Aidan Rhandnic

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Sono nato in una famiglia nobile. Forse dovrei dire che sono stato fortunato. I miei genitori non erano nobili influenti, o importanti, avevano... hanno ancora per quanto ne so, un piccolo feudo a est di Singirohe. Io e i miei fratelli siamo cresciuti nell'agio, ma senza troppe pressioni legate al nostro titolo. Potrei dire di avere avuto un'infanzia spensierata, piena di corse, giochi, dolciumi e cavalcate. La passione per le storie è sempre stata una forte presenza dentro di me, come un marchio impresso a fuoco nella mia anima. Passavo molto tempo a fissare le persone. Che fossero servitori, cortigiani, nobili in visita alla nostra tenuta non faceva differenza. Immaginavo come potessero essere le loro vite, chi amavano, chi odiavano, di cosa avevano paura, cosa li avrebbe fatti ridere, piangere, urlare. Più crescevo e più creare trame nella mia mente non bastava più. Non volevo soltanto inventarle, volevo sapere quali erano vere, se potevo indovinarle e volevo conoscere i personaggi, capire come avrei potuto io modificare le loro storie. Chissà cosa poteva succedere se avessi nutrito il topolino che infestava le cucine ogni giorno per due mesi, chissà se si sarebbe fidato di me a tal punto da salire sul mio braccio. Cosa sarebbe accaduto se io l'avessi afferrato all'improvviso per la coda? Mi avrebbe morso? Oppure per amore del mio formaggio si sarebbe lasciato torturare? Oppure avrebbe potuto amare me... amarmi a tal punto da sopportare ogni mia angheria. Quell'atteggiamento si trasferì presto sulle persone. Un giorno mi chiesi quando mio fratello mi volesse bene e se il suo amore fosse abbastanza forte da resiste alle difficoltà, così un giorno, mentre dormiva, gli tagliai tutti i capelli, soltanto per vedere come avrebbe reagito. La sua rabbia incontrollata fu così banale che mi stancai subito di giocarci.

La noia portava sempre con sé un fastidioso senso di apatia che mi disgustava e mi spingeva a trovare nuovi modi per tirare fuori i sentimenti più nascosti, le trame segrete che si intessevano intorno ai personaggi che mi circondavano. Un giorno chiesi alla ragazzina che aveva una cotta segreta per me di dimostrarmi quanto fossi importante. Lei disse che avrebbe fatto qualsiasi cosa per dimostrarmi che mi amava. Le chiesi di usare la pelliccia del suo gatto per farmi un copricapo. All'inizio rimase sconvolta dalla mia richiesta e non credevo mi avrebbe accontentato, ma lei tornò il giorno dopo con un cappello di pelliccia cucito da mani esitanti e il colore era lo stesso grigio fumo del suo grasso gatto da compagnia. Provai una soddisfazione così grande che accettai di legarmi a lei, per un po' almeno. Finivo sempre per stancarmi a lungo andare, le persone raramente si rivelavano davvero interessanti.

Fu quel senso disgustoso di noiosa apatia a spingermi a stringere il patto. Lui viveva nel fitto della foresta. Lo incontrai per caso un giorno durante una passeggiata in solitaria. Avevo sedici anni e tanta voglia di novità, di qualcosa che mi strappasse dalla noia che ormai mi raggiungeva fin troppo spesso. Non vidi mai il suo volto e lui non mi disse mai il suo nome, perché i nomi sono un asso nella manica troppo potente, io stesso me ne rendevo conto. "Il demone della foresta". È così che nella mia mente soprannominai quell'entità oscura che si annidava nell'ombra non poi così tanto lontana da casa mia. La sua voce era graffiante, un po' acuta e con una nota beffarda. Mi promise tutto il potere che potevo desiderare in cambio di una promessa. Per sette volte nel corso della mia vita, lui sarebbe tornato da me e, qualunque sarebbe stata la sua richiesta, io avrei dovuto accontentarlo seguendo il suo ordine alla lettera. Era un'occasione troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire. Non che avessi mai desiderato il mero potere magico, ma non potevo rinunciare a scoprire cosa sarebbe successo se avessi accettato. Volevo sapere cosa avrei potuto fare con quel potere, cosa avrebbe preteso il demone della foresta in cambio, che piega avrebbe preso la mia vita e, anche se non lo ammettevo a me stesso, speravo che quel patto ponesse fine al mio timore più grande: che la mia vita, la mia storia, non sarebbe mai stata abbastanza interessante da diventare degna di nota, motivo per cui mi concentravo così tanto sugli altri.

Dopo il patto, la situazione con la mia famiglia si fece sempre più aspra e alla fine partii. Andai alla ricerca di nuove persone, di nuove storie, con la segreta speranza che anche la mia prendesse una piega intrigante. Quanto al demone della foresta... lui non tornò mai, almeno non fino ad oggi. Sono passati dieci anni, ma non l'ho dimenticato. Continuo a fare i miei giochetti dilettevoli, ma so che c'è qualcuno che in ogni momento potrebbe decidere di giocare con me... e non so dire se la cosa mi dispiacerebbe.

Il diario del WarlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora