~ Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno,
è esserci seduto accanto e sapere che non l'avrai mai. ~
Cit. G.G.Márquez (L'amore ai tempi del colera).Capitolo 3
Il mio tutto
Il tempo ruotava le sue lancette e quello trascorso da svegli lo passammo a parlare e ridere.
Sentivo di star meglio di prima, con lui a fianco sembra quasi... quasi sopportabile.
Da un po' mi interrogavo su ciò stesse succedendo al nostro rapporto e iniziai a pensare di esserne dipendente. Ogni volta che mi svegliavo lui inventava nuovi giochi da fare, trovava nuove cose di cui parlare.
Mi domandai se fosse, davvero, possibile innamorarsi di una persona che si conosceva da così poco. La quale per giunta non si era mai vista. L' unica prova della sua esistenza era la sua voce.
Forse i miei sentimenti erano incentivati dalla mancanza di memoria. Per quanto ne sapevo, era la prima persona che conoscessi.
Credo fosse facile trovare la luna nel buio della notte.
Quando mi svegliai, come ormai da abitudine, arrancai in cerca del vassoio. Ci misi qualche minuto a trovarlo.
Mi riempii la pancia con quello che vi trovai, sempre lo stesso in realtà zuppa, pane e acqua.
Non udii rumori dall'altra parte della parete, immaginai stesse dormendo o l'avrei sentito muoversi.
Decisi di non provare a chiamarlo, dopotutto lui non mi svegliava mai quando io dormivo.
Passarono i minuti, forse ore, ma nessun cenno pervenne dalla sua stanza, iniziai a essere inquieto.
Non ce la feci più.
« ... Pane ... » sussurrai.
Niente.
« Pane ...» alzai un po' la voce.
Silenzio.
Per una terza volta lo chiamai e una nota di agitazione si propagò per la stanza.
Ancora silenzio.
Poi, però, lo sentii mugugnare. « Sono qui » rispose assonnato.
Tirai un respiro di sollievo.
« Mi spiace averti svegliato» mi morirono le parole in gola « ... Avevo paura che ti avessero portato via ».
« Non ancora, no » lo sentii ghignare. « Ti senti bene? » domandò.
« Sì, hanno portato ancora pane, zuppa e acqua » emisi un lamento, dapprima sommesso, « È troppo chiedere un po' di latte » alzai la voce « vorrei tanto delle gallette o della verdura o uova, anche gli stramaledetti funghi. Qualsiasi cosa pur di cambiare » mi sedetti a terra sconfortato.
« Da quando sono qui mi hanno sempre portato queste tre cose ».
« Come fai a essere così tranquillo? » me lo chiedevo da tempo.
« Penso di essermi rassegnato al fatto che questa sarà l'ultima parte della mia vita... o l'unica ora che ci penso. Non so se prima fossi là fuori. Anche se immagino di sì. Malgrado non abbia più ricordi di me stesso, ne ho comunque del mondo esterno, quindi in un momento della mia vita devo esserci stato ».
« Non credo di potermi rassegnare a questo » replicai.
« Hai mangiato? » cercai di cambiare argomento o le lacrime avrebbero, nuovamente, raggiunto i miei occhi.
« Ora mangio » lo sentii alzarsi e allontanarsi, tesi l'orecchio finché non fu di nuovo vicino a me.
Averlo vicino, mi tranquillizzava.
« Quindi, non ti piacciono i funghi » bofonchiò goffamente, ridendo mentre masticava il pane. Non sembrava una domanda.
« Credo di no. L'ho detto involontariamente, se penso al loro sapore sulla lingua, non ho una bella sensazione. Sono viscidi, credo ... ».
Rise al mio ennesimo monologo, nel quale parlavo più a me stesso che lui. Alzai gli occhi al cielo, o meglio, al nulla.
« Odio non ricordare » dissi quando lui calmò l'attacco di ilarità e tornò a mangiare. Sembrava così facile ridere.
« Lo so, vale anche per me » parlò con tono intenso, insolito per la sua solita vivace leggerezza.« Facciamo un gioco! » esclamò qualche minuto più tardi, con il suo classico tono arzillo.
Doveva aver finito di mangiare.
« Quale gioco? ».
« Non conosciamo nulla della nostra vita precedente, giusto? ».
« No » risposi perplesso.
« Perciò immaginiamoci quale potesse essere. Inizio io ... ».
Sorrisi, non mi aveva dato il tempo di accettare.
« Allora ... vediamo un po' » rifletté.
« Nacqui in un'umile famiglia, mio padre era un fabbro, mia madre una serva a corte. Loro erano troppo impegnati per badare a me quindi mi affidavano a mia sorella maggiore » iniziò « lei aveva già dodici anni, quindi era in grado a badare a noi ».
« A noi? C'erano altri fratelli » lo interruppi.
« No solo io e mia sorella. Lei si occupava di noi, me e te. Sono quasi certo che ci fossi anche tu ».
Sorrisi al pensiero.
« La facevamo impazzire scorrazzando per le vie della città, combinando guai. Verso sera tornavi dalla tua famiglia e io mi facevo finalmente acciuffare. La sua cucina era magnifica seppur si arrangiasse con ciò che avevamo. Cucinava per tutta la famiglia malgrado noi mangiassimo da soli, prima del ritorno dei nostri genitori. Quando arrivava l'ora di dormire iniziavo a fare il pazzo, perché non volevo rimanere da solo nella stanza una volta spente le candele.
Avevo paura del buio e lei per farmi addormentare, fin da quando nacqui, era solita cantarmi una ninnananna che parlava di pappagalli blu e canarini... » sorrisi e sapevo lo stesse facendo anche lui, perché la sua voce aveva un suono più attraente di prima.
Persi un attimo il filo mentre pensavo che da qualche tempo, spesso mi soffermavo a creare nella mia mente dei complimenti verso di lui. E ogni volta che me ne rendevo conto sentivo una dolce e leggera fitta sotto lo sterno, le guance diventar calde e gli occhi pizzicare leggermente. Rendendomi conto, in fine, di trattenere il respiro. Mi faceva uno strano effetto quel ragazzo.
Mi riscossi dai miei pensieri. « ...Lei era bellissima. A quindici anni era già promessa a un uomo facoltoso, un notaio. A sedici l'anello le cingeva l'anulare.
I miei genitori quel giorno furono felicissimi. Io con loro. Anche lei, a differenza di buona parte delle sue coetanee, lo era. Suo marito era un buon partito, giovane, bello e totalmente stregato da lei. Il che lo rendeva estremamente dolce e premuroso.
La mia felicità venne, però, accompagnata da una leggera tristezza, la mia sorellona non avrebbe più badato a me. Mi rimanesti solo tu.
Con il passare degli anni, però, la mia ambizione mi fece allontanare verso nuove conoscenze. Non erano vere e proprie amicizie, solo un mezzo da sfruttare per i miei scopi. Mi districai tra la nobiltà e l'alta borghesia. Arrivai così ad avere la possibilità di dirigere la più grande compagnia mercantile del regno, con porti sicuri in tutto il mondo con il maggior commercio in oriente e prendere il posto del suo vecchio e stanco padrone.
Tutto questo, però, avrebbe avuto un prezzo, perché quel grosso colpo di fortuna sarebbe stato accompagnato da un matrimonio di interesse con la figlia di quest'ultimo.
Diventai molto, molto ricco ma ritrovandomi solo. Dopo il matrimonio tu sparisti, forse disgustato dalla vita falsa e infelice che mi scelsi.
Molte amanti, da allora, si susseguirono.
Con il tempo iniziai rendermi conto di essere ben lontano dalla felicità che perseguivo in quella vita. Capii quanto mi mancasse la mia vita precedente. Quanto, in realtà, di quella vita a marcarmi veramente fossi solamente tu.
Una mattina mi svegliai amareggiato, al fianco dell'ennesima giovane donna, abbandonando quel dolce sogno di noi due. In quel momento decisi di non poter continuare con quel vuoto e di abbandonare tutto, pur di ritrovarti ».
« Non sapevo che la mia vita così come la conoscevo sarebbe stata bruscamente interrotta da quella moglie così trascurata e vendicativa. E che mio malgrado, per l'ennesimo atto di egoismo, ne avrebbe pagate le conseguenze la persone più importante per me ».
« Tornai tempestivamente alla mia città di origine, alla tua ricerca. Ignaro di essere seguito dalla mia consorte e le sue guardie.
Trovai la tua vecchia casa e tua madre unica superstite, oltre a te, di una forte epidemia di colera.
Mi disse di poterti trovare in una taverna nei sobborghi della città. Quando entrai trattenni il respiro e solo dopo averti visto intento a servire dietro il bancone, con il sorriso sulle labbra, espirai in un turbinio di emozioni contrastanti. Gioia, vergogna e rammarico aleggiavano nella mia mente. Stavo per esserne vinto e fuggire lontano ma i tuoi occhi sconcertati, incrociarono i miei. Malgrado il tuo viso portasse i segni della fatica ti trovai più bello che mai ».
« Mi avvicinai al bancone, non sapevo nemmeno cosa dire. Fosti tu ad avvicinarti per primo. Mi sorridesti.
Stavo per salutarti ma poi. "Cosa vi porto signore?" raggelai, non sapevo cosa rispondere e chiesi un boccale di vino con tono tetro. Non potevo credere che mi avessi dimenticato, forse lo meritavo. Ti vidi riempire il boccale dello speciale succo d'uva, ti avvicinasti e abbassai lo sguardo, poi sentii la tua risata leggera e cristallina. "Davvero pensi che non ricordi il viso del mio migliore amico?" chiedesti tra le risate. Non eri cambiato. Ti appoggiasti al bancone e mi guardasti con quegli occhi ancor intrisi d'ingenuità. "Sei tornato" esclamasti inespressivo.
Risposi con una semi-verità, che ero tornato per te, mi mancava il mio migliore amico. Lo feci ridendo e con sguardo ammiccante. Evidentemente funse da scuse per come mi comportai in passato perché ti sciogliesti e sulle tue labbra tornò il sorriso.
Parlammo molto fino a tarda sera. Tutta la locanda si svuotò. E rimanemmo soli. Tu intento a pulire il vecchio e logoro bancone e io a bere l'ennesimo boccale di coraggio liquido, nella convinzione che potesse aiutarmi a dirti il vero motivo per cui fossi tornato.
E pare iniziasse a funzionare. "Non mi parli della tua, sicuramente bellissima, sposa" indagai con interesse veemente.
Mi raccontasti di non avere una moglie, che la gestione della locanda portava via tutto il tuo tempo e che non sentivi la necessità di sposarti. Poteva essere un vantaggio ma anche il contrario. Dovevo solo capire su quale faccia sarebbe caduta la medaglia.
"Mi sei mancato" sputai d'impeto, più serio che mai, impedendoti di finire. Poggiai il mento sulle braccia adagiate sul bancone. Sentii il tuo respiro riprendere dopo la mia confessione. Ti sentii camminare e sfiorare con le dita esili la spalla. Sotto il tuo tocco la pelle bruciò, forti scosse percorsero tutta spina dorsale e fitte di malinconia mi attanagliarono lo stomaco.
Mi mossi velocemente ti spinsi contro il bancone e ti strinsi tra le braccia poggiando il viso sul tuo collo. Sentii la tua pelle rabbrividire. Dapprima rimanesti immobile poi lentamente anche le tue braccia mi cinsero aggrappandosi alla leggera cappa primaverile, con forza. Mi staccai e ti guardai. Mai, avevo visto figura così bella ed esile, ma al tempo stesso così forte.
"Non sono tornato perché mi mancava il mio migliore amico. Sono tornato perché mancava un pezzo della mia vita, credevo di aver perso l'unica persona che mi rendesse felice. Ogni giorno passato lontano da te si faceva largo sempre di più la consapevolezza di aver sbagliato ad aver pensato che fosse la ricchezza ad aver sempre desiderato ma che in realtà fosse di vivere libero con te" mi guardasti incredulo, con gli occhi lucidi e con voce roca riuscisti a malapena a chiedermi cosa stessi dicendo. "Hai deciso di rendermela davvero dura, vero? So che può essere totalmente pazzesco, sbagliato e improvviso ma ti sto dicendo che vorrei una vita con te. Una vita con te come compagno" ansimasti un po'. Prima che tu potessi dire niente, alle mie spalle si sentì un rumore che ormai sa di morte. Quando mi girai, verso porta spalancata, vidi entrare quell'orrenda donna, che sapevo essere mia moglie, e un manipolo di uomini del corpo di guardia della cittadella.
"Come dicevo ecco a voi i fornicatori, sodomiti." la guardai inorridito e furibondo, la sua follia era arrivata a tanto da condannarci inevitabilmente a morte. La scena non lasciava scampo. "Sapevo, quando sei tornato in questa città, che saresti andato dal tuo vecchio amico, il quale ti ha sempre venerato e mai staccato gli occhi di dosso. Mi odiava per averti portato via da lui, da sodomita quale è non poteva far altro che desiderarti e infine tu hai ceduto al peccato" disse, mi girai verso di te. Trovandoti in lacrime per quelle parole tanto crudeli e tanto veritiere. Non potevo credere di non essermene mai accorto. Fui tanto preso dal mio egocentrismo da non rendermi conto di chi avessi al mio fianco. Dovetti chiedertelo per averne la conferma ma non sentii mai la tua risposta. Qualcosa mi colpì la testa e poi fu tutto nero. Ci ritrovammo qui, in attesa di essere giudicati » rimase un momento in silenzio, come fosse entrato realmente nel suo stesso racconto. Aveva avuto effetto anche su di me. Sentii solo in quel momento che le lacrime solcavano il mio volto, come fiumi in piena.
« A causa del mio ennesimo e ultimo atto di egoismo, anche tu pagherai le conseguenze dei miei errori » concluse mesto.
Ci fu qualche attimo di silenzio in cui le mie lacrime scendevano al ricordo delle sue parole. Non sapevo nemmeno perché mi sentissi così, dopotutto era solo una storia.
Non dissi nulla. Senza nemmeno rendermi conto del gas che respiravo, scivolai nel sonno con la speranza che, vista la sua storia, anche lui iniziasse a sentire qualcosa nei miei confronti.

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DARKEST
Romance[COMPLETA] Attenzione, voi lettori, state per inoltrarvi nelle Celle della Pazzia. Siete mai morti? Sì, parlo con voi che state facendo scorrere, sinuosi, gli occhi su queste poche righe. Avete mai provato l'insieme di sensazioni ed emozioni che ale...