Capitolo 7 - Il nostro inizio

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~ È il giorno della morte che dà alla vita il suo valore. ~
Cit. Hector Barbossa "Geoffrey Rush".
(Pirati dei Caraibi, ai Confini del Mondo).

Capitolo 7

Il nostro inizio


Venni spinto all'esterno, la luce ancor più forte del sole mi pugnalò gli occhi costringendomi a chiuderli, sentii una lacrima crescere all'angolo dell'occhio. Con questi ancora serrati mi strattonarono oltre due scalini cigolanti, e la semi oscurità tornò a farmi compagnia.
Mi trovavo dentro un carro, con spesse barre nelle due piccole aperture laterali.
Legarono le mie catene ai lucchetti della parete.
Il convoglio partì. Un'ombra si sedette di fronte, non riuscivo ancora a metterla a fuoco.
« Mi spiace davvero per quello che ti sta accadendo. Se ne avessi il potere, fermerei tutto questo » Mi aveva seguito dalla prigione?
« Pane? ».
« Sì, sono io, immagino ci voglia più di qualche minuto per abituarti alla luce » rifletté « siamo diretti alla capitale reale... ».
« Come morirò? » lo interruppi bruscamente ma con tono sommesso.
« Rogo » confessò mortificato.
« Mio Dio, cosa ho fatto per meritare una morte così violenta? » piansi nell'incredulità.
Ero, sinceramente, pronto a morire, pronto a far cessare quelle sofferenze. Quando il sadico mi aveva ragguagliato sulla mia imminente morte, nuotavo in un fiume di disperazione. Scoprii, però, sfociare in un mare di felicità dove non ci sarebbe stata agonia. Tuttavia non avrei mai immaginato che la loro giustizia sarebbe stata trovata per via di una delle morti più atroci.
Ecco cos'era. Era il pensiero del dolore a farmi vacillare.
Sembrava che quella terribile sensazione mi avrebbe accompagnato fino all'ultimo istante.
« Tra le imputazioni che ti sono state mosse e per le quali sei stato condannato, c'è l'accusa di stregoneria ».
« Cosa? È assurdo io non posso esserlo, non potete pensare che io lo sia » mi guardai attorno e dall'apertura sbarrata vidi la scorta armata a cavallo. Appena posai lo sguardo su uno di loro, il più vicino, esso sfuggì al mio sguardo e si allontano leggermente dal convoglio, come combattuto tra i suoi doveri e la sua volontà.
Vedendo questo scambio, Pane, attirò la mia attenzione « Loro ci credono, hanno un'evidente paura di te ».
« Paura? Io... non so più cosa pensare, non sono sicuro di nulla, come posso esserlo non ricordo niente » poi mi resi conto, « Tu... tu il tuo capo e gli altri in quella prigione non avevate paura di me! Ne sono sicuro».
« Quell'uomo » feci un cenno verso la guardia di poco prima. « Ha uno sguardo diverso dal vostro ».
« Quella prigione appartiene al tribunale dell'inquisizione. È lì che vengono mandate tutte le persone presunte streghe e torturate per ottenere una confessione. Tra tutte le persone che ho visto esser dilaniate mai nessuna ha usato poteri per tentare di fuggire od opporsi. Tutte quelle anime hanno confessato; non per la realtà delle colpe ma per terminare il supplizio. Tutti la dentro sanno che le streghe non esistono, o per lo meno sono troppo intelligenti e potenti per lasciarsi catturare. Non so quale sia la verità ma una cosa la so: nessuna strega è mai passata per quelle celle » confessò « Il nostro sguardo è diverso perché non abbiamo paura di te e siamo consapevoli della verità ».
« Malgrado sappiate la verità, eseguite comunque il vostro lavoro senza rammarico o pentimento? » chiesi inorridito.
« Io sono dispiaciuto, davvero dispiaciuto. Mai mi sono affezionato a qualcuno in questo modo, ho un irrefrenabile istinto di protezione verso di te. Purtroppo non ho l'autorità  per oppormi a questo. Come ti dicevo, ho assolto questo compito sotto minaccia ».
« Minaccia di chi? » chi aveva un' influenza tale?
« Non farmi parlare oltre, te ne prego » guardò saettante attraverso le aperture della cella.

Passata qualche ora iniziai a vedere meglio, riuscii a distinguere i suoi lineamenti.
Rimanemmo zitti a lungo. Al crepuscolo la compagnia si fermò in un bosco sulla via della capitale.
Decisero di accamparsi lì. Pane scese per aiutare, rimanendo così solo in quella prigione a ruote. Li udii stabilire i vari compiti da eseguire e i turni di guardia a me e ai confini dell'accampamento. Vidi nei loro occhi in lontananza la riluttanza dei presenti a vegliare alla mia persona.
Volsi l'attenzione alle pareti, la vista si abituava sempre più alle variazioni di luce, riscendo così a mettere a fuoco sempre più dettagli. Vidi delle strane incisioni sulle pareti, sui lucchetti e sulle catene. Erano simboli a me indecifrabili. Non appartenevano alla scrittura fonetica di cui ero a conoscenza.
« Sono antichi e sacri simboli della religione » sussultai alle parole di Pane, era sbucato silenziosamente alla porta aperta « Alcuni di protezione, altri sono vincoli. Vengono adoperati contro le streghe » concluse.
« Capisco » pensai fosse così assurda quella situazione.
« Appena possibile ti porterò del cibo, nel frattempo tieni questa, avrai sete!» mi porse una borraccia piena d'acqua, come l'innesco di un cannone, la fame e la sete si fecero presenti nella mente e lo stomaco brontolò. Bevvi tutto, la bocca era inconsapevolmente arsa. La mente era troppo assorta da tutti gli avvenimenti di quelle ore, per badare alle esigenze del corpo.
Quando il buio si fece fitto e il sole fu solo un ricordo, l'unica fonte di luce era il fuoco su cui avevano cotto la selvaggina procacciata dagli arcieri.
Vidi Pane appropinquarsi ed entrare nel convoglio.
« Per te! » disse porgendomi della carne. Provai a muovere le mani ma le catene erano troppo corte, non sarei riuscito a portare la carne alla bocca.
« Non mi è permesso slegarti, ma posso imboccati » annuii muto. « Non mi morderai? » scherzò e sul mio viso si accennò un sorriso « No. Prometto! ».
« D'accordo » convenne avvicinandomi un piccolo pezzo di coniglio. Aprii la bocca e con lentezza la spinse all'interno. Inavvertitamente le labbra si chiusero sulla punta del suo dito ma non lo ritrasse di scatto come immediatamente pensai. Lo fece scivolare lentamente fuori. Continuammo queste azioni fino a finire il pasto.
Quella situazione mi fece provare delle insolite sensazioni. Provavo un certo imbarazzo nell'essere imboccato ma la sua tranquillità mi procurava una calma assoluta, come se tutto fosse quieto. Non sentivo più gli schiamazzi delle guardie sempre più ubriache.
Ero tranquillo e non sentivo più l'angoscia. Il suo sguardo dolce e sorridente mi fece avvampare le guance e sentire un caldo torpore nel petto.

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