Capitolo 4 - La tua perdita

125 18 29
                                    

~ Un cuore che cerca sente bene che qualcosa gli manca;
ma un cuore che ha perduto sa di cosa è stato privato ~
Cit. J.W. von Goethe (Le affinità elettive).

Capitolo 4

La tua perdita


Mi svegliai. Aprii gli occhi e non vidi nulla, non riuscivo ad abituarmi a quello. Non essere in grado nemmeno di vedere le proprie mani.
Nell'ultimo periodo, ridestandomi, ogni volta mi assaliva l'ansia che tramutava in paura. La paura dell'ignoto e le domande su quel posto si ripresentavano per farmi compagnia.
Queste sensazioni rimanevano finché...
« Riso, sei sveglio? » mi chiamò.
« Sì. Mi sono svegliato ora » non faticavo a rispondere a quel nome. Essendo in quel momento l'unico in mio possesso.
« Vado a prendere il mio cibo quotidiano, in tutti i sensi » risi e lui mi seguì.
Per dieci passi costeggiai la parete e per quattro mi allontanai.
Preso ciò che cercavo tornai al mio posto, dove sapevo esserci, a pochi centimetri di pietra, l'uomo responsabile della mia labile felicità.
Presi un pezzo di pane, lo mangiai a piccoli pezzi. Avevo imparato a non divorare tutto troppo velocemente o non mi sarei saziato. Finito con quest'ultimo, afferrai la ciotola della zuppa. Presi il cucchiaio, immergendolo notai subito qualcosa di strano. Dentro c'era qualcosa si solido, nettamente più voluminoso del riso. Lasciai l'utensile. Con la mano ravanai dentro la ciotola, afferrando in fine l'oggetto della mia ricerca.
Lo portai vicino al naso, annusando. Non credetti a ciò che percepii. Lo portai alla bocca e detti un morso.
« Oh Dio, è pollo » esclamai « Non ci posso credere mi hanno dato del pollo ».
« Ogni tanto lo fanno. Quando il nostro corpo si indebolisce, elargiscono qualcosa in più » intervenne Pane.
« Tu lo sapevi? » chiesi stupito.
« Si, per due volte ho trovato un pezzo di carne dentro la zuppa» rivelò.
« Non credo vogliano la nostra morte, almeno non prima del tempo stabilito. Dopotutto sei il figlio del Re, e io del secondo uomo più potente del regno » sorrise, sapevo che lo stesse facendo.
« Pensavo mi avessi detto di aver ricevuto sempre la stessa zuppa di riso, come il resto. Perché non me lo hai mai detto? ».
Rimase in silenzio. « Del pollo, intendo ».
« Ho mentito, perdonami. Volevo lasciarti la gioia derivata dalla sorpresa. Goditela » arrossii per il pensiero, in qualche modo riusciva a dare sempre la risposta giusta.
« Un giorno se usciremo di qui, e non ti dimenticherai di me, tu sarai il mio dolce pezzo di pane e io il tuo piccolo chicco di riso. Non mi interessa se scopriremo i nostri veri nomi, questi sono quelli con cui ci siamo conosciuti » sapevo di star sognando, ma volevo farlo finché potevo.
Lui rimase in silenzio per un po'.
« Sarebbe bello » sussurrò con voce spezzata « Davvero bello ».
E la quiete cadde pesante su di noi.

« Vorrei vederti » dissi dopo quelle che sembrarono ore, il vassoio ormai abbandonato al mio fianco. « Vorrei vedere come sei fatto, vorrei vedere le tue mani, le tue labbra, i tuoi occhi.. ».
« Oh mio principe, oggi faremo un nuovo gioco » esclamò teatrale.
Mi voltai subito verso la parete con occhi già bramosi, mi piacevano i suoi giochi.
« La nostra memoria, a quanto pare, è molto simile. Siamo stati privati delle stesse cose, più o meno » spiegò.
Annuii rumorosamente, per fargli capire il mio assenso.
« Bene. Quindi, anche tu come me, ricorderai il tuo aspetto fisico » disse a mo' di domanda. « Questa, è l'unica cosa, di me stesso, di cui ho memoria ».
Non ci avevo mai pensato, fino a quel momento. Anche quando giocammo al ricordo delle nostre storie nella mente ero riuscito a visualizzarmi, ma non ci avevo fatto caso. Ricordavo il mio aspetto fisico. Fu l'unica cosa di me che fui in grado di ricordare. Sentii dentro montare una sorprendente felicità. Una sensazione opposta a quando avevo scoperto di non rimembrare il mio nome.
In quel luogo tutto si amplifica.
« Sì, mi ricordo » risposi una volta ripreso dallo stupore.
« Perfetto. Allora giocheremo ad indovinare i nostri aspetti reciproci » fino a quell'istante non avevo mai provato a idealizzare quale fosse il suo aspetto. La curiosità salì alle stelle.
« Faremo una domanda a testa e potremo rispondere solo sì o no ».
« Va bene... » mi mossi sul posto, non riuscivo a star fermo.
« Solo quando riusciremo a indovinare qualcosa dell'aspetto dell'altro, potremo passare a un'altra parte del corpo ».
« Sono pronto ».
« I tuoi capelli sono corti? o perlomeno solitamente li porti corti? » iniziò subito.
Sbuffai fintamente scocciato « Cominci sempre tu, non è giusto. Comunque sì ».
« I tuoi occhi sono castani? » rimbeccai.
« No » rispose compiaciuto.
« Allora verdi? » proruppi curioso.
Un verso di diniego uscì dalle sue labbra « Non funziona così! » rise. « Una sola domanda a testa, ora tocca a me. Hai i capelli mossi? ».
« No, ora è il mio turno. Hai gli occhi verdi? ».
« Si, ho gli occhi verdi ». rimuginò un po' « Se non sono mossi, sono lisci quindi ti farò un'altra domanda. Sono morbidi? » si stava impegnando.
Riflettei per un momento « Mi dispiace ma non ricordo che sensazione dessero al tatto. Ora non sono morbidi, sono sporchi, fini e secchi. Sembrano quelli di un morto » risi. « Hai delle sfumature negli occhi? » tornai a chiedere.
« Sì le ho, ... » stava per fare una domanda ma lo precedetti. « di che colore sono? ».
« Non puoi fare due domande di fila, mio chicco di riso, e si possono fare solo domande chiuse » mi ammonì con tono dolce e divertito.
« Dai, ma vorrei tanto saperlo » dissi leziosamente implorante.
« Sono sfumature ai limiti dell'iride di colore marrone chiaro ».
« Vorrei tanto vederli, vorrei tanto vederti, ancor di più ora ».
« Anche io lo desidero. Vorrei intrecciare le mani con i tuoi capelli, attirarti a me e baciarti » mi sussurrò.

Passò qualche ora, che in quella circostanza sembrarono solo pochi minuti. In fine ci eravamo descritti completamente. Nella mente avevo un'immagine ben chiara del suo viso. Da quel momento avrei potuto vederlo anche nei sogni.
Mentre quell'ultimo pensiero mi attraversò la mente sentii il tipico odore di gas e, come al solito, mi sdraiai per terra. Trattenni il respiro fino a sentire i polmoni bruciare, ma il narcotico non accennava a dissolversi. Gli occhi lacrimavano, sia per lo sforzo che per l'irritazione causata dal narcotico stesso.
Quest'ultimo continuava a fuoriuscire. Avvertii nel petto crearsi una voragine senza fine, capii di dover incamerare aria e il corpo rispose d'istinto. Aprii la bocca e catturai tutta l'aria possibile. La sentii invadere i polmoni, come vento gelido del nord. E Morfeo mi catturò, prepotente.
Sognai la nostra radura nel bosco. Lui, di fronte a me, sorrideva. Lo guardavo negli occhi e mi resi conto di essere assolutamente felice, non v'era alcuna traccia di tristezza nelle nostre espressioni.
Quando mi svegliai ero leggermente intontito. Mi sforzai per alzarmi.
« Ti sei svegliato » esclamò.
« Sì, a quanto pare non sono riuscito a rimanere sveglio, come sempre» dissi « Come fai a trattenere il respiro così a lungo? » domandai, stupito e ammirato al tempo stesso.
« Esercizio. Mi sono esercitato a lungo per resistere » si vantò saccente per poi ridere « Non che né tragga mai qualcosa di veramente utile, tuttavia non posso farne a meno. Ho sempre il terrore che una volta addormentato mi possano portare via. Ovunque ci portino, so solo non essere un bel posto ».
« Ti prego non dirlo, non posso pensare a questo ora, ho fatto un così bel sogno » eruppi spaventato.
Notando la curiosità dall'altra parte della parete, gli raccontai tutto.
Mangiammo insieme, purtroppo tornato al consueto ventaglio di prodotti. Lui era stato così gentile da aspettare che mi svegliassi per cenare, o qualsiasi pasto esso fosse. Non ne avevo idea, ma la consideravo una cena galante.
Parlammo tutto il tempo, facendo giochi che inventava: quale lavoro ci sarebbe piaciuto fare, cosa pensavamo potesse essere il nostro piatto preferito e molti altri.
Continuammo a parlare fino a essere sfinito, momento in cui mi addormentai.

Lo sognai di nuovo. Lo sognavo sempre. Da tempo ormai era tutto il mio mondo, letteralmente.
Quando mi svegliai, dopo aver dato ossigeno al cervello, capii non riuscire ad alzarmi. Sentii come un peso sul corpo, mi sentivo più stordito del solito. La dose di gas doveva essere stata più forte del solito per ridurmi cosi.
Non sentivo rumori dalla sua cella. Pensai stesse ancora dormendo, mi dispiaceva svegliarlo. Lui con me aspettava sempre pazientemente.
I momenti che passavo incosciente erano bellissimi. In quegli attimi era come se lo avessi al mio fianco, in assenza di preoccupazioni.
Se lui, come me, faceva quei sogni, non avevo intenzione di distruggere quei momenti utopici.
Cercai di aspettare a mangiare, ma il tempo passava e avevo troppa fame.

Passò molto tempo dopo aver finito il pasto, ma non sentii, ancora, nessun suono.
Iniziai a preoccuparmi, non accennava a svegliarsi.
Non resistetti, lo chiamai. Niente. Lo chiamai nuovamente ma niente, non rispondeva. Ogni volta che pronunciavo il suo nome alzavo sempre di più la voce, fino a urlare.
« Ti prego Pane, rispondimi » ero ormai nel panico.
Continuai per molto tempo. Ogni minuto trascorso cadevo, sempre più, nella disperazione.
Ininterrottamente gridai e sbattei i pugni. Fino a quando la voce sparì completamente e i polsi sanguinanti caddero verso il suolo.
Mi lasciai scivolare a terra sconfitto, esausto e terrorizzato. Non potevo perderlo.
« Ti prego Pane rispondimi, sto impazzendo » piansi a dirotto.
Implorai di ridarmelo. Lui ormai era mio, come io ero suo.
Non ottenni alcuna risposta.
Rimasi in ginocchio, con le braccia lungo i fianchi e il viso rivolto verso l'alto, singhiozzante.
Iniziai a ricordare ciò che mi disse Pane, riguardo le persone che mi avevano preceduto.
Allora mi disse che erano semplicemente sparite e non aveva più saputo che fine avessero fatto, nemmeno dagli individui che entravano nella stanza.
Mi accasciai a terra, schiacciato dal peso della verità.
L'avevo perso per sempre.

DARKESTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora