Capitolo 6 - Il tuo tradimento

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~ "perché dolore è più dolor, se tace." ~
Cit. G. Pascoli (il prigioniero).

Capitolo 6

Il tuo tradimento


Aprii gli occhi e non vidi nulla, come alla fine di quel sogno.
Mi ero convinto fosse reale. Lo sembrava. Il suo tocco, il respiro sulla mia pelle, i suoi occhi. Quegli occhi. Con le dita sfiorai il collo, nel punto in cui mi aveva baciato, poi al petto e in fine alle labbra. Grosse lacrime sgorgarono e caddero a terra pesanti.
Non ce la facevo più, non riuscivo più a rimanere in quella solitudine.
Mi sdraiai, raggomitolandomi su un fianco. Nel farlo toccai un oggetto di metallo, avevano posizionato il vassoio vicino a me, come a farmi capire che dovevo nutrirmi.
Lo presi in mano e lentamente rovesciai il contenuto a terra.
Rimasi immobile a piangere senza sosta, gli unici movimenti erano prodotti dagli spasmi del singhiozzo.
Dopo pochi minuti la mia mente si illuminò, l'unico modo di porre fine a tutte quelle sofferenze e tornare per sempre alla mia utopia era esaurire il sangue nel mio corpo. poggiai il polso alla fredda e ruvida parete, lo afferrai con l'altra mano, premetti con forza e con uno scatto lo trascinai su di essa. Alcune piccole ferite si aprirono, non era abbastanza, avrei dovuto ripetere il movimento più volte per ottenere l'effetto desiderato. Il gas, però, tornò a farmi compagnia, pensai non fosse possibile, era passato troppo poco tempo dall'ultima volta. Non avevo neppure più la forza di provare a trattenere il respiro per rimanere di sveglio, al contrario la mia mente bramava di addormentarsi e vivere qualche ora nei sogni. La mia nuova missione avrebbe atteso il risveglio.

Mi svegliai urlando, i suoni erano tonati, prepotenti come ogni volta. Ma c'era qualcosa di strano, non riuscivo a muovermi. Scossi la testa da una parte all'altra, senza mai arrestare le grida. Ero legato a un tavolo con manette metalliche.
Mi veniva da vomitare, girai la testa di lato, vidi il polso ferito fasciato da una pezza sporca. Vomitai null'altro che bile acida.
Non capivo cosa stesse succedendo.
Gas soporifero e, di nuovo, più nulla.

Aprii gli occhi, qualcosa mi ferì la vista. Una luce era presente nella stanza. Troppo tempo i miei occhi erano rimasti nell'oscurità. La luce penetrava come spilli arroventati nelle pupille e malgrado il tempo passasse, il dolore non sembrava attenuarsi. Sogni a parte, non ricordavo neanche più cosa fosse la luce.
Ci vollero diversi minuti prima di abituarmi alla tenue luce di una candela.
Quando riuscii a mettere a fuoco ciò che avevo davanti, acuii la motivazione del persistente odore di morte, presente nella stanza.
Urlai, fuori di me.
Tre cadaveri pallidissimi penzolavano, appesi al soffitto.
E il panico si impossessò di me.
I pensieri scorrevano nella mente come lo spartito di un compositore pazzo.
Vidi il mio corpo penzolare lassù e vidi il corpo del mio dolce pezzo di pane. Urlai e urlai.
« Buonasera cinque-otto-due » esclamò una fredda, crudele e arcigna voce. Lo spartito si interruppe lasciando spazio a un panico paralizzante. Una figura si stagliava, immobile, ai miei piedi.
« Ti piacciono i miei drappeggi? Ti presento cinque-sette-nove, cinque-otto-zero e cinque-otto-uno, i tuoi predecessori. Sono stati dissanguati apposta per durare a lungo. Inspira questo profumo » si morse le labbra. Mi divincolai freneticamente, dalla gola uscivano solo versi sommessi di un animale in agonia.
« Ti prego ... » mi morì la voce.
« Buono, buono. Stai calmo, rilassati » cercò, malamente, di imitare una voce materna. « Ahimè, tu non ti unirai a loro. Non mi hanno concesso il diritto di possesso sul tuo corpo, verrai giustiziato pubblicamente » disse malignamente triste.
Sbarrai gli occhi e tornai a divincolarmi, le lacrime sgorgarono nuovamente.
« Non ti sarai aspettato che saresti potuto uscire di qui vivo, vero? Per l'atto di cui ti sei macchiato, nessuna corte ti lascerebbe in vita, senza contare il modo in cui lo hai fatto » rispose alla mia reazione. « Sai, per i crimini come il tuo, normalmente, il verdetto viene deciso dal Consiglio Reale ma le circostanze ti hanno condotto direttamente qui. La prigione del tribunale dell'inquisizione ».
I suoi occhi si allargarono, come se gli fosse venuta in mente una semplice verità « Oh, già. Perdonami, tu non ricordi nulla ». Fu una perfetta interpretazione di sorpresa, stava giocando con me. Sapeva cosa rivelarmi e quando farlo ma niente mi importava, una sola domanda martellava nella mente: dov'è il mio amato pezzo di pane?
« Basta perdersi in quisquilie! » mi riportò alla realtà « È l'ora della pappa, dolce tesoro. Non puoi certo morire prima del tempo » disse preoccupato. Quella recita doveva divertirlo molto. « È vietato! » sussurrò con una mano tesa a lato della bocca, come a voler confidare un segreto « Dato che non vuoi mangiare di tua volontà, lo faremo noi. Vieni avanti! » ordinò, non più rivolto a me.
Guardai alle sue spalle e, ai lati di un'apertura nella parete, vi erano due uomini incappucciati e con una maschera dei medici della peste. Immagine terrificante.
Uno dei due si mosse in avanti, girò attorno al tavolo e si fermo all'altezza del viso. Quest'ultimo mi bloccò la testa con le mani possenti. L'altro mascherato prese qualcosa da terra e si avvicinò, passando un tubo di pelle di animale al primo, salito sul tavolo e posizionatosi a cavalcioni sul mio ventre, sul quale ricadde a peso morto.
« Apri la bocca Tesoro » al contrario serrai la mascella.
Per buona misura, afferrò il viso all'altezza delle guance e premette con forza inaudita. La carne venne schiacciata contro le fila dei denti, provocandomi fitte di dolore fin su alle tempie. Ma non desistetti, l'uomo fece un cenno e sul mio viso venne scaricato un intero secchio d'acqua. Mi mancava il respiro, e all' istinto non si resiste, aprii la bocca sputacchiando in cerca d'aria.
Sentii il tubo scendere giù per la gola e graffiarmi l'esofago. Conati di vomito mi colsero. La mascella venne tenuta aperta da un divaricatore di metallo. L'estremità della sonda terminava con un imbuto nel quale venne versato un liquame giallognolo.
« Non ti preoccupare, e solo il tuo solito pasto reso liquido ».
Sentii il tubo ingrossarsi nella gola e un attimo dopo la poltiglia scese giù liscia dal fondo della gola, fino allo stomaco. Mai avevo provato una sensazione tanto spiacevole. Ben presto mi trovai in assenza d'aria e iniziai a muovermi spasmodico. L'uomo che mi immobilizzava la testa se ne accorse e la ruoto leggermente indietro, cosi che le vie respiratorie potessero liberarsi. Boccheggiai con forza e provai a catturare tutta l'aria possibile.
Il sadico cambiò quel liquame, all'acqua più volte. Se possibile quest'ultima fu ancora peggio. La sua naturale fluidità le permetteva di colare con maggiore velocità. I polmoni bruciavano come se andassero a fuoco.
Spasimavo di respirare.
Una goccia scivolò dal volto dell'uomo chinato sul mio viso e mi atterrò sulla guancia. Doveva sudare molto nel tentativo di tenermi immobile, dopotutto non controllavo più i movimenti. Il corpo era scosso da spasmi e scatti violenti.
Intravidi i suoi occhi nella penombra della maschera. Erano liquidi, forse provava eccitazione sessuale nel dolore altrui. Ne rimasi ipnotizzato, avevano il colore verde dell'erba colpita dal sole di primavera. La mente era alla ricerca di una distrazione dal dolore.
Il busto si inarcò freneticamente più volte per poi sbattere contro il tavolo. Dagli occhi continuarono a scaturire gocce salate. Le mani si strinsero a pugno e le gambe cercavano di divincolarsi. Non ce la facevo più, sentii il sangue pulsare ai lati della gola e sulle tempie a causa della mancanza d'aria e dello sforzo. Stavo per perdere coscienza, ma in un attimo la canula venne sfilata.
Aria. Finalmente respiravo. Tanto fu l'impeto che sentii bruciare la gola al suo passaggio.
Gradualmente ripresi a ragionare razionalmente.
L'uomo sul ventre si stava muovendo ritmico avanti e indietro. Se dell'uomo dagli occhi d'erba avevo dei dubbi, del sadico non ce n'erano. Si eccitava nel sottomettere e procurare dolore a qualcuno. La sua erezione dentro i pantaloni era una prova inconfutabile.
Distolsi lo sguardo verso quegli occhi. Si era avvicinato e al mio orecchio sussurrò di rimanere immobile, non dire niente e continuare a ansimare. « Fai così e presto finirà » aveva concluso con voce affannata dallo sforzo. Malgrado la voce fosse resa scura e roca dalla maschera, risultava gentile.
L'altro continuava a muoversi, sempre più frenetico, sfregando il gonfiore sulla pancia. Finché non produsse un urlo spaventosamente basso, quasi animalesco.
« Grazie! Credo proprio che ci divertiremo io e te, ci vedremo più tardi » scese velocemente dal tavolo, sistemandosi i pantaloni in mezzo alle gambe soddisfatto.
Il terzo uomo rimasto in disparte si leccò le labbra, famelico, alle parole del capo.
Mi slegarono ma rimasi immobile. Senza degnarmi di altre attenzioni si allontanarono verso l'apertura nella roccia.
Misi di nuovo a fuoco le salme appese.
« Dov'è Pane? » alzai la voce.
Il sadico si girò e parlò, mentre occhi verdi arresto il passo immediatamente « Oh, mio caro, non ti nutrirai più di tua spontanea volontà » pronunciò senza capire a cosa io mi riferissi.
Rimasi immobile quando uscirono e l'apertura venne chiusa, lasciandomi nuovamente nel buio.
Era stato orrendo ma sapevo, dall'espressione del sadico, che era solo un leggero soffio rispetto all'uragano che si sarebbe abbattuto su di me.
La sensazione di quel liquido viscido che colava nella gola, l'inserimento del tubo, la mancanza d'aria.
Ero spaventato e lui non era lì ad aiutarmi, ero solo e sapevo che lo sarei stato fino alla fine.
Piansi per la vita che avevo vissuto.
Piansi per la vita che stavo vivendo.
Piansi per la vita che avrei voluto vivere con il mio Pane.
Piansi per la sua mancanza. Anche se, il solo pensiero del suo nome mi faceva stare male.
Piansi per quei tre cadaveri, ora invisibili, che non avrebbero avuto un degno riposo.
Con quei pensieri e quelle lacrime mi addormentai.

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