Capitolo sedicesimo

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DAL PUNTO DI VISTA DI AMY

Mi ero promessa di essere dura, avevo giurato a me stessa di non cedere e invece, come sempre, non sono riuscita a resistere.

La verità era che da troppo tempo ormai stringevo i denti, da troppo tempo lottavo da sola contro il mondo intero.

Erano successe cose orribili e lui è arrivato dal nulla, è tornato dopo un silenzio lunghissimo e tutta la rabbia che provavo nei suoi confronti è scivolata via quando ho incrociato i suoi occhi verdi. Non sapevo provare rancore, a differenza sua che lo coltiva negli anni.

Sapevo perdonare, spesso l'ho fatto anche quando non avrei dovuto.

Jack dormiva sul mio letto, c'era un forte odore di sudore nella stanza così aprii la finestra nonostante facesse veramente freddo quella mattina.

Lui era il mio ragazzo, ed io ero la sua ragazza...così doveva essere.

L'avevo conosciuto in un locale, sembrava così gentile e premuroso, mi aveva tenuto i capelli mentre ero intenta a liberare il mio corpo dall'alcool in eccesso incastrado la testa tra dei bidoni della spazzatura accanto ad un'uscita di sicurezza.

Aveva dei denti perfetti, un sorriso che con il tempo scoprii essere per la maggior parte delle volte falso, bugiardo, ma bellissimo.

Ci frequentammo per un po' e me ne innamorai perdutamente, arrivai a proporgli di trasferirsi da me e così fece.

Purtroppo scoprii presto che era un uomo diverso da quello che mi aveva fatto credere, era violento e spesso ubriaco.

Con il passare del tempo smisi di mangiare, stavo parecchio male e il dolore mi chiuse lo stomaco, diventai troppo magra, senza però toccare l'anoressia.

Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo e non lo potevo sopportare, pensai seriamente (di nuovo, dopo tanti anni) di togliermi la vita. Era un incubo senza fine, ero in una trappola, in gabbia senza via d'uscita.

Avevo passato l'intera vita subendo i mali peggiori, Dio mi aveva fatto assaggiare la libertà per poi prendersela nuovamente e rinchiudermi di nuovo in una scatola strettissima, ed io non riuscivo a respirare.

Quando sentii la voce di Will fui veramente sollevata nonostante cercassi di nasconderlo sia a lui che a me stessa.

Avevo tentato di scappare anche da quella casa, ma dove sarei potuta andare? Non avevo un soldo e quella era casa mia, c'era la mia vita lì.

Tornavo ogni volta con la coda tra le gambe, ho sempre saputo di essere una persona debole e questo mi faceva sentire uno schifo, avevo vergogna e provavo pena per me stessa.

Ora avevo una via di fuga, Jack si girò nel sonno borbottando qualcosa con un filo di saliva agli angoli della bocca dischiusa.

La sera prima presi l'unica borsa che avevo e la riempii buttandoci dentro qualche paio di mutande, i vestiti più belli che avevo, un paio di libri, qualche vinile e il mio diario.

Stava letteralmente esplodendo.

La tirai fuori da sotto il letto, afferrai la chitarra e uscì di casa cercando di non svegliare l'uomo in casa mia, mi sedetti sul marciapiede fuori dalla porta del mio condominio e sperai che mio fratello arrivasse in fretta, prima che Jack si accorgesse che io me n'ero andata.

Tardò solo di una decina di minuti.

"Cosa ci fai qua fuori?" sorrise scendendo dalla su macchina, avevo l'impressione fosse molto costosa.

"Ti aspettavo" risposi alzandomi, aprì il baule ed io ci misi tutti i miei pochi averi.

"Andiamo" era allegro e spensierato, mi era successo poche volte nella vita di vederlo così, mi mise felicità.

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