L'amore fa essere sinceramente falsi

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Sono di sotto, scendi.

Inviai il messaggio e posai il telefono, allentandomi allo stesso tempo il collo della cravatta che stringeva. La portavo da soli venti minuti e già non ne potevo più. Probabilmente, più forse sì che forse no, ne ero allergico!

Avevo già avanzato l'ipotesi anni prima a mia mamma al matrimonio di Danielle e Logan, ma in cambio avevo ricevuto una risata e una pacca sulla spalla.

Era sempre così: io dicevo qualcosa di serio e nessuno finiva mai per prendermi sul serio, solo perché ero il "solito James".

Controllai l'orario sul display della macchina: erano le sette precise, non ero mai stato così puntuale come quella sera.

E pensare che - sempre per la questione di sopra - in famiglia dicevano che non si poteva fare affidamento su di me.

Solo perché una volta - e sottolineo una, per dimostrare che non ha senso rinfacciarmelo dopo ben nove anni - sarei dovuto andare a prendere Leanne dopo una festa e avevo fatto tre ore di ritardo.

Ripeto, unica volta in cui era successo ma a nessuno sembrava importante e Leanne ormai, e dopo quasi una decade, mi tartassava di chiamate da mezz'ora prima dell'orario prestabilito.

Ma, quella sera, avevo dato la mia parola a Annabeth e la stavo rispettando. Che poi lo facessi sperando in un proficuo ringraziamento era tutta un'altra storia, che ovviamente avrei tenuto segreta alla ragazza.

Proprio in quel momento, neanche l'avessi evocata con i miei pensieri, la portiera venne aperta e lasciò il posto alla sua figura, avvolta in un cappotto lungo e scuro. Meccanicamente mi allungai verso il quadro della macchina e accesi il riscaldamento, ben conoscendo il suo limite di sopportazione.

Ovvero inesistente. Ovvero io avevo cominciato a vestirmi con abiti estivi quando sapevo di dovermi incontrare con lei.

"Scusami," disse e si sedette al mio fianco. "Ho avuto problemi con il ferro per i capelli."

Incuriosito da quell'affermazione mi voltai a guardarla, soffermandomi sulle onde morbide dei capelli che le ricadevano sulle spalle. La mia attenzione, tuttavia, fu subito catalizzata da un'altro elemento: i suoi occhi, come sempre grandi ed espressivi, erano liberi dalle lenti che li nascondevano ogni giorno.

"Non hai gli occhiali," mi limitai a constatare, con gli occhi puntati sul trucco che ne accentuava il blu.

Non che fossi esperto di trucchi, per carità. Ma non ci voleva certo un genio per capire che Annabeth avesse proprio dei bei occhi.

E sì, so che tutti stare pensando che è un po' scontato da parte mia visto il loro colore universalmente riconosciuto come il più desiderato, ma io vi sfido a farvi guardare da lei e rimanerne indifferenti.

Se poi vi sorride pure, sappiatelo, non avete scampo.

"Per cambiare un po'," giustificò e si strinse nelle spalle. "Sto male, vero? Succede sempre così quando mi tolgo gli occhi, finisce che si percepisce che non ci sono. Come se qualcosa stonasse, un po' come quando vedi quelle foto ritoccate dei panda senza i cerchi scuri."

I panda... davvero?

"Non volevo dire questo," mi affrettai a rispondere e mise in moto la macchina. "Era una semplice affermazione. Come dire che ora è notte, le Jaguar sono le migliori macchine in circolazione e i leoni sono dei gatti, solo di dimensioni maggiori."

Mi ero forse lasciato prendere la mano? A giudicare dal tremolio divertito delle sue labbra, avrei detto proprio di sì. Ma, come avevo già affermato in precedenza, non ero io a decidere per le cazzate che produceva la mia mente.

Purché finisca beneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora