"E mi odio
ogni volta che ti vedo
perché
c'è un abisso
tra le cose che ti vorrei dire
e quelle che invece ti dico"Quattro ore prima.
Limiti: c'è chi crede che vadano superati; chi è convinto che salvino se stessi e gli altri; chi invece se li autoimpone per paura, sfiducia o insicurezza. Io ne ero completamente e volutamente bloccato. Avevo gettato l'àncora, ancora prima di conoscere Emilia.
Mio padre mi ripeteva sempre che fossi un perdente, che non avrei mai realizzato nulla nella mia vita.
Avevo subìto così tanto le sue vessazioni verbali che, giorno dopo giorno, avevo finito per convincermene.
Ero un perdente, un ragazzo in grado solo di scappare di fronte alle difficoltà, incapace di reagire e di affrontare di petto gli ostacoli della vita.
Ero un fallito e ci ero diventato perché non sapevo fare altro.
Come ogni mattina, mi costrinsi a scendere dal letto e a ricominciare un'altra giornata di lotta contro me stesso.
Mi accomodai a tavola dove il caffè e una fetta di ciambellone con la confettura di albicocche mi davano il buongiorno. Christopher era già uscito per vedersi con dei suoi compagni di scuola per studiare insieme, e la mamma mi faceva compagnia con il suo solito sorriso affettuoso.
«Quanto ancora resterà chiuso il ristorante?» chiese cercando di fare conversazione.
«Non lo so.»
Era già una settimana che non andavo a lavoro. Il locale aveva iniziato un'attenta ristrutturazione in vista dell'estate, ma avevano trovato dei difetti nell'impianto elettrico e i lavori avevano finito per prolungarsi.
«Io devo andare dall'avvocato» mi informò vaga, dando un sorso al suo caffè. «Ci sono delle cose di cui dobbiamo discutere e aveva tempo solo stamattina...» si giustificò essendo domenica. «Stavolta non serve che mi accompagni. Rimani pure a casa a riposare...»
Si alzò da tavola e iniziò a sparecchiare, senza nemmeno finire il caffé. «Ah, Christopher si è dimenticato le chiavi di casa. Rispondi al citofono quando torna, okay?»
La mamma sapeva quanta ansia mi procurasse il suono del campanello. Quando ero piccolo, papà lo suonava con rabbia e insistenza, dopo essere tornato dal bar ubriaco. Aveva le chiavi di casa sempre con sé eppure insisteva affinché fossimo noi a dargli il bentornato, quando di felice nei nostri occhi non c'era proprio nulla e la paura si ergeva sui nostri visi con forza e violenza.
Ogni giorno avevo vissuto con il terrore che il citofono suonasse e ogni singolo minuto avevo sperato che non lo facesse mai, che lui avesse deciso di non fare più ritorno, che ci avesse finalmente liberati dalla nostra condanna e che avessimo potuto iniziare a vivere salvi dalla sua oppressione.
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Come Conchiglie sulla Sabbia
Romance"Siamo conchiglie dal cuore rotto, arenate sulla sabbia, dimenticate dal resto del mondo, considerate inutili, ma con il forte desiderio di rinascere ancora" Emilia ha appena diciassette anni quando ritorna nella città che, nove anni prima, le ha po...