Capitolo 1 - La mia follia

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~ Sii sempre con me, assumi qualsiasi forma, fammi impazzire!   
Solo non lasciarmi in questo abisso dove non riesco a trovarti! ~
Cit. Emily Brontë (Cime Tempestose).


Capitolo 1

La mia follia

Non vedevo nulla.
Tutto intorno a me era buio, completamente buio.
Sentii il rumore del vento incanalarsi in un punto indefinito dello spazio circostante. Capii di essere in una specie di stanza. Sentivo il freddo penetrare pelle, carne e giungere alle ossa.
Una goccia cadde sulla pietra in lontananza ma arrivò alle mie orecchie come un boato.
L'odore agre e pungente di umidità mi faceva girare la testa. Lezzo di escrementi e sangue vi si accompagnavano come pari.
La mia schiena poggiava su quella che sembrava pietra grezza. Il suono di uno squittio mi fece alzare di scatto e allontanare dalla parete.
Non ero in grado di vedere nulla. Mi voltai da una parte all'altra convulsamente. Urlai.
Non sapevo se non riuscissi a vedere per il buio, o se fossi cieco.
La mia attenzione venne attratta nuovamente dall'incessante gocciolio, di quella che speravo fosse solo acqua. Cadde e cadde ancora.
Rimasi immobile in ascolto di ogni minimo rumore o variazione sensoriale, ma per quelle che sembrarono ore nulla cambiò, solo il suono di quelle piccole perle liquide che colpivano la roccia, perpetuava nel tempo.
I pensieri viaggiavano come animali in fuga per il terrore.
- Cosa sta succedendo? – mi domandai.
Una stilla si schiantò al suolo.
- Dove sono? -.
Una altra colpiva la pietra.
- Come sono finito qui? -.
Goccia.
- Da quanto sono qui? -.
Quel leggero rumore, tanto fastidioso da rimbombare ovunque, portava ad impazzire. E per quanto ci stesse riuscendo, fu l'unica cosa che mi permettesse di percepire lo scorrere del tempo. Riuscivo, così, a rendermi conto che tutto quello non era immobile ed eterno. Se c'era movimento allora il tempo fluiva. Quindi, prima o poi, qualcosa sarebbe cambiato.
Quello fu l'ultimo pensiero espresso lucidamente.
Non seppi più dire se fosse passato un giorno o cento. Purtroppo quell'incessante ticchettio presente nella stanza, non era una precisa unità di misura.
Gridai ancora, implorando aiuto e piansi fino ad addormentarmi.


Un singolo momento dopo, fui sveglio nuovamente. Cercai di alzarmi. Camminai sfiorando la parete con le dita. Quest'ultima sembrava curvare. Continuai mettendo un piede davanti all'altro, fino a rendermi conto che non ci sarebbe stata una fine. La stanza era circolare. Tutto in quel posto sembrava essere un simbolo di eternità.
Nessuna porta era passata al tatto della mia mano.
- Come sono finito qui senza passare da qualche sorta di varco? - non potevo essere semplicemente caduto, l'eco del mio urlo faceva intendere l'altezza della stanza. Se fossi caduto dalla sua cima, sarei sicuramente morto.
Qualcuno doveva avermi messo li.
Tirai pugni e spallate in ogni punto della parete, fino a stancarmi.
Mi sedetti sconfitto. Piedi e braccia doloranti.
Distesi le gambe in cerca di sollievo, la sinistra spostò un oggetto, producendo un rumore metallico. Con circospezione mi spinsi in avanti e dopo qualche secondo i polpastrelli sfiorarono la superficie fredda. Avanzai alla scoperta di quel nuovo oggetto. Qualcosa di diverso, più morbido, emerse dalla mia ricerca. Ritrassi immediatamente la mano.
Dopo poco provai ad afferrarlo, non sembrava muoversi. Lo portai vicino al viso. Dato il buio assoluto, non c'era proprio modo di vedere cosa fosse, quindi annusai. Una lacrima mi rigò la guancia. Era pane e per la prima volta, seppur freddo e stantio, trovavo qualcosa di familiare e nostalgico. Lo mangiai vorace, a tal punto da risultare doloroso ingoiare. Solo in quel momento mi resi conto di quanta fame avessi.
Allungai la mano di nuovo verso il vassoio metallico. Scoprii esserci un'insipida zuppa con qualche chicco di riso e un anfora con dell'acqua. Quest'ultima decisi di non finirla, la presenza di quel vassoio poteva significare solo che fossi stato rinchiuso da qualcuno, quindi non sapevo quando ne avrei ricevuta altra.
Iniziai a domandarmi chi mi avesse portato li, e come. In quel silenzio i pensieri echeggiavano come urla.
« Salve ».
Sentii chiaramente una voce alle mie spalle. Mi alzai allarmato.
Fu una singola parola.
« Salve... »
Di nuovo.
Mi riscossi dal turbinio dei pensieri.
« C'è qualcuno? » chiesi flebile e balbettante.
Non ci fu risposta.
« Perfetto, ora sento anche le voci. Sto impazzendo ».
« Non stai impazzendo o meglio sì, lentamente impazzirai. Sai, è questo posto. La mia voce, però, è reale e non nella tua testa » spiegò. Non capii del tutto ciò che stesse dicendo, la mente non riusciva a decidere su quale, nuova, informazione fermarsi.
Era una voce bassa e roca, come se non fosse stata usata da molto tempo.
« Immagino tu abbia finito di mangiare! ».
« Come lo sai? No anzi, chi sei? ».
« Ti ascoltavo » rispose comunque. « Alla seconda domanda purtroppo, non posso rispondere e credo, se te lo chiedessi, neanche tu riusciresti a farlo ».
Ci pensai e davvero non ci riuscivo.
« Con chiunque io abbia mai parlato qui dentro, non ricordava nulla di se stesso ne perché si trovasse in questo posto orribile ».
Mentre mi parlava mi assalì quell'orrenda verità. Non ricordavo niente di me stresso.
Mi prese il panico. Iniziai a respirare velocemente. Sempre di più, entrando in iperventilazione. Non riuscivo a smettere di pensare alla cella buia, al fatto che non avessi identità e che probabilmente non sarei mai uscito da quel buco.
Caddi a terra a carponi. Iniziai a piangere. Il respiro, ormai incontrollato come il resto di me stesso. Sentii lui cercare di dirmi qualcosa ma non riuscii a capire. I rumori divennero ovattati.
Le forze vennero meno e mi ritrovai sdraiato sulla fredda pietra.
Un filo di saliva colava dalla mia bocca aperta, in cerca di aria. Sentii le pareti della stanza stingersi. Su di me calò un blocco di granito invisibile che mi schiacciava a terra, ero completamente inerme, come se fossi paralizzato.
Gli occhi mi facevano male e anche l'oscurità sembrava svanire.
Persi conoscenza.

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