Capitolo 6 pt.2

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Capisco che è Raul senza dover aprire la porta. Sono le dieci di sera ed Ola mi viene a cercare nella sala lettura. Lo capisco dal viso e le dico che "va bene, può entrare". Attraversa a falcate il corridoio e lo trovo fermo sullo stipite a guardarmi. Ha le mani nelle tasche dei jeans blu, la camicia bianca aperta sul collo e la cinta stretta in vita. Ho un balzo al cuore e penso sia per la paura di dover affrontare la situazione. Ha il viso corrucciato, tiene la testa alta ma ogni tanto l'abbassa per guardarsi i piedi. Dondola avanti ed indietro senza parlare ed io attendo paziente per non fare una figura di merda. E se invece non sapesse nulla? Ad un certo punto cambia espressione, le pieghe della fronte si spianano e le ciglia lunghe rimangano attaccate alle guance. Sembra stia riflettendo. La bocca si piega all'ingiù e pare volersi complimentare. Chiudo il libro che ho in mano, forse troppo forte perché spalanca gli occhi e li incolla su di me. Avverto una tensione mai provata prima. Si piega sul fianco e si appoggia col busto allo stipite della porta senza togliere le mani dalle tasche. Mi accorgo di avere il fiatone. Ha davvero lasciato quest'uomo per quel fallito di mio padre?

"Cosa leggi?"

Deglutisco, a fatica. Molta fatica. Cerco di prendere tempo per potermi fidare della mia voce. Mi liscio la gonna sulle gambe e facendo finta di leggere il titolo, gli faccio vedere in lontananza la copertina.

"Ah, interessante – una terra bruciata dal sole – Ti piace l'Australia?"

Scuoto la testa.

"Allora perché lo leggi?"

Mi guardo in giro e capisco di trovarmi così tanto in imbarazzo da non aver ancora parlato. Cerco di contenere il mio comportamento e raccolgo le forze.

"Mio padre mi parlava dell'Australia quando ero piccola. Pensavo di capire qualcosa di più di lui..."

"Non hai rapporti con David?"

Alzo la testa. Conosce il suo nome. Cerco di scrutare qualcosa nel suo sguardo ma è una maschera vitrea. Impermeabile. Nessuna emozione entra e nessuna esce. Eppure, quel corpo così teso, qualcosa deve pur significare. Scuoto la testa. Fa un passo nella stanza ed inizia ad adocchiare cosa c'è in giro. Lo spazio è riempito banalmente: un divanetto da lettura, una scrivania con la classica lampada e qualche centinaio di libri in giro. Acquisti in viaggio da mia madre, grandi classici, qualche libro auto pubblicato da amici e saggi sulla guerra.

"Non vedo i suoi libri" dice d'un fiato.

Mi alzo in piedi e lascio il mio sulla scrivania.

"Beh vedi, lei non li tiene qua. Ha solo la prima copia di ogni edizione e la tiene segregata da qualche parte per ricordo".

"Sai che ha dedicato tutti i suoi libri ad un certo D.?"

"Sì...".

Ora ha capito.

"Non ti scoccia che tua madre" e marca quest'ultime parole così tanto da renderle offensive "non ti abbia dedicato un solo libro?"

E' una cosa che ho pensato milioni di volte senza condividere con lei le mie perplessità. Perché, infondo, dopo tanti dubbi le mie risposte le avevo avute cercandole da sola.

"Io sono ancora sua. Lo sarò per sempre. Non sono qualcosa che ha perso e che vorrebbe ritrovare in ogni angolo del mondo, in ogni angolo della sua vita".

Lui mi fissa negli occhi e mi viene voglia di distoglierli. Eppure non lo faccio. Sostengo il suo sguardo duro e potente ed avverto una carica sensuale che prima non avevo mai percepito o che forse avevo ignorato. Il cuore batte sempre più veloce, istante dopo istante. Per non lasciarglielo intuire, cerco di intraprendere la conversazione per cui è venuto qui.

"Mi dispiace per ciò che ha fat..."

"Fai silenzio..." mi dicescuotendo la mano di fronte al mio viso. Le sue dita sono a pochi palmi dallamia bocca ed ho un'irrefrenabile voglia di fargliele toccare. Mi sento sporca.Quel corpo che ora guardo così languidamente ha toccato mia madre. 

Resta: Il professore e l'alunnaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora