III. Au sommet du monde

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Shangri-La Hotel, Parigi, 15 settembre, ore 11:23

Louis si era svegliato a mattinata inoltrata, un sapore di vita in bocca e tanta, troppa frenesia in corpo. Aveva spalancato le finestre e l'aria frizzante di quella città dal sapore di dolci gli aveva invaso le narici facendogli brontolare lo stomaco. Aveva fame, tremendamente.

Aveva fame di avventure e di vita, di sole e di pioggia, di farsi venire male ai piedi per le troppe camminate, di ritrovarsi con il respiro mozzato per la bellezza inaudita del mondo.

Aveva fame di poter vivere di nuovo, come da bambino.

E aveva anche fame di brioches, ovviamente.

Si sfilò la maglietta bianca e rimase in pantaloncini mentre si avvicinava al telefono fisso posto a fianco del tavolino di vetro sotto la televisione, sbadigliando e aprendo il menù con fare confuso, la sola idea di mettere qualcosa sotto i denti.

Era tutto scritto in francese, ovviamente. Dannazione, se soltanto ci fosse stato Harry ad aiutarlo.

Harry.

Quel ragazzo dagli occhi inebrianti come un prato bagnato dalla brina alle prime luci dell'alba, prezioso come l'ossigeno, il cuore grande come il mondo.

Scovato per caso, ammirato per scelta.

Louis lo negava a se stesso, con tutta la sua persona, ma non riusciva a scollegare la mente da quegli occhi verdi e quelle mani tra i suoi capelli. Ne era attratto.

Era emotivamente, fisicamente e geneticamente sbagliato, impossibile. Non si sarebbe spinto così in là, non lo avrebbe permesso, pensava.

Ma il problema, era che Harry continuava ad essere lì, perennemente nelle sue idee, una nuova e inaudita prospettiva di vita, senza un'apparente ragione. E questo non poteva impedirlo, così si torturava.

Respira Louis, va tutto bene. Sono passate poche ore, prenditi tempo e concentrati, lo dimenticherai. E' normale che sia ancora un ricordo vivido, in fondo ti ha solo stretto tra le braccia mentre stavi svenendo, si è preoccupato per te senza nemmeno conoscerti, ti ha fatto preparare la cena evitando i suoi impegni e ti ha messo le mani tra i capelli nel tentativo di farti calmare. Cosa potrà mai esserci di così strano?

La voglia di sotterrarsi presente nella coscienza di Louis era tanta, dal momento che aveva esplicitamente chiesto al riccio di uscire sotto una qualsiasi forma di appuntamento. E Harry per di più aveva accettato, calorosamente.

Stupido, stupido, stupido Louis.

Erano passati nove giorni dall'unica volta in cui si erano visti, e Louis sapeva perfettamente che doveva stargli lontano, ma ormai l'idea era partita da lui, perciò in ogni caso sarebbe stato compito suo quello di presentarsi da Harry per regalargli quell'ultimo addio. A lui non interessava, e probabilmente anche il riccio era fidanzato, quasi sicuramente. Un'uscita tra amici, conoscenti, per sdebitarsi, nulla di più e nulla di meno. Neutrale, nessuna emozione, proprio come la prima volta, non sarebbe cambiato niente. E poi Louis non era così. Non gli interessavano i ragazzi. Erano due ragazzi etero che si sarebbero presi un unico caffè assieme prima di salutarsi per sempre, ovviamente.

Non erano presenti interessi maggiori.

Non mentire Louis.

Non mentire a te stesso e all'unica persona che dopo anni è stata capace di farti balzare il cuore in gola con un solo sguardo. Non mentire sul fatto che non hai sentito niente, sul fatto che ti sei sentito giusto. Non mentire all'idea di esserti perso tra quei ricci castani, nel rosso del tramonto, alla luce del sole. Non nasconderti alla percezione della realtà. Non farlo, non da solo, non di nuovo. Non sentirti sbagliato, perché questa è l'occasione per sentirti giusto, forse l'unica, forse non riaccadrà mai più. Può succedere, di voler cambiare, di doverlo fare, e se può farti stare bene, per una volta osa. Provaci. A sentirti felice, a pensare a te stesso. Solo una volta, solo per un po'. Cercali quei colori, che sai esattamente dove trovarli.

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