Chapter 6

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Mostro.. in quel momento ti sentisti in colpa. Non dovevi esserlo, eppure sentivi il bisogno di chiedergli scusa. Forse la storia che ti aveva raccontato,l'ultima versione, forse era che vero che l'aveva fatto per proteggere suo fratello. Volevi crederci.

"Allora vedi di venire a scuola domani" il tuo unico modo per non dimostrarti spaventata era questo: ti mostravi forte, ironica. Facesti finta che lui e tu foste amici d'infanzia, tu gli avevi fatto un torto, lui aveva messo il broncio e tu ora dovevi farlo ridere affinché si mostrasse di nuovo sereno. Percepivi quella strana sensazione che quella fosse la scelta più giusta possibile da fare. Dovevi trattarlo come un amico e speravi, nel profondo, che lui avrebbe fatto lo stesso.

Ti guardò male, e un silenzio pervase il salotto per qualche minuto. Sia tu che lui vi stavate lanciando sguardi di sfida; lui era irritato e tu volevi prenderti gioco della sua rabbia incontrollata.

Non vi diste nulla e probabilmente avreste continuato a rimanere in silenzio se la madre non si fosse piombata, nuovamente, in salotto.

"Rimani a bere un tè cara?" Solo allora ti girasti e con un ottima scusa per andartene salutasti cordialmente la signora Woods, e anche Jeffrey. Prima di andartene gli rivolgesti un ultimo sguardo che stava a significare "vieni a picchiarmi domani a scuola". Appena l'aria fredda ti entrò nei polmoni cominciasti a tremare: non era il freddo, ma era il pensiero di lui dietro di te, all'ombra, con un coltello. Con il tuo.

In quel momento non ti accorgeresti molto di quel flash nella tua mente, e nemmeno del perché avessi pensato proprio al tuo coltello tra le sue mani, ma in quel momento, non era importante.

Rientrasti sospirando, ti sentivi al sicuro. Nessuno ora avrebbe visto la tua debolezza, la tua paura, le tue preoccupazioni e le tue vere espressioni: quelle cupe, quelle vuote e quelle deboli piene di ansia.
Tua madre era in camera sua, probabilmente stava guardando una delle sue serie tv, dato che era il suo giorno libero, mentre tuo padre era in cucina a preparare il caffè.

"Ne vuoi un po'?" ti chiese di punto in bianco apparendo dietro di te, intenta a salire le scale. Ti girarsi velocemente tranquilizzandoti e mostrando la tua miglior espressione serena.

"Mhh sai che non mi piace il caffè" rifiutasti gentilmente, pur sapendo che era l'unico cibo commestibile che era in grado di fare, e in cui metteva il suo impegno. Insomma, era un caso perso in cucina, ma era questo che lo rendeva un padre perfetto.
Ti sorrise andando in salotto a girovagare tra i vari canali, quando ad un tratto qualcuno venne a suonare alla porta di casa.

Per la tua sfortuna, ti ritrovavi ad essere la più vicina, così andasti ad aprirla.
Ma appena girasti la chiave, appena il "click" della porta si fece sentire, appena il tuo sorriso si dipinse sul tuo volto intenta a  accogliere chiunque fosse, non vedesti nulla. Nulla di nulla, se non la casa di fronte  alla tua. Ti guardasti intorno, e pensando che qualche ammiratore segreto o spia del governo avesse mandato qualche lettera segreta per reclutarti come nuovo agente 007, e con tua predizione, trovasti una lettera totalmente nera.

La prendesti in mano senza esitazioni, e stranamente né tuo padre, il quale avrebbe dovuto chiederti del suonatore, né tua madre, la quale avrebbe dovuto sentire la campanella, ti chiesero qualcosa come se nulla fosse successo.

Eri vicina alla porta del salone, intenta a dire a tuo padre della lettera quando notasti il tuo nome e cognome in bianco nel bordo basso della lettera. Pensasti davvero l'idea del tuo ammiratore segreto, e se fosse stato così, non avresti avuto alcun bisogno di riferirlo a tuo padre. Così a passo leggero e silenzioso raggiungesti camera tua.

La curiosità ti pervase, mangiando ogni singola cellula di pazienza. Andasti ad aprire la lettera, staccando il sigillo bianco cera, che incollava le due estremità della busta, ma qualcosa scintillò nei tuoi occhi.

Un simbolo a forma di cerchio con dentro una croce rovesciata era impressa nel sigillo color bianco cera. No, forse era bianco di vernice.

Passasti l'indice e il pollice svariate volte sul simbolo, cercando nelle tue memorie di ricordalo, ma la ricerca fu vana, così apristi la lettera lentamente, attenta a non rompere il sigillo. E con tua sorpresa non vi era completamente nulla.

Il pensiero di uno scherzo fatto dai tuoi "bulli", ti fece incupire l'umore sereno che avevi. Mi hanno presa in giro, di nuovo.
Sospirasti buttando il pezzo di carta pece per terra, affondando tutto il tuo corpo nel letto soffice e morbido.
Eri delusa, tremendamente delusa, e se non fosse che era una lettera fin troppo bella, l'avresti bruciata a quell'ora.

Ti raggomitolasti nel tuo letto, abbracciando le tue ginocchia, mentre con l'altra mano, allungata fino al cuscino, prendesti il tuo caro coltello.
Vedesti i tuoi occhi [c/o] riflessi sulla lama dell'arma.

Era così bello.
Era così affilata.
Era così tagliente.

La portasti al petto, come per proteggerla da ogni male, quando in realtà, era lui il Male racchiuso in una lama, la quale rifletteva solo ed unicamente il tuo viso.

"Proteggimi"

+×+

Il mattino seguente, uscita da casa, aspettasti che lui uscisse da quella porta, verniciata in bianco, sperasti che ti venisse incontro con il suo solito sguardo annoiato e stanco, eppure il tempo non si sarebbe fermato per te e nemmeno per lui.
Lanciasti un occhiata all'orologio sul polso, il quale segnava le otto meno trenta; l'autobus sarebbe arrivato fra cinque minuti, e tu, in quello stato, avresti dovuto correre come una gazzella per arrivare in tempo.
Eppure le tue gambe volevano attendere ancora un po', solo un altro po'.

Ma ormai il tempo non ti avrebbe più aspettata.

Stringersti la cordicella dello zaino, cominciando a correre nella nebbia, sperando che il veicolo sarebbe arrivato in ritardo. Correvi come una matta, maledincendoti di averlo aspettato.
Infondo cos'erano le tue parole per lui?

Nulla.

Arrivata in tempo davanti alla fermata, ti fermasti per riprendere fiato, quando qualcuno di fronte a te decise di parlare.

Alzasti il busto, aiutandoti con le mani poste sulle ginocchia.

"In ritardo eh? [t/c]?"

Un sorriso beffardo ti era rivolto.
Non uno di quegli dolci, né uno di quegli speciali e paradisiaci, ma uno di quegli che ti avrebbero potuto prosciugare la linfa vitale.

In tutti i sensi.

The Knife || Jeff The Killer || XReaderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora