Panico più totale

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Il tempo attorno a me scorre regolarmente.
A pochi passi da qui la gente ride, mangia, beve e scherza, io invece sono qui, immota, con lo sguardo fisso sui due uomini ma senza guardarli per davvero, nella mia testa sta accadendo l'esatto opposto: il panico più totale.

Vorrei piangere e urlare così tanto da non avere più voce, ma non ci riesco. In questo momento se sotto di me non ci fosse la macchina a sorreggere il mio corpo, sarei già caduta al suolo.

Sto pensando al peggio, e se fosse stato quel ragazzo ad organizzare tutto? D'altronde mi ha portato in una strada buia e silenziosa, poi è sparito e non è più tornato. Magari è uno psicopatico, oppure la verità è che sto scaricando la mia frustrazione su quel povero ragazzo, quando la colpa è solo mia. Non sarei mai dovuta andare via con uno sconosciuto, sarei dovuta restare con le mie amiche e ora starei ancora ridendo per la figuraccia fatta poco prima. O semplicemente tutto questo doveva succedere e basta, è il mio destino e io sto pensando a qualsiasi cosa pur di allontanarmi dalla realtà, come faccio quando intorno a me sta accadendo una situazione spiacevole o qualcosa che mi turba e destabilizza.

Riesco a tornare alla realtà solo quando il più vecchio mi dice:«A cosa stai pensando piccola?» e io rabbrividisco al suo tocco sulla guancia.

Vorrei gridare aiuto, ma probabilmente nessuno mi sentirebbe e soprattutto non so quale potrebbe essere la loro reazione, potrebbero uccidermi all'istante e seppellirmi sotto la sabbia di una delle immense spiagge che si trovano qui vicino. Non ci metterebbero niente, neanche un istante. E certamente non esiterebbero a farlo, infondo, io, in questo momento, sono solo un oggetto. Un inutile giocattolo da buttare via dopo l'uso, dopo averlo privato della purezza che lo contraddistingueva da tutti gli altri giocattoli.

E quando qualcuno verrà a cercarmi perché si accorgerà della mia assenza, non ci sarà più niente da fare; è per questo che decido di non proferire parola e di lasciare via libera, sarà il male minore. 

Almeno spero.

Fisso un punto nel cielo e non distolgo mai lo sguardo; proprio come quando si fa il prelievo del sangue, per non guardare quello che l'infermiere ti sta facendo, ci si concentra su altro; di solito si guarda la propria mamma o il proprio papà, perché sono l'unica cosa in quella stanza che riesce a darti quella sicurezza di cui hai bisogno. Ecco, per me il cielo è sicurezza, è casa.

Sento delle mani rugose e viscide sollevarmi il vestito e subito una sensazione di nausea mi travolge.
Sto cercando di focalizzarmi su altro, di non pensare che questi due bastardi si stanno impossessando del mio corpo senza il mio consenso, ma quando sento il fiato di uno dei due dietro l'orecchio, mi lascio scappare un singhiozzo prima che questo si impossessi senza ritegno del mio collo.

Ad un tratto sento un cigolio proveniente probabilmente da una porta, volto lentamente la testa e i miei occhi si illuminano nel vedere il cameriere uscire dalla porta del locale con dei panni in mano.
È tornato.

Ci mette un po' a rendersi conto della situazione, ma istintivamente lascia cadere ciò che aveva in mano, prima di richiamare l'attenzione dei due uomini con un fischio. 

Inizialmente si fionda sul più giovane assestandoli una ginocchiata tra le costole, questo reagisce colpendolo con una testata con la quale il cameriere perde per un attimo l'equilibrio, ma riesce a riprendersi e inizia a sferrare una raffica di pugni sul volto del ragazzo che pian piano si accascia a terra senza forze e con il viso insanguinato. Nel frattempo il più anziano riesce a svignarsela, mentre il ragazzo si rialza velocemente, approfittando della distrazione del cameriere che indugia sul da farsi, e prima di svanire nel buio con un ringhio dice:«non avrà mai fine»

A queste parole, il ragazzo di fronte a me, sembra pietrificarsi; l'unica emozione che si riesce a percepire in lui, è rabbia. I suoi occhi color ghiaccio si riducono a due fessure e di colpo diventano scuri, mentre stringe le mani così forte da far gonfiare le vene dei suoi avambracci. Incontrollatamente emetto un singhiozzo e solo in questo momento riesce a riprendersi e ad accorgersi della mia presenza; non ci pensa due volte a venire da me,  che per tutto questo tempo non mi sono mossa di una virgola, osservando silente la scena.

È evidente che non ha la più pallida idea di cosa dire ed io non ho né le forze né la voglia di emettere qualsiasi suono dalle mie labbra, per questo mi aiuta, in totale silenzio, a scendere dalla macchina e ad abbassarmi il vestito. 

Ci fissiamo per secondi che sembrano interminabili e alla fine io non mi trattengo più e scoppio in lacrime, accasciandomi a terra seguita da lui che mi attira a se. 

In questo momento non mi importa se sto piangendo disperatamente tra le braccia di uno strano sconosciuto, non mi importa se non conosco neppure il suo nome, ho bisogno di sfogarmi, nient'altro. Ho represso per troppo tempo le emozioni negative che mi stavano travolgendo quando quei luridi esseri, che non meritano nemmeno di essere chiamati uomini, mi toccavano senza pudore.

Il cameriere decide di rompere il silenzio e mi chiede dolcemente:«Stai bene? Ti va di alzarti?» e io annuisco con poca convinzione.
Una volta in piedi, mi rendo conto di star tremando come una foglia ed evidentemente se ne accorge anche lui, infatti, si allontana da me per rientrare nel locale tornando pochi secondi dopo con una giacca nera.

«Posso?» dice indicando prima la giacca e poi me
«Si, ti ringrazio»
Così si avvicina di più a me per posarla sulle mie spalle a mò di mantello ed io gli rivolgo un leggero sorriso, che si spegne immediatamente quando mi dice:«Devi denunciarli».
Mi allontano da lui come scottata dalla sua affermazione, ha sicuramente ragione ma non riesco a pensare lucidamente e anche se sono passati diversi minuti sento ancora le loro mani su di me, non credo sia il caso di dire una cosa del genere in questo momento.

«Se non ti spiace, accompagnami dalle mie amiche, voglio tornare a casa» dico come se la mia voce si potesse rompere da un momento all'altro e inizio a camminare seguita da lui che per tutto il tempo non apre bocca.

Una volta arrivati a pochi passi dal tavolo delle mie amiche, il cameriere si decide a dire qualcosa.
«Mi dispiace tanto, è tutta colpa mia! Sarei potuto arrivare prima che quei due arrivassero, ma non dipende da me, non avevo intenzione di lasciarti sola per così tanto tempo, il mio datore di lavoro mi ha fermato per dirmi di servire ad alcuni tavoli e...insomma non potevo dire di no. Come potevo immaginare ciò che ti stava accadendo?» dice tutto d'un fiato ed io gli credo perché riesco a notare una nota di dispiacere mista a pentimento dipinta sul suo volto, per questo gli dico di non preoccuparsi e di non ritenersi responsabile dell'accaduto, fingendo un sorriso di cortesia; tento di ridargli la sua giacca prima di congedarmi, ma la rifiuta dicendo che questo è il minimo che potesse fare per scusarsi.

Adesso dovrò fare i conti con le mie amiche e con i miei famigliari. Più volte, in questi ultimi minuti, mi è sorta l'idea di tenere tutto nascosto e così decido di provarci, ma Madeline ed Allison mi conoscono troppo bene, infatti, appena mi vedono, si accorgono subito che qualcosa è andato storto e corrono da me, che decido di stringerle in un abbraccio, prima di raccontare ogni cosa.

Il problema adesso è mia mamma.
Dove troverò il coraggio per dirle ciò che è accaduto?

✨✨✨✨✨
Ciao a tutti! Come va? A me moolto bene!

Un piccolo avviso temporaneo: non ho intenzione, al momento, di avere dei giorni fissi di pubblicazione. Fino ad ora però, ho pubblicato i capitoli ogni mattina (per le 11.00) e continuerò così per qualche altro giorno.

Che ne pensate, riuscirà Emily a raccontare l'accaduto alla propria mamma? Se si, come reagirà secondo voi? Come sempre lasciate una stellina se il capitolo vi è piaciuto e fatemi sapere cosa ne pensate con un commento ❤️

Un'estate da vivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora