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"È Park Jimin."

Era senza dubbio lui. Quegli occhi carichi di fuoco e pioggia, quel volto dai lineamenti dolci ma decisi e quella bocca voluttuosa li avrebbe riconosciuti ovunque. L'eccezionale vocalist dei BTS aveva una fisionomia troppo unica per poter essere confondibile.

"Ma che cavolo, sono un'ARMY! Come ho fatto a non accorgermene? Era palesemente lui, anche con la maschera! Che diavolo sta succedendo?"

-Sì, sono Park Jimin. E tu sei?-

La voce del ragazzo la raggiunse accarezzandole le orecchie ma schiaffeggiando la sua mente, ancora incredula per la stupidità della situazione. Rimase qualche istante con la bocca leggermente aperta, cercando di fare ordine nel suo cervello.

"Chiudi quella fogna, ti ci entrano le mosche."

Serrando le labbra di scatto, distolse gli occhi da quelli di lui e prese a studiare li arabeschi della carta da parati.

-Chang Jein.- pronunciò velocemente, mangiandosi le lettere.

Il suo interlocutore, allora, fece un passo avanti e piazzò il suo viso proprio davanti all'interessante visuale della ragazza. Sbattè le palpebre freneticamente, cercando di risultare impassibile, mentre un sorrisetto iniziava ad incurvare un angolo della bocca del suo seduttivo accompagnatore.

-Ebbene, Chang Jein-ssi*...- iniziò  il ragazzo facendo scivolare la sua pallida mano su quella di lei -...se siamo entrambi padroni di questo sogno, come la mettiamo?-

Quando ebbe terminato di pronunciare la domanda, Jein alzò un sopracciglio e gli rivolse un'espressione scettica.

"La mettiamo che tra un po' mi sveglierò e tu sparirai."

Aprì la bocca per dare forma ai suoi pensieri, quando fu interrotta da uno scoppio. Il rumore, simile ad un'esplosione lontana, riverberò nella stanza vuota e i timidi vetri delle finestre tremarono leggermente al suo cospetto. Istintivamente si girò verso Jimin, che la fissava con un interrogativo inespresso negli occhi.

"Sei stata tu?"

No, non era stata lei. E non era neppure la causa degli altri tre scoppi che riempirono subito dopo la stanza, ormai fredda a causa della mancanza di abitanti. Di tacito accordo, i due ragazzi si voltarono avvicinandosi alle imponenti porte finestre che davano sull'esterno. Quelle, come le porte del salone, si aprirono da sole, servendo una vista su un giardino di cui non si riusciva a scorgere il confine. Quando la mano di Jimin la incitò docilmente a proseguire, si affacciarono al bancone di pietra sospeso su un folto cespuglio di rose selvatiche.

Gli occhi di Jein presero a studiare l'intricato labirinto creato dai cespugli, che ergevano imponenti muri di verde e convogliavano al centro in una fontana. La sua attenzione indugiò sulla statua di una donna dai tratti fastidiosamente famigliari che, piegata su se stessa, spendeva lacrime infinite che si raccoglievano nel bacino ai suoi piedi. Per qualche motivo, quella vista le strinse lo stomaco e le provocò un vago senso di sofferenza nei recessi della sua coscienza. Il dolore nei suoi occhi e nelle sue rughe appena accennate insieme alla disperazione delle sue mani, ancorate alle sue spalle nel tentativo di racimolare un briciolo di calore e serenità, sembravano parlare direttamente a lei, sua unica spettatrice. Un senso di nausea le stuzzicò la gola, ma non ne comprese il motivo.

-Guarda.-

Jimin la strappò dalla sua silenziosa contemplazione sfiorandole leggermente la mano e facendole sollevare lo sguardo sul cielo notturno, dello stesso colore del suo abito. In quella tela scura, comparve improvvisamente un fiore di fuoco, che esplose con lo stesso scoppio che avevano sentito in precedenza e fece scivolare le sue ceneri sopra la linea dell'orizzonte.

Dreamland (P.JM)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora