1.2 - QUATTRO MESI PRIMA -

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29 settembre 2014.

Il primo giorno è sempre il più difficile, anche per una famiglia come la nostra che si è trasferita in continuazione di casa in casa. Si potrebbe pensare che, dopo tutto questo tempo, uno si sia ormai abituato a doversi presentare in un nuovo istituto scolastico per la chissà quant'esima volta. Invece l'ansia incomincia già a manifestarsi nel momento in cui apri l'armadio e devi decidere come vuoi che il mondo ti veda, la prima impressione conta, soprattutto quando sei vicino a compiere sedici anni.

Mi guardai allo specchio attaccato dietro la porta, l'unico in cui potevo vedermi a figura intera. Ero uno dei tanti ragazzi non soddisfatti del proprio aspetto; sono pochi i giovani che durante l'adolescenza si piacciono e non trovano di che lamentarsi del proprio corpo.

Il riflesso del mio corpo su quella superficie lucida, anche se ben proporzionato, di certo era carente di qualche centimetro in altezza rispetto ai miei coetanei. I miei occhi marroni erano come tanti, i capelli di un comunissimo castano ed il naso risultava abbastanza pronunciato.

Da sempre le mie caratteristiche fisiche mi spronavano a far leva sul carisma, nella continua ricerca della popolarità che un adolescente desidera. Popolarità, non che a me importasse poi tanto. Ero un ragazzo chiuso, uno che preferiva stare nel suo angolo rispetto al cercare di spiccare nel centro della stanza.

«STEVE... la colazione!» chiamò Mary dalla cucina.

Mary e Tom erano i miei tutori. Già, perché oltre ad essere un adolescente non particolarmente dotato in bellezza, non avevo neanche la fortuna di avere i miei genitori, anzi, di non averli proprio mai conosciuti. Voglio però essere chiaro fin da subito sulla mia situazione: non era affatto un problema per me.

Il mondo ha da sempre marciato emotivamente sui conflitti paterni, sfruttandoli come trame di film, libri o storie. Dal maghetto a cui hanno assassinato i genitori e che viene maltrattato dagli zii, fino al fatidico: "IO SONO TUO PADRE". C'è moltissimo materiale che da tempo immemorabile ha trattato e analizzato il tema della sofferenza provata da chi non ha avuto i genitori vicino.

Nel mio caso, non è mai stato un problema. Anzi, Mary e Tom mi han sempre trattato bene e io non sono mai stato ossessionato dal sapere perché i miei genitori biologici non mi abbiano voluto o altri vittimismi simili. Sono loro che ci hanno rimesso per quanto mi riguarda.

«Steve, guarda che nel frigo c'è la torta margherita che ho fatto con le mie mani... se la volessi assaggiare, mi farebbe piacere sapere come è venuta.»

Scesi e andai in cucina, la presi insieme al latte e al resto. Non mi è mai piaciuto farmi servire da Mary, forse anche per la riconoscenza che provavo nei suoi confronti. Va detto infatti che, comunque, non è da tutti prendere un impegno del genere e, per impegno, parlo di me. Io infatti ero un bell'impegno per loro, oltre ad essere la causa di tutti quei traslochi.

Inizialmente, anche io pensavo che le case da cui scappavamo, erano infestate da chissà quali presenze. Ma, con l'andar degli anni, è alquanto inevitabile arrivare a fare dei collegamenti. Ho capito che le cose strane che accadevano in casa nostra avevano un qualche legame con me. Non ho mai avuto il coraggio di dir loro questo mio dubbio. Parliamoci chiaro, già non avevamo legami di sangue, ci mancava solo che iniziassero a vedermi come la causa di quei fatti inspiegabili.

Per fortuna quegli episodi sovrannaturali non capitavano frequentemente. Andava a periodi e soprattutto non si verificavano mai mentre ero cosciente, ma solo mentre dormivo. A volte quelle manifestazioni erano accompagnate da sogni strani, altre, da un sonno buio e incosciente.

Mary si avvicinò e mi tirò un colpetto affettuoso sulla spalla «Allora, come è la torta? Se ti piace ringrazia Masterchef e la pay-tv!»

«Come si chiama questa ricetta?»

FIOCCO DI NEVE NERODove le storie prendono vita. Scoprilo ora