XII - vieni a mangiare?

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Fu questo il pensiero che elaborava mentre veniva strappato bruscamente via dal sonno. 
Si svegliò di scatto, divincolandosi tra le coperte che lo strozzavano. 
Dopo qualche attimo di panico riuscì a mettere a fuoco lo spazio attorno a sé e schiarire la mente. Il letto rivoltato, la camera in disordine come al solito, una macchia sfocata e mora in piedi davanti alla sola finestra aperta della stanza, da cui proveniva una luce che accecava gli occhi assonnati di Roger.
Quando riconobbe la figura, il ragazzo provò un moto di stizza:

《Fottiti.》

Grugnì, per poi ributtarsi a capofitto sotto le coperte.

《Buon pomeriggio anche a te, vuoi farmi l'onore di partecipare al pranzo di oggi?》

Brian stava cominciando a parlare in modo fin troppo fluente la lingua madre del biondo, il sarcasmo. Questo non andava bene, imparava in fretta, e presto ogni tentativo di stronzaggine sarebbe risultato inutile. Avrebbe solo usato la sua stessa medicina contro di lui.
Roger sbuffò al pensiero e gettò la coperta ai piedi del letto, sforzando il corpo a mettersi seduto contro la parete.

《Che ore sono?》

Biascicò e allungò una mano verso il comodino in cerca dei suoi cari e odiati occhiali.
Un Brian ora in alta definizione lo guardò a braccia incrociate e la testa appena inclinata, schioccando le labbra prima di rispondere.

《Le due e mezza, Roger. Mi stupisci sai, se non rimani a chiacchierare con gli uccellini fino all'alba allora eccoti che vai in coma per un giorno intero.》

Il caso medico si stirò le braccia sopra la testa e mostrò a tutta la stanza le sue belle tonsille con uno sbadiglio. 

《Che posso dire… sono pieno di sorprese.》

Ricambiò l'occhiata del coinquilino, imitando la stessa inclinazione della testa e sfoggiando un sorriso a labbra serrate.
Colta la provocazione, Brian lasciò andare le braccia lungo i fianchi e sospirò. Ecco che lo abbandonavano i primi frammenti di quella sua preziosa pazienza che sarebbe diminuita sempre di più con il passare della giornata.

《Vieni a mangiare? Per favore?》

Roger annusò l'aria prima di rispondere, l'odore che proveniva dalla cucina non sembrava affatto male. Soppesò l'orgoglio e il suo stomaco gorgogliante, e la fame ebbe la meglio:

《Presumo di sì…》

Le spalle di Brian caddero come se avesse appena superato una delle dodici fatiche d'Ercole, anzi, quella che sarebbe stata la tredicesima, Roger stesso.

《Bene. Grazie. Ti ringrazio per la tua risposta. Vestiti e vieni di là.》

Detto questo, uscì dalla camera e chiuse la porta dietro di sé.

Roger ricadde sul cuscino, a guardare il soffitto. La sua mente non potè che ritornare ai ricordi del suo sogno di quella notte.
Allungò il braccio verso l'alto, cercando di far affiorare dal cemento spoglio le stelle che avevano avvolto come una coperta luminosa e calda lui e il Re fatato.
Il suo Re.

Se chiudeva gli occhi ancora riusciva a percepire il suo sorriso, dolce come il profumo dei fiori del giardino che li aveva fatti incontrare, e la sua risata, leggera come la brezza che agitava il suo vestito.
Si strofinò il palmo con il pollice, tastando gli ultimi attimi di tepore che le dita dell'angelo avevano lasciato sulla sua pelle.Quei piccoli dettagli gli permisero di vederlo accendersi un'ultima volta nella sua mente.
Strinse d'istinto la mano, cercando di afferrare la figura che ora correva via da lui. Gli lanciava occhiate di sfida, una risata sfuggente, come a spronarlo a seguirlo.
A ritornare da lui.

Neanche il tempo di pensarci su che era già scappato via nell'ombra dei suoi ricordi.
La mano di Roger cadde con un tonfo sul materasso, lasciandolo stregato per poco tempo, perso nei suoi pensieri, prima che una vibrazione e un brontolio provenienti dalla sua pancia facessero cessare definitivamente l'incantesimo.

Castigato dalla realtà, Roger si dovette di nuovo sforzare in piedi.
Il suo stomaco gridava disperato per del nutrimento e le notifiche del telefono che arrivavano in massa contro il comodino ruggivano, aggredendo il sognatore appena svegliato.
Prese il dispositivo e mise a fuoco le scritte sullo schermo frantumato, per poi sbuffare alla vista del mittente.

Ci mancava solo lui.
Da quant'è che non lo sentiva, otto ore? Doveva essere un esperimento da Nobel se lo doveva assillare così tanto.
Roger raccolse le ultime briciole della propria buona volontà per rispondergli, ma aperto il messaggio scoprì che Freddie si era sforzato così tanto che gli aveva chiesto come stava e se quel pomeriggio si sentisse abbastanza in forma per incontrare tutti gli altri - studiava medicina, in fondo preoccuparsi della salute degli altri sarebbe diventato il suo lavoro.
Roger fece una smorfia alla vista del testo, ad altri sarebbe sembrato un sorriso sbilenco.
Non tollerava le cose troppo smielate, ma l'amico riusciva a premere i punti giusti per far sentire meglio le persone, soprattutto quando si rivolgeva a loro con nomignoli zuccherosi come "tesoro" o "caro".
Riuscì a rispondere in maniera piuttosto garbata, atipica avrebbe aggiunto, e lanciò il telefono sul letto, ignorando le notifiche dei gruppi di studio pieni di gente troppo ligia e studiosa per i suoi gusti.
Scavò nel suo armadio, o secondo Brian "la pila dei vestiti che lasci per terra", e trovò con successo una maglia e dei pantaloni puliti.
Si pettinò i capelli con le dita e andò dritto in cucina, assecondando i gemiti pietosi del proprio corpo.

Uscì verso il corridoio che collegava le stanze da letto, lugubre e claustrofobico.
Attraverso la porta socchiusa della camera del suo coinquilino sulla propria destra, Roger vide con la coda dell'occhio qualcosa che si muoveva. Per un secondo si spaventò, poi mise a fuoco attraverso gli occhiali il vecchio giradischi di Brian che rallentava sulla fine di una delle sue tipiche canzoni psichedeliche che gli martellavano le orecchie quando stava a casa. Il modo perfetto per svegliarsi. 
Alzò gli occhi al soffitto, sospirando. La maggior parte dei suoi mal di testa derivavano dai pomeriggi di studio passati con il sottofondo musicale - se si poteva definire tale, era più rumore senza parole e con infiniti assoli di chitarra - del fissato col rock che sfortunatamente divideva l'appartamento insieme a lui.
Era quasi peggio della musica che ascoltava sua sorella quando abitavano insieme, almeno lei cambiava i dischi più spesso di una volta al mese.

Scuotendo la testa passò oltre e sbucò in quello che con molta fantasia si poteva definire salotto, un divano sfondato e una tv appesa alla parete mal verniciata sulla sinistra, un cucinotto incassato al muro sulla destra.
Tra le mensole traballanti e i piani di lavoro tagliuzzati, senza contare i fornelli scassati e un frigorifero che durante la notte si divertiva ad emettere suoni preoccupanti, Roger non aveva davvero idea di come Brian facesse a cavar fuori qualcosa di commestibile tutti i giorni.
Ma si guardava bene dall'accenare al fatto che apprezzava i suoi piatti, limitandosi a commenti passivo-sarcastici sulla sua fissazione per il biologico e la sua dieta vegetariana. Per tutto quello che costavano era il minimo che poteva fare.

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