For friends my name's Alec

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"Run boy run
this world is not made for you."

Run Boy Run - Woodkid

***

A Fabio Genovesi, grande scrittore e persona dall'immensa umanità.
A lui che, più di tutti, mi ha dato la forza di scrivere, di uscire fuori dagli schemi, di vivere.

***

Sto scappando dal mio parco dopo aver deluso una delle persone che negli ultimi mesi si era un po' interessata a me.

So che questa non può essere una soluzione permanente e che, prima o poi, qualcuno riuscirà a distruggermi ma, finché posso, lo evito.

Son già andato abbastanza oltre e so di avergli dato una speranza che era finta già prima che esistesse.

Mentre cammino velocemente verso il cimitero cerco disperatamente le cuffiette nella giacca, ma sembrano introvabili.

Sono le 16 e 36 e la strada è piena di gruppi di ragazzi che parlano di non so cosa.

Trovate le cuffiette le cerco di infilarle nell'entrata del telefono, ma senza successo. Così, sposto la mia attenzione sull'attacco per connetterle ma, dato che son distratto, non mi accorgo di star andando a sbattere contro qualcuno che era distratto come me.

"Merda... Scusa! Non ti avevo visto." borbotto mentre cerco di recuperare il telefono da terra.

'Fantastico, l'ho distrutto!'

"Cavolo, no, scusa tu, stavo leggendo e non guardavo dove andavo." risponde con uno strano accento inglese.

Mi alzo e guardo: è un ragazzo sui 17 anni, capelli castano chiaro, occhi verdi, muscoli ovunque.

'Pft, il classico ganzetto che se la tira.' penso.

"Uhm... Piacere, Alexander. Per gli amici Alec." si presenta porgendomi la mano.

"Luca, piacere mio." rispondo ricambiando la stretta.

Alexander mi osserva dalla testa ai piedi e poi si sofferma sulla mia mano destra o, meglio, si sofferma sull'oggetto che tengo in quella mano.

"Il tuo telefono, è distrutto" mi dice.

'Che genio!'

"E' colpa mia?" chiede.

'Sì babbeo. Se tu non mi fossi stato tra i piedi io non l'avrei smarmellato a terra!'

"Oh, nono, era già così." mento.

"Cavolo, dovresti cambiarlo!" ride, forse per smorzare la tensione.

Fingo una risata: "eh già, ci sto lavorando"

"Che ne dici di berci un caffè? Devo farmi perdonare per la botta." mi propone.

Sto per rispondere che non posso quando lui mi precede: "non accetto un 'no' come risposta" e sorride.

'Ah, addirittura?!'

"Beh, allora ti sei risposto da solo." dico nonostante dentro io stia morendo dalla voglia di andarmene.

'Ma in che situazione son finito?'

"Hai ragione! Allora andiamo, conosco un posto in centro che fa il miglior caffè d'Europa!"

Così, mi incammino con uno sconosciuto verso il centro di Firenze, nonostante il mio unico desiderio sia quello di andarmene immediatamente.

Arriviamo al bar, entriamo e ci sediamo in un posto appartato vicino a una vetrata.

Mentre aspettiamo che il cameriere venga a prendere le ordinazioni osservo il caos fiorentino fuori dalla finestra e penso a Simone e a come l'ho lasciato.

Forse dovrei mandargli un messaggio.

"Allora, Luca - mi dice Alexander - comincia lo sconosciuto - cosa mi racconti di te?"

"Nulla di che, ho 17 anni, son di Firenze, sono in quarta superiore allo scientifico qua vicino. Basta" taglio corto.

"Solo questo? Sei una persona così semplice?" mi chiede lui con un sorriso.

'Sta cercando di rimorchiarmi?'

"Non c'è molto da dire, non amo parlare di me stesso." dico.

Alexander sta per ribattere ma, fortunatamente, il cameriere arriva al nostro tavolo e chiede le ordinazioni.

Lui ordina anche per me, senza neanche avermi chiesto niente.

Il cameriere, dopo aver preso le ordinazioni, torna al banco e si mette a preparare, mentre io rivolgo uno sguardo interrogativo al mio "accompagnatore".

"Voglio farti provare questa specialità" si giustifica alzando le spalle.

Annuisco in maniera poco convinta e lascio cadere l'argomento e stronco quelli a venire mettendomi a guardare il telefono per evitare che mi faccia altre domande.

Mentre sto guardando il cellulare arriva il cameriere con i nostri caffè.

Ne sento l'odore e no, non sa per niente di caffè.

"Che cos'è?" chiedo ad Alexander.

"Oh, è caffè al thè verde, una vera delizia!" afferma orgoglioso.

Allungo la mano per prendere una bustina di zucchero dal contenitore in mezzo al tavolo ma lui mi blocca: "non metterlo, è già dolce di suo." mi avvisa.

Ritiro la mano e provo ad assaggiare il caffè.

Mentre lo sto sorseggiando la mia attenzione viene attirata da una persona fuori dal bar che si è fermata davanti alla finestra.

Volto lo sguardo, metto a fuoco la figura e lo riconosco.

'Simone?!'

Lui mi guarda, scuote la testa con un'espressione delusa e si avvia a passo svelto per non so dove.

Preso dal panico lascio cadere la tazzina sul tavolo, rovesciandone il contenuto.

"Luca - mi chiama Alessandro o Aleandro o quel che è - stai bene?"

Non rispondo, mi affretto a prendere la giacca, a tirare fuori degli spiccioli e metterli sul tavolo per pagare e ad uscire da locale per seguire Simone ma, prima ch'io riesca ad uscire, Alex qualcosa mi prende per il braccio e mi ferma: "dove stai andando'" mi chiede impaurito, quasi.

"Via di qua" rispondo, freddo.

"M-ma non hai nemmeno finito il tuo caffè" e guarda il tavolo, pieno del caffè che ho rovesciato prima.
"Aspetta ad andare, se vuoi posso ordinarne un'altra tazza, non importa se lo hai fatto cadere, possiamo rimed-"

"Voglio andarmene, - lo blocco - il caffè bevilo tu, tanto faceva schifo" rispondo, strattonando il mio braccio dalla sua presa salda.

Una volta riuscito a liberarmi corro verso la porta del locale e, una volta in strada, cerco con lo sguardo Simone e, non appena lo vedo troppo lontano da me, comincio a correre nella speranza di recuperarlo e di scusarmi.

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