Capitolo 5

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Il rientro alla normalità fu duro, ma sopportabile. All'università si andava avanti a lezioni con i professori che ci facevano andava avanti ad esercitazioni e a prove dei test che avremmo dovuto tenere a breve. Maggio era alle porte, ma ciò non mi spaventava perchè ci sarebbero state solo due settimane d'inferno prima delle meritate vacanze. Avrei cominciato a lavorare come tirocinante per un mese in uno studio di una psicologa scolastica, del mio vecchio liceo, ma dato che ero al primo anno mi avrebbe sicuramente fatto fare poco, perciò mi avrebbe dato molto tempo libero per la mia ricerca. Avrei comunque avuto tutto luglio e la prima metà di agosto per rilassarmi prima di ricominciare con il primo semestre del secondo anno. Lo studio mi teneva attaccata ai libri in camera mia più del dovuto, anche se ogni tanto cambiavo location per andare a concentrarmi in biblioteca o in un cafè, pur di non stare troppo a stretto contatto con la mia famiglia. Fortunatamente c'erano stati momenti in cui ero riuscita ad uscire per un drink leggero la sera con i miei amici. Non potevamo fare nottata, perciò tornavamo sempre prima delle 23. Ma non avevo più rivisto Cate, o Gia. Ogni tanto ci ritrovavamo a studiare alla biblioteca universitaria con Brent e Titus, nella sede centrale, ma loro due non riuscivamo a vederle perchè erano incasinate con le consegne e lo studio molto più di noi. Provai una prima volta a chiamarla una settimana dopo il rientro dal break di primavera, ma non mi rispose.

« Avete sentito le altre due? » domandò Cassie, durante una delle nostre pause caffè pomeridiane.

« Stanno dalla mattina alla sera alla Columbia, Cassie a disegnare i definitivi mentre Gia a scrivere al computer e a rileggere gli appunti dopo le lezioni, non hanno tempo nemmeno per respirare. Comunque entrambe vi salutano e vi augurano buona fortuna » spiegò Brent.

Quella stessa sera riprovai a telefonarle, ma non mi rispose, di nuovo. La mattina seguente ci fu l'ultima lezione prima del periodo di preparazione intensivo. Tornata a casa poco dopo le 11, dopo nemmeno due ore di lezione, mi buttai sul letto. Il mio telefono cominciò a squillare, guardai il nome su di esso e in meno di un secondo ero in piedi.

« Pronto? »

« Margot » la sua voce era così bella, mi era mancata tantissimo, ma non feci trasparire questo sentimento dal mio tono. « Come te la stai passando? Era da un po' che non ci si sentiva »

« Già... Comunque ma la passo bene, anche se lo studio mi sta un po' sotterrando. Io sarei già pronta a fare i test pure domani, sono a buon punto. Sono molto positiva riguardo al loro superamento »

« Bene, mi fa piacere » potevo vedere il suo sorriso vicino al microfono mentre pronunciava quella frase « Ti va di venire a casa mia? Mi sono data un girono di riposo, e mi domandavo se ti andasse di andare a fare un brunch come l'ultima volta »

Non esitai nemmeno un attimo, mi feci dare l'indirizzo di casa sua e le dissi che avrei preso la metro in cinque minuti e che sarei arrivata da lei in meno di dieci. Arrivata davanti al portone suonai al suo campanello, e salite le scale arrivai al suo appartamento. Sulla destra il tavolo a cui era seduta era pieno di grandi fogli disegnati a lapis, e tanti piccoli fogli A4 con degli schizzi.

« Finisco una cosa e poi metto a posto. Così possiamo andare. Accomodati pure! »

Mi guardai attorno, e mi diressi verso il bianco divano in pelle alla mia sinistra. Dietro di esso una libreria nera con mensole che arrivavano al soffitto, che lasciava intravedere la parete di mattoni a cui si appoggiava. Si estendeva tra tre pilastri che sporgevano, due erano alle estremità, tra la porta d'ingresso e l'enorme finestra che affacciava fuori, e uno nel mezzo, accanto cui c'era appoggiata un'esile scala in legno. Appesi ai pilastri delle foto di New York scattate con una macchina fotografica a rullino in bianco e nero. La base della libreria era composta da una serie di spazi con grandi cassetti, che per ovvi motivi non aprii. Davanti al divano un tavolino nero, alla sua sinistra una poltrona e alla sua destra una specie di panca vintage con l'imbottitura, anch'essa in pelle. Sul muro opposto, quindi, sempre in mattoni, una grande TV a schermo piatto. Era, anche questa, come intrappolata tra due pilastri. Sopra una mensola in vetro sottile, su cui c'erano esposte una serie di macchine fotografiche vintage, l'unica che riuscii a riconoscere fu una polaroid land camera 1000. Sotto, invece, un mobilino, con tanti scaffali in cui c'erano una serie di DVD. Mi piegai sulle ginocchia ed iniziai a guardare qualche titolo. C'erano tutti i migliori degli anni '80-'90, alcuni che avevo visto pure io.

ASH TEARSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora