3. Posso offrirti da bere?

41 0 0
                                    


Non sono riuscita a dormire stanotte. La mia testa è piena di domande e nessuna risposta sembra arrivare.
Perché la dottoressa D'Amato non ha aggiunto nessun'altra informazione? È così strano. In ogni caso, sono quasi le 18:00, mantieni la calma. Starà arrivando.
Ho un cattivo presentimento.
Forse ho bisogno di un caffè, sì, così prendo un po' d'aria fresca.
Uscita, realizzo che c'è qualcosa che non va. Chiedo alla mia segretaria (beh, la segretaria della dottoressa D'Amato in realtà) di chiamarmi quando il signor Atlas sarebbe arrivato ma lei distrugge tutte le mie speranze dicendomi: << Il signor Atlas non verrà, ha chiamato circa tre ore fa ma ho dimenticato di avvisarla. Ha detto che avrebbe aspettato che la dottoressa D'Amato fosse rientrata.>>
Il mio petto sta per esplodere. Ho aspettato un giorno, 24 ore, per sentirmi dire che non vuole che io sia il suo medico?
La guardo facendo finta di nulla e annuisco. È l'ultimo paziente del giorno, quindi prendo le mie cose e torno a casa.
Sono esausta, sono una stupida e non sono per nulla professionale. Questo non era un appuntamento, non mi ha detto che non gli piaccio, perché mi sento così? Ma cosa sto pensando? Ho solo fatto il mio lavoro, non posso prescrivere psicofarmaci a chiunque me lo chieda (e, credetemi, un enorme numero di persone lo fa).
Esco fuori dall'ospedale e mi metto in macchina. Comincio a guidare senza una meta. Ad un certo punto, mi ritrovo di fronte ad una strada che non avevo mai visto prima d'ora. Sai che c'è? Mi fermerò a bere qualcosa. È una cosa che non ho mai fatto prima d'ora, intendo da sola.
Vedo un'insegna rossa in fondo alla strada, parcheggio e mi avvicino. Il locale si chiama "Can Can", l'insegna è rossa e anche l'arredamento all'interno lo è. Non c'è molta gente, mi fermerò qui.
<< Un Cosmopolitan per favore. >>
<< Due e tenga il resto!>>
Mi volto e, stupita, mi accorgo che è proprio lui, il Signor Atlas, seduto poco distante. Mi guarda e sorride, come se non mi avesse piantata in asso un'ora prima senza neppure avvisarmi personalmente.
<< Signor Atlas, pensavo che ci saremmo incontrati in un contesto differente oggi! È un piacere ma non posso accettare alcol dai miei pazienti, mi dispiace>>
<< Beh, tecnicamente non sono più un suo paziente. Mi dispiace per quanto sia accaduto ma la mia situazione è piuttosto dedicata e non mi sento di condividere il mio percorso con un altro medico, mi dispiace.>>
<< In tal caso potrei accettare ma... solo uno!>> dico, un po' imbarazzata. Sorride anche lui e si avvicina. Posso sentire il suo profumo, è un odore che non avevo mai sentito prima d'ora. Non è la solita fragranza maschile, ha un odore forte ma piacevole. Mi sento come una di quelle teenager elettrizzate perché il ragazzo popolare della scuola le rivolge la parola. Una di quelle che non si capacita di come possa accadere proprio a loro, sono una ragazza comune. Ho una frangia che copre la mia fronte enorme e indosso vestiti abbastanza larghi perché non mi piace sentirmi osservata. Inoltre, mi piace il fatto che le persone parlino con me perché mi trovano interessante e non per il mio aspetto. L'unica cosa che mi piace del mio viso sono i miei occhi. Ho recentemente scoperto che il loro colore viene definito "hazel". Per anni ho cercato di capire come definirli, proprio perché non sono mai stata in grado di dare una risposta univoca. Il loro colore cambia in funzione dell'intensità della sorgente di luce che li colpisce: quando sono esposti a forti sorgenti luminose, tendono ad essere verdi ed è visibile anche una piccola componente gialla in essi, altrimenti sono castani, con un sottile strato verde al centro, quasi impercettibile. Proprio in relazione a questa mia caratteristica distintiva, quando ero piccola i miei amici mi chiamavano "la ragazza camaleonte".
<< Cosa ci fa tutta sola in un posto come questo?>> chiede.
<< Tecnicamente stavo tornando a casa ma mi sono imbattuta in questo posto e ho pensato di fermarmi per bere qualcosa. È stata una giornata estenuante, non immaginavo che la dottoressa D'Amato avesse tutto questo lavoro da fare. Sono solo una specializzanda, quindi al momento il mio lavoro è eseguire i suoi ordini. Non so per quale motivo abbia scelto proprio me come sua sostituta. Può chiamarmi Ginevra comunque.>>
<< Perfetto, io sono Gabriel. Comunque, se la dottoressa ha scelto proprio te ci sarà un motivo, avrà abbastanza fiducia nei tuoi confronti.>> dice sorridendo, mandando giù tutto il cocktail in un solo sorso.
<< Lo spero! Comincio a sentire che tutti i miei sacrifici vengono lentamente ripagati. E tu? Che ci fai tutto solo in un posto come questo?>>
<< Mi piace passare il tempo in posti come questo, dove nessuno sa chi sono realmente. Qui sono solo Gabriel, la gente non sa cosa faccio per sopravvivere. Qui posso sentirmi realmente me stesso. Sanno solo che vengo occasionalmente e che sono una persona normale come loro. È frustrante vedere che la maggior parte delle volte la gente si avvicina a te solo per i tuoi soldi o il tuo potere ma qui è diverso. Loro non sanno nulla di me, eccetto il fatto che sono un buon amico con cui fare quattro chiacchiere.>>
Non immaginavo che Gabriel avesse questo genere di problemi. In un certo senso lo capisco.
<< Mi fa piacere sapere che hai una valvola di sfogo. La gente di solito pensa che mandar giù qualche antidepressivo sia come una pozione magica che porta via tutti i problemi. Tu sei diverso, stai ammettendo che riesci a trovare dei modi per alleviare i tuoi dolori. Mi chiedo perché, allora, ieri fossi stato così insistente con lo Xanax.>>
<< Beh, i problemi vengono fuori la notte, quando sono da solo. Soffro di insonnia da un po' di anni e un paio di anni fa ho incontrato la dottoressa D'Amato che mi ha aiutato in questo.>>
<< Certo, capisco... Oh no, è tardissimo! Devo assolutamente tornare a casa!>>
<< La tua carrozza qui fuori sta per scomparire?>> chiede sorridendo.
<< Qualcosa del genere! Mi dispiace ma devo andare. È stato un piacere incontrarti di nuovo Gabriel, buonanotte!>>
Corro verso la macchina, provo ad accenderla e boom: non parte. Davvero? Proprio adesso? Come dovrei tornare a casa?
<< Serve una mano?>> dice Gabriel. Non mi ero minimamente accorta che fosse uscito anche lui e avesse assistito a tutto ciò. Con aria imbarazzata gli rispondo: << Beh, la macchina non parte...>>
<< Posso darti un passaggio se vuoi>>
<< Grazie ma non posso lasciarla qui, mi serve per andare a lavoro domattina.>>
<< Non preoccuparti. Sto tornando anch'io a casa, non è un problema darti un passaggio. Mi assicurerò inoltre che la tua macchina sia pronta per domattina>>
Sono confusa ma, in effetti, è l'unico modo per tornare a casa subito.
Va via e torna dopo un paio di minuti con una Porsche 911 argento metallizzata. Mi guarda dolcemente ed esclama: << Dai, sali. Ti accompagno a casa.>>
Salgo in macchina e comincio a pensare a un migliaio di motivi per cui non posso farlo entrare a casa. So che l'unica cosa che vuole da me è del sesso facile: non ha alcun altro motivo per volermi, non sono bellissima, sono solo una ragazza normale. Penserà che sono una preda facile.
<< Ecco, quella è casa mia>> gli dico.
<< Perfetto.>>
Parcheggia, scendiamo dalla macchina e mi accompagna alla porta. Lo ringrazio di nuovo e lui mi saluta dandomi la mano. Sì, dandomi semplicemente la mano. Non chiede nulla, nessun silenzio imbarazzante, assolutamente niente. 
Apro la porta ed entro a casa.
La serata procede bene: non chiudo occhio di nuovo e penso a lui tutta la notte.

Unchained (italiano) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora