Prima del trauma (Capitolo 2 - parte 1)

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(P.s. il finale del capitolo, ovvero la parte 2, merita tanto)


14 Settembre 2035

Era settembre, più precisamente la mattina del primo giorno di scuola, e ancora non ho capito perché avessero scelto un venerdì, forse odiavano il lunedì o forse era solo un caso, ma una cosa era sicura, non avevo sentito quella maledetta sveglia e neanche mia madre. Lei quel giorno non lavorava, quindi solitamente dormiva fino a tardi.

«Svegliati! Sono quasi le otto e devi andare a scuola!» urlò mia madre dalla sua camera da letto.

«Sono sveglio!» ripetei mentre aprivo gli occhi. Il risveglio non fu certo dei migliori.

Sospirai e mi alzai con fatica dal letto, mi sembrava di pesare una tonnellata, forse era perché non avevo voglia di andare a scuola quel giorno, ma poi ripensai al fatto che era l'ultimo anno delle superiori e mi ritornò un po' di voglia. In pochissimi minuti mi vestii, presi lo zaino e con una merendina in bocca da mangiare per strada mi incamminai verso la scuola.

Faceva tutt'altro che freddo quel giorno, tantoché alcune persone erano vestite con una semplice maglietta a maniche corte in classe. Arrivai in classe con pochi minuti di ritardo, erano tutti occupati a parlare col loro compagni e sorrisi nel rivederli.

«Ciao Alvise, sei arrivato finalmente.» disse Michelangelo Cerato con una certa sorpresa.

«Ciao.» risposi. Ero ancora addormentato mentalmente, probabilmente sembravo una specie di zombie quel giorno.

C'era solo un posto disponibile ed era in prima fila completamente a sinistra. Fui fortunato ad avere quel posto, perché è il mio preferito, vicino alla finestra e anche alla lavagna. Il professore della prima ora arrivò due minuti dopo di me, per mia fortuna, nonostante ciò fece subito lezione come fossimo a metà anno. Non augurerei di certo a nessuno di iniziare così l'anno scolastico. La seconda ora fu molto più rilassante, non che abbia mai adorato l'inglese, ma le lezioni del professor Tavelli erano sicuramente piacevoli, principalmente perché le faceva a modo suo. Cercava un argomento di cui parlare, dopodiché si metteva a dialogare con ognuno di noi. Alla terza ora c'era Ginnastica, una delle mie materie preferite, ma fu l'ora peggiore della giornata.

«Sette minuti di corsa ragazzi!» urlò la professoressa di Ginnastica, tra i nostri lamenti.

Ogni minuto che passava aumentavano le lamentele dei miei compagni, tutti adoravano giocare a calcetto, a pallavolo oppure a basket, mentre non piaceva decisamente a nessuno correre. Quei minuti passarono velocemente tra le chiacchere e alla fine la professoressa scelse calcetto. Non passarono neanche dieci secondi che Michelangelo prese il pallone e lo calciò via, non era arrabbiato, anzi era particolarmente felice. Quel giorno eravamo in venti presenti, mentre i soliti due erano assenti, stavano a casa più di quaranta giorni ogni anno scolastico, così facemmo quattro squadre da cinque persone.

Ero contento, ma ancora per poco, una felicità temporanea che con il proseguire dell'ora si trasformò in rabbia repressa. Seppur mi piacesse giocare a calcetto, non ero ancora molto bravo, ogni tanto sbagliavo lo stop e anche la mia precisione non era il massimo, infatti preferivo stare in porta, lì me la cavo bene, ma quel giorno avevamo in squadra un compagno che non riusciva a fare neanche un passaggio, così lui finì in porta e io in attacco.

La nostra prima partita finì con un pareggio, fui varie volte insultato per aver sbagliato vari passaggi e un tiro davanti alla porta, purtroppo quando mi arrivava un insulto non era mai da solo, ma con esso sentivo tornare tutta la tristezza della mia infanzia. Non vorrei assolutamente parlarne, ma è necessario affinché capiate le mie future scelte, per quanto discutibili o assurde siano state. Quel semplice insulto diventava un mulinello, mi trascinava verso il basso, senza che potessi far nulla, lasciandomi un senso di tristezza e rabbia, così profonda da non riuscire a sentire nessun altro sentimento. 

Stealth - L'origine di una leggendaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora