DUE

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Mentre si trovavano in attesa che il ragazzo venisse dimesso dall'ospedale, Vince tornò al loro appartamento, recuperando l'auto che aveva lasciato in garage quella sera, prima di uscire a cena con il compagno, dato che il ristorantino in cui lo aveva portato si trovava nello stesso isolato in cui abitavano.

Avevano faticato non poco per trasportare, a piedi, il giovane lì e dato che avevano deciso – dopo la chiacchierata con J.B. – di ospitare lo sconosciuto in casa loro, l'uomo trovò opportuno evitare l'ennesima faticaccia, preferendo recuperare l'auto.

Quando tornò in ospedale, trovò Patrick ad attenderlo davanti l'ingresso, mentre lo sconosciuto sedeva al suo fianco, rannicchiato su se stesso, abbandonato sul basso muretto che cingeva un'aiuola. Gli bastò accarezzare con lo sguardo la curva delle spalle dell'amante per notare la rigidità dei suoi muscoli, nonostante la distanza, la penombra e il velo sottile di pioggia che continuava a scendere dal cielo. Comprese immediatamente che Patrick era furioso e non se la sentiva neanche di dargli torto.

Entrambi erano da sempre attivi nel mondo del volontariato, ma un conto era muoversi con le spalle coperte dalle associazioni di cui facevano parte, un altro era prendersi la responsabilità di un perfetto estraneo sbucato fuori dal nulla, così come loro stavano facendo.

Tuttavia, l'aveva promesso a suo fratello e quel ragazzo continuava a muovergli nel petto una strana tristezza, tanto che, alla fine, scosse la testa, scese dall'auto andando incontro ai due, con l'intenzione di concludere quella nottata disastrosa portandosi dietro lo sconosciuto, senza più ripensamenti.

Il breve tragitto che percorsero verso il loro appartamento fu in buona parte silenzioso, almeno sino a quando, proprio mentre Vince imboccava l'ingresso del garage sotterraneo del palazzo in cui vivevano, Patrick sbuffò spazientito, sganciando la cintura di sicurezza e voltandosi verso il loro ospite, che occupava parte dei sedili posteriori, tenendo lo sguardo ostinatamente fisso oltre il finestrino.

«Almeno possiamo sapere il tuo nome?» chiese, senza riuscire a celare un certo astio nella propria voce.

Vince allontanò una mano dal volante, accarezzandogli una coscia, tentando, con quel suo gesto, di rassicurarlo e calmarlo un po'.

«Vi ringrazio per avermi aiutato.» sussurrò lo sconosciuto con una voce sottile. «Ma se vi do fastidio potete portarmi indietro. Non voglio disturbarvi ancora, mi dispiace per prima.»

Quelle parole ebbero il potere di stimolare di nuovo il senso di colpa di Patrick. Tornò a sedersi composto, mentre il suo compagno occupava il parcheggio predestinato a loro, spegnendo l'auto.

«Non c'è bisogno che ti scusi di nulla.» disse Vince, assumendo un tono particolarmente morbido e gentile. «In ospedale dicevano che non parli. Non che mi stia lamentando che tu lo faccia, ma posso chiederti perché non hai voluto parlare con loro?»

Il giovane si strinse nelle spalle. «Non mi sembravano tanto interessati a me, tipo per davvero, intendo. Voi mi avete aiutato. Con voi è okay, penso.»

Patrick si commosse. Tornò a voltarsi nella sua direzione, stando sulle ginocchia. «Adesso ce lo dici il tuo nome?» domandò con voce più dolce.

Il ragazzo gli rivolse un sorriso timido, annuendo una sola volta. «Andy.»

«Andy, come?» chiese Vince e quello tornò a stringersi nelle spalle.

«Soltanto Andy.»

I due amanti si scambiarono uno sguardo d'intesa e Patrick sospirò, decidendosi di scendere dall'auto.

Tornarono a muoversi in silenzio, mentre prendevano l'ascensore e salivano sino al decimo piano del palazzo, sbucando nel lungo e silenzioso corridoio, illuminato da una morbida luce soffusa.

Appena furono dentro casa, Vince stese le braccia sopra la testa, stiracchiandosi, e Patrick notò lo sguardo quasi sgomento del loro ospite posarsi sul suo compagno. Sospirò, consapevole del perché di quella reazione improvvisa. Dopotutto, il suo innamorato, dell'orco, oltre che i modi, ne possedeva anche la stazza, seppur i suoi addominali scolpiti sostituissero la pancia prominente che si era soliti associare a quella figura fantastica. Ma non aiutavano di certo gli altri elementi che lo caratterizzavano: muscoli possenti, tatuaggi, piercing e uno sguardo apparentemente duro – che usava alla stregua di una più comune faccia da poker – che gli conferiva ancora di più l'aura di essere un tipo pericoloso.

Sorrise, sentendosi un po' triste, passandosi una mano tra i corti capelli castani, sentendoli ancora umidi di pioggia. I vestiti che indossava stavano iniziando ad asciugarsi direttamente contro la sua pelle. Rabbrividì e invitò il loro ospite a seguirlo in bagno.

«Io vado nell'altro.» annunciò Vince e lui annuì.

«Potresti portarmi prima qualcosa da fargli indossare, per favore?» chiese e l'altro gli rispose con un cenno affermativo.

«Non voglio disturbarvi.» mormorò Andy, seguendo l'uomo in bagno, stringendosi le braccia intorno al busto e incassando la testa tra le spalle.

«Non ti preoccupare. Hai fatto bene a fidarti di noi. Non so perché tu l'abbia fatto, ma noi siamo abituati a questo genere di cose. La famiglia di Vince gestisce un'associazione che aiuta soprattutto i reduci di guerra. Ne hanno fatto il loro lavoro, la loro missione. Spesso si aggirano per i vicoli della città, cercando tra i senzatetto qualcuno di questi uomini e donne dimenticati dalla Patria. Ma questo non significa che se qualcuno ha bisogno, anche se non si porta dietro un passato in divisa, noi ci tiriamo indietro, anzi. Più persone possiamo aiutare, meglio è. Anche se non è una cosa facile.» spiegò Patrick, mentre iniziava a riempire la vasca da bagno per il loro ospite.

Andy si morse un labbro, fissando i suoi movimenti con estremo interesse. «Come ti chiami?»

«Dannazione! Hai ragione. Ti abbiamo chiesto il tuo e poi non ti abbiamo detto i nostri nomi. Scusa!» esclamò l'uomo, sentendosi abbastanza mortificato per quella sua dimenticanza. «Io sono Patrick. Puoi chiamarmi anche Pat, se preferisci.» indicò con un dito la porta chiusa, facendo riferimento al compagno. «Vince.»

«State insieme, vero? Per questo vi ho chiesto aiuto, nel vicolo. Vi ho visti mentre vi baciavate.»

Patrick aggrottò la fronte. «Non mi sembra un buon motivo per fidarsi di qualcuno. Non è che tutti gli omosessuali sono brave persone a prescindere. Dovevi stare più attento. Sei stato fortunato, hai incontrato noi. Ma se ci sarà una prossima volta vedi di prestare più attenzione.» lo ammonì, senza riuscire a trattenersi dal fargli quella ramanzina.

Andy annuì, colpito dalle sue parole.

«Senti, posso chiederti per quale motivo ti trovavi lì?» e proprio in quell'istante Vince bussò e aprì la porta, entrando nel bagno. Il ragazzo sussultò, ma l'altro gli sorrise, cercando di rassicurarlo e sembrò riuscirci per davvero dato che Andy tentò persino di ricambiarlo, e mormorò un grazie, mentre prendeva tra le proprie mani tremanti la biancheria che Vince gli porse.

Quest'ultimo annuì e si chiuse la porta alle spalle, lasciandoli soli: sapeva che il suo compagno, in situazioni come quella, era in grado di tirare fuori una sensibilità che lui era consapevole di non possedere. Aiutare gli altri gli piaceva, ma come suo padre era ipocondriaco e si limitava a elargire il proprio aiuto da lontano, allo stesso modo agiva Vince, proprio perché relazionarsi con gli altri non era mai stata una cosa facile, per lui.

«Okay. È tutto pronto.» disse Patrick, così preso dall'organizzare tutto da dimenticarsi della domanda che aveva precedentemente posto al giovane e alla quale lui non aveva fornito una risposta. «Se hai bisogno di aiuto, sto nella stanza in fondo al corridoio, la porta di destra. Ti preparo qualcosa da mangiare mentre tu ti lavi e ti cambi.» continuò, superandolo per uscire dalla stanza.

«No, aspetta! Non ce n'è bisogno.» mormorò Andy.

Patrick sorrise. «Fai con comodo, eh.» disse chiudendosi la porta alle spalle.

RICOMINCIO DA QUIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora