Apro gli occhi, sento solo un gran mal di testa. Mi guardo attorno; non so bene dove mi trovo e nemmeno come ho fatto ad arrivare qui ma vedendo diverse bottiglie vuote, mozziconi di sigarette e profilattici per terra deduco cosa sia successo.
Mi sembra tutto piuttosto squallido; il bianco delle lenzuola che mi circonda non si rispecchia affatto con quello che sento, con quello che sono dentro. Certe volte nella vita ci si ritrova in situazioni che in passato non avremmo mai potuto prevedere.
Mi metto seduta sul letto e osservo le mie mani. Ho sempre pensato che le mani riescano a descrivere una persona; le mie, ad esempio, hanno nocche ruvide e tanti piccoli graffi sulle unghie finte smaltate di rosso.
Alzo la testa e circospeziono la stanza. C'è un balcone dal quale entra una forte luce mattutina coperta in parte da tende sottili che però non riescono ad evitare che entri la luce. Mi alzo, prendo da terra i miei vestiti della sera passata, non ricordo ancora come, e mi vesto. Prendo la mia borsa e la porta si apre ed entra Mark; qualcosa inizia a diventare più chiaro nel mio cervello.
-Ehi Linsday come va? Male alla testa? - dice scherzando.
-Non fare domande idiote Mark!- rispondo acida.
-Ieri eri una puttana e ora fai la permalosa? - a questo punto mi offende e anche se so che in parte può avere ragione a dire ciò non mi sembra opportuno che da uno come lui possano uscire queste parole.
-Vaffaculo bastardo! -
Prendo la maniglia della porta e faccio per andarmene.
-Ascolta, rimani comunque quello che sei anche se te ne vai poi tornerai quando ne avrai bisogno perché non puoi negare la tua natura. - un'altra delle sue sentenze che pronunciate da lui perdono ogni valore.
-VAFFACULO! - esco e sbatto la porta.
Sono le undici di mattina. Cerco nella borsa il portafogli ma è vuoto. Mi accendo una sigaretta e cammino per la strada senza una meta. So che dovrei trovarmi a casa da mia madre ma ci non voglio pensare; oggi è domenica e come tutte le domeniche dovremmo essere tutti a casa a pranzare insieme come una vera famiglia felice. Odio la domenica.
Più tardi mia madre mi chiama: è furiosa e vuole sapere dove sono.
-Ora arrivo mamma- le rispondo mentre cerco di accelerare il passo perché capisco che se mi dice di tornare a casa un motivo valido c'è e forse lo immagino.
In realtà non vorrei proprio andarci ma mia mamma è l'unica persona a cui, forse, voglio veramente bene e non voglio deluderla, anche se in realtà l'ho già fatto più di una volta.
-Sta zitto!! Ha detto che ora arriva! - non mi serve nemmeno aprire la porta che già ricevo il benvenuto dalle solite grida che sono la normalità in questa casa.
-STA ZITTO?! - grida indignato quello che dovrebbe essere mio padre - stai zitto lo dici a qualcun'altra zoccola! Tua figlia è come te; una nullità e ora stai zitta tu! -
Sto dietro la porta e non so se entrare: tutti i giorni la stessa storia, non è colpa di mamma se sto così ma colpa sua, ma è inutile che glielo dica è come parlare al vento: non capirà mai anche se gli venisse sventolata la verità in faccia.
Decido di entrare.
-Eccoti bastarda! Dove eri andata? ti sembra l'ora di tornare a casa?! - mi saluta nel suo solito modo e nell'unico che conosce.
-Magari fossi una bastarda così non avrei un padre! - mi esce troppo spontaneo e non ho nemmeno il tempo per capire di averlo detto davvero e di fermarmi.
-Vai a lavarti la bocca! Uno ti cresce e poi lo ripaghi così?! -
-Tu non mi stai crescendo mi stai rovinando!! - ormai scoppio.
-Vieni qua brutta scrofa! -
Mi prende per un braccio e mi da uno schiaffo e poi un altro, mi butta per terra, mia madre vuole aiutarmi ma non serve a niente; ormai ha iniziato.
Se ne va e chiude la porta a chiave come se avesse paura che scappassimo, perché mi pare ovvio che per lui noi siamo di sua proprietà.
Avviene tutto così in fretta; stamattina stavo sul letto e non ricordavo niente, poi tutto come un lampo sono tornata alla catastrofica realtà, ed eccomi qui, per terra a vedere ciò che resta delle mie macerie. Tutto così veloce, sfuggente, le parole scorrono come il sangue nelle vene e come un fiume in piena sfociano nel mare tempestoso. E io che rifletto, come a voler fermare questo momento che passa, come se oggi pensiero fosse destinato a vivere quell'attimo e a renderlo eterno, perché le parole non ci riescono; non riescono a dire ciò che in realtà la mente suggerisce e sfociano in lamenti e suoni inutili e si riducono all'indispensabile o al superfluo, dipende dai punti di vista. Perché fino a che ci sarà questa tensione le parole sembreranno sempre come echi nelle montagne.
Io vorrei scappare ma non posso abbandonare mia madre e lasciare che tutto avvenga così come il caso ha deciso, voglio salvare ciò che posso anche se non so dove trovare la forza , e poi una volta risollevata portare con me tutte le cose, poche, a cui tengo e andarmene finalmente via per una vita nuova, migliore, più forte di prima, sempre.
Pensieri di speranza che si sfracellano nel vuoto.
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Il Mare D'inverno
أدب المراهقينLa vita è un continuo cambiamento. Questo è quello che pensa la protagonista di questa storia, una ragazza che non riesce a trovare qualcosa di stabile nella sua vita frenetica ed è in balia degli avvenimenti in prenda al fiume della vita. Linsday...