeth rincasò, seguita dalla madre. Dopo pranzo Talia era andata a fare la spesa, usando quell'esigenza come pretesto per allontanarsi e lasciare spazio al marito. Infatti Samuel e Alexander discussero per tutto il pomeriggio, all'interno dello studio. Il ragazzo raccontò a grandi linee cosa fosse successo nel Castello nel Cielo, soffermandosi solamente sui dettagli che riguardavano l'arrivo di Caliel.

Immaginava che a Samuel premesse molto di più sapere al sicuro la propria famiglia che conoscere come gli angeli si sarebbero organizzati. L'importante era che fossero pronti ad intervenire. Tuttavia non poteva pensare che quella notizia avrebbe innescato una maggiore preoccupazione nell'uomo.

Lui si prese la testa fra le mani, in conflitto tra l'essere sollevato e in pena. Non lo aveva ancora detto ufficialmente - almeno non all'intera famiglia - ma avrebbero dovuto rivedere le loro spese economiche. Gli erano inoltre arrivate delle email da Dublino in cui gli si chiedeva con fermezza la restituzione dei suoi strumenti. Samuel li aveva costruiti a spese del College, con il materiale che gli avevano concesso per la sua folle ricerca. Sentiva il mondo crollare giorno dopo giorno e - quella volta - non aveva alternative. Non poteva più scappare dalla realtà né abbandonare la sua famiglia: tutti dipendevano da lui.

— Samuel, mi stai ascoltando?

   Alexander lo richiamò confuso.
Erano ormai parecchi minuti che gli pareva di star parlando a vuoto.
Lo sguardo dell'uomo era infatti rivolto alla scrivania e fisso in pensieri lontani. Successivamente lui sbatté le palpebre per poi scuotere il capo e sussurrare delle scuse.

— Ero sovrappensiero... — spiegò poggiandosi completamente allo schienale della sua poltrona. — Sei stato molto bravo e coraggioso, credo che quando arriverà questo angelo sapremo nuovi sviluppi...

— Però c'è qualcosa che ti preoccupa, vero?

   Samuel fece una smorfia, sorridendo debolmente. Diede una rapida occhiata oltre la finestra che aveva davanti a sé. Allungando il collo poté scorgere i ragazzi passare rapidi davanti alla casa e correre poi nuovamente sul retro.
Dopodiché si schiarì la gola. Sentiva che di Alexander poteva fidarsi. Probabilmente era la sua natura che lo spingeva a confessarsi e ricercare un'uscita dal malumore.

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