I - uno splendido inizio

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Frammenti di legno della matita fra i denti. È consumata, ma la punta è intatta. La stanza si sta schiarendo, la cucina è meno buia. La tredicesima mattonella sulla prima linea orizzontale del paraschizzi è scheggiata. Sole del mattino che filtra dalle tende di nylon grigiastre - no, niente sole, è nuvoloso, i pochi raggi svaniscono in fretta. Forse pioverà. Una tipica giornata di Londra. Le auto sono già in movimento, si sente il rombare dei motori dall'appartamento. L'autobus delle sette e un quarto dovrebbe passare a momenti, ha il freno rotto e stride quando accosta alla fermata. Un picchiettio sul vetro della finestra, ecco la pioggia. Barboncino di un metro e novanta con un pigiama ad astronavi.

《Cazzo!》

Il riflesso involontario della gamba che lo dondolava contro il tavolo rischiò di farlo cadere, Roger cercò di controbilanciare il peso, ma finì solo per andare a sbattere le costole contro lo spigolo di plastica. Sconfitto, soffocò un lamento affondando la testa nel libro aperto davanti a lui.
《Fanculo Brian, mi hai fatto prendere un colpo.》

Ispirò tra i denti il dolore e si massaggiò la zona colpita con le dita, il coinquilino già intento a riempire il filtro della caffettiera.

《Buongiorno anche a te, Rog.》
Si voltò e si appoggiò al minuscolo cucinotto dietro di lui.
《Stavo per chiederti se avessi dormito bene ma...》
Guardò la porta chiusa della camera da letto e poi l'amico.
《presumo che tu non lo abbia fatto.》

Roger si stirò le braccia sopra la testa e sfoggiò il miglior sorriso che una persona sveglia da 22 ore potesse offrire.

《Scusa se sono così dedito agli studi, al contrario di qualcun altro.》

Brian riassunse la sua risposta in un sospiro rassegnato e si girò a prendere due tazze dalla mensola sopra la sua testa.

《Non riesco neanche a guardarti, hai gli occhi di un demone. Ti sei tolto le lenti a contatto, almeno?》

Il demone dai capelli biondi si strofinò gli occhi, permettendo che si umidificassero un po' e fece che togliersi le lenti e buttarle via. Ecco spiegate le lacrime della sera prima.

Prima che potesse pensare ad un ritorno sarcastico, Brian gli mise in mano una tazza fumante e Roger buttò giù la sua dose di caffeina bollente, non senza bruciarsi la lingua, il palmo e i polpastrelli.
Notando però lo sguardo di disappunto del riccio che si trovava davanti, decise di bere il resto con più calma, cercando almeno di assaporare il gusto del caffè solubile dell'unica sottomarca che si potevano permettere.
O nelle parole di Brian, le cose che erano costretti a comprare perché qualcuno era troppo orgoglioso per chiedere un aiuto, un sostegno.
Soldi. Intendeva soldi. Ma questo non lo diceva, perché Brian May doveva sempre girare attorno ad ogni cosa, senza mai venire al punto, sperando che gli altri ci arrivassero da soli. Questo faceva solo irritare Roger ancora di più.
Odiava avere debiti con le persone, o le persone in generale secondo i commenti di sua sorella.
In realtà non odiava la gente, o almeno la maggior parte di essa.  Semplicemente gli importava più di nulla. Era come se sulla sua vita fosse steso un velo grigio, che rendeva tutto uguale. Si trascinava avanti per inezia e a forza di incazzarsi senza motivo nei momenti meno opportuni, ma una volta sfumate queste botte di emozioni negative... diventava completamente indifferente.
Eppure la notte insonne che aveva sopportato diceva tutt'altro, e questo Brian lo notò subito.
Il riccio accennò con il mento il libro di testo aperto sotto i gomiti dell'amico.

《Esame?》
Roger annuì con un grugnito e spinse via il volume di anatomia che lo scherniva in silenzio. Finì il suo caffè e si pulì la bocca sulla maglia del giorno prima.
《Tutta la notte? È così difficile?》
Il riccio non mollava.
Scrollò le spalle e appoggiò la tazza sulla pagina che descriveva i muscoli del viso, creando un cerchio marroncino attorno al muscolo orbitale dell'occhio sinistro.
《Rog... che è successo?》

Il biondo lo studiò per un momento, poi posò lo sguardo sul manico della tazza che stringeva in mano. Avrebbe potuto tirargliela in testa molto facilmente se avesse di nuovo fatto prendere aria a quella sua lingua.
Brian era fin troppo bravo a preoccuparsi delle persone, un'altra cosa che Roger non sopportava.

《Perché non posso avere un coinquilino normale, a cui importa solo di avere il suo ripiano frigo e pagare in tempo la sua parte di affitto?》
Ecco i nervi delle frecciatine che si risvegliavano, avrebbe detto sua sorella.
Brian rispose versandogli altro caffè e Roger accettò subito la tregua.
《Cheril... esigeva - no, insomma, non proprio... lei ha detto che voleva telefonarmi alla fine del suo turno, visto che non ci sentivamo da-》
Uno sbadiglio riuscì a scappare dalla sua bocca:
《-... un po'.》
Concentrò lo sguardo su una goccia di caffè che colava giù dal bordo della tazza e diventava un'altra macchia sul disegno tutto muscoli.
《E poi beh... la cosa è andata avanti per un paio d'ore e ho finito per studiare tardi.》
Si leccò via dal pollice quel che rimaneva del suo prezioso nettare nero e strinse le spalle.
《Ma è stata un'esperienza interessante, non avevo mai visto l'alba su Londra... soprattutto quando l'alba non c'è e le nuvole della notte vengono semplicemente rimpiazzate da quelle del mattino.》
Roger si allungò per controllare l'ora sul telefono lasciato in carica per terra.
《Ma Bri! Si è fatto tardi, non siamo mica ad un bar a chiacchierare!》

Brian aprì la bocca per replicare, ma il biondo aveva già terminato la propria dose di condivisione dei sentimenti per la giornata ed era schizzato via in bagno per una doccia gelata e possibilmente dei vestiti puliti.

***

Il tragitto in metro verso l'università fu relativamente tranquillo.
Brian si era fatto carico di portarsi entrambi gli zaini, date le condizioni dell'amico.
Lo aveva mollato sul primo posto disponibile che aveva trovato, prima che salissero gli altri pendolare  e ora lo stava controllando dalla parte opposta del vagone.
Era davvero in condizioni pietose, ma per via degli occhiali da sole che si era messo prima di uscire, non riusciva a capire se Roger stesse dormendo o solo pigramente guardando il telefono.
In fondo non poteva che provare pena per lui. Sapeva che il biondo trovava irritante che Brian si occupasse di lui come una mamma chioccia, chiedendogli continuamente come stava e dandogli consigli e raccomandazioni secondo lui inutili, ma non lui poteva fare altrimenti.

Nei due anni della loro convivenza - dire amicizia era un azzardo - Brian lo aveva visto con il dito perennemente alzato sopra il tasto dell'autodistruzione, vicino, sempre nella prossimità di farlo, ma senza mai prendere l'iniziativa.
Tirava avanti cavalcando il filo del rasoio, come un bambino sulla sua giostra preferita, e testardo com'era, non cadeva mai.
L'unica cosa che temeva era che un giorno Roger perdesse l'equilibrio e giù, caduta libera nell'oblio.
Il ragazzo sperava solo che in qualche modo sarebbe riuscito ad impedirgli di farsi troppo male schiantandosi.

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