Capitolo 14

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Enrico

Stavo aspettando l'autobus da più di un quarto d'ora ormai. Mio fratello era immerso in una conversazione con Sofia e altri ragazzi.
Guardai l'ora sullo schermo del cellulare e cambiai playlist, ne avevo abbastanza di black metal. In riproduzione casuale, riconobbi le note di Inverno  di Vivaldi.
Pensai a Valentina.
Sì, mi mancava.
Quando la sera prima ero tornato a casa, appena mio padre ci aveva beccati a dormire insieme, non avevo smesso un attimo di pensare a lei e di sentirmi in colpa.
Sbuffai sprofondando le mani nelle tasche della giacca.
Non avevo nessuna voglia di andare a scuola quella mattina, di sopportare le chiacchiere e le domande insistenti di Sofia.
Quando arrivò l'autobus mi venne un'idea; in cuffia suonava a tutto volume la settima sinfonia di Beethoven.
Controllati bene che Francesco fosse già a bordo del mezzo e molto velocemente mi incamminai verso una via strettissima che girava intorno alla chiesa.
Mi fermai davanti al cancello del cimitero ed aspettai di vedere passare l'autobus davanti alle ultime case del paese.
Corsi a casa, sapendo che i miei erano già a lavoro.
Entrai in fretta e presi il violino.
Erano solo le sette e un quarto di mattina; mi chiesi se Stefano fosse a casa di Valentina. Sperando di no, mi incamminai verso l'azienda agricola.
Impiegai mezz'ora buona per raggiungere l'abitazione, la neve non mi facilitò certamente il tragitto ed arrivai con i piedi e le caviglie fradici.

- Enrico?! Ma che ci fai qui? Non dovresti essere a scuola? - Stefano mi guardò sorpreso, tenendo in mano sei ciotole di metallo impilate.

- Ehm... sì cioè... no, volevo passare a salutare Valentina... -

Inarcò un sopracciglio.
- Ho capito, vieni con me... prima aiutami a dare da mangiare ai cani così finisco prima -

Lo seguii in casa, dove appoggiai le mie cose, per poi andare sull'enorme terrazza.
Lì, dietro al cancello dello steccato, scondinzolavano tutti i cani di Valentina. Rabbrividii nel vedere come uno dei pastori maremmani Abruzzesi tenesse dietro di se tutti gli altri.
- Tieni queste tre... sono del cocker e dei due cani da gregge... agli altri ci penso io. Falli mangiare sulla terrazza, distanti tra di loro - Stefano mi diede qualche istruzione.
Annuii incerto e senza rendermene conto i tre cani mi scondinzolavano intorno.
- Okay belli... fate i bravi vi prego...-
Posai le tre ciotole a qualche metro di distanza tra loro e guardai Stefano cercare di farsi obbedire dal Rottweiler e dai maremmani.
Quando si accorse che lo stavo osservando sorrise nervoso.
- Enrico... ti presento Perla, Tobia, Iron... e Luna. Ti consiglio di evitare Luna se non c'è con lei Valentina. -
A conferma delle sue parole, Luna ringhiò forte e Iron si spostò subito di qualche metro dalla sua ciotola, lasciando che l'enorme cagnona bianca mangiasse ciò che restava del suo pasto.

Ci volle ancora qualche minuto prima che potessimo entrare in casa, al caldo.
Stefano aveva già preparato un pentolino di the caldo. Mi portò una tazza fumante che accettai molto volentieri.

- Valentina dorme ancora... è strano non vederla già in giro - ridacchiò Stefano.

Restammo in silenzio per qualche attimo, finché non fece la sua comparsa un gatto bianco e nero completamente fradicio.
Miagolò forte, strofinandosi sulle gambe di Stefano.

- Ma grazie Tobi... vieni ti do da mangiare -

Sorrisi nel vedere la scena.

- Enrico io adesso devo andare; se vuoi aspettare che Valentina si svegli resta pure qui... torno sta sera per governare gli animali. - sorrise e uscì di casa con un piattino per il cibo del gatto.

Rimasi da solo, immerso nel silenzio, per quasi mezz'ora.
In preda alla noia decisi di uscire a fare due passi.
Evitai di passare per la terrazza sapendo bene che lì c'era sempre uno dei maremmani bianchi di guardia.
Uscii dal retro e senza sapere bene dove stessi andando, scesi una rampa in cemento lunga quanto il muro della casa.
Qualcuno aveva pulito la strada dalla neve quindi i miei piedi restarono asciutti.
Svoltai l'angolo e mi accorsi di passare davanti a un portone non tanto alto ma largo il doppio di un ingresso normale.
Sbirciando dalla finestra intravidi i due cavalli, legati alla mangiatoia. Ricambiarono il mio sguardo, senza smettere di mangiare.
Per curiosità entrai nella stalla. Il tepore piacevole al suo interno mi colpì improvvisamente.
I due animali avevano girato la testa nella mia direzione, tenevano le orecchie dritte e addirittura avevano smesso di masticare.
Li osservai bene e capii che per Valentina dovevano essere particolarmente importanti; erano pulitissimi, le criniere lunghe e lucenti, senza un nodo, il mantello folto e senza ombra di sporco.
Accarezzai quello più basso, credo l'avelignese, mi dava l'idea di essere più amichevole.
Non so quanto di preciso rimasi ad accarezzare il muso del cavallo, ma quando uscii dalla stalla i primi raggi di sole facevano luccicare la neve.
Tornai in casa e visto che Valentina dormiva ancora, decisi di suonare un po'.

Cominciai piano, con brani lenti e dolci. Il suono del mio violino riempiva il silenzio malinconico della grande casa rendendola più bella.
Solo dopo un'ora sentii Valentina mormorare il titolo del pezzo che stavo eseguendo in quel momento.
Le sorrisi senza smettere di suonare.
Poco dopo si alzò dal letto.
Che razza di testarda, non capivo, ma dove voleva andare in quelle condizioni?
La afferrai per un braccio e perfortuna la convinsi ad andare sul divano.

Il resto della mattinata lo passai a suonare il violino, con quella ragazza dagli occhi color ambra che mi ascoltava.
Non lo nego, suonai per lei.
Si addormentò nuovamente verso mezzogiorno.

Me ne andai a casa mia per pranzo, ricordandomi che nel pomeriggio avrei avuto le prove con l'orchestra.

*

L'atrio della scuola di musica era affollatissimo.
Rimasi in piedi accanto alla scale, con il mio strumento appoggiato al muro.
Non dovetti aspettare molto per vedere Ezio comparire all'inizio del corridoio ed annunciare che entro cinque minuti sarebbero cominciate le prove.
Seguii la massa di musicisti nell'auditorium della scuola.

- Ehy ciao Enrico -

Voltandomi alla mia sinistra vidi Rebecca che mi sorrideva.
Risposi al saluto sperando che la conversazione finisse lì; Rebecca mi ricordava molto una ragazza che frequentavo mesi prima, quando abitavo in Toscana. La nostra relazione non era per nulla finita bene e solo il ricordo mi lasciava con l'amaro in bocca.

Preparai il mio violino e i miei spartiti sul leggio.

Era la mia seconda prova con questo gruppo, la scorsa settimana mi ero trovato molto bene, avevo fatto amicizia con i miei compagni violinisti.
Ezio mi aveva sistemato tra i primi violini e in base al brano che dovevamo suonare, il solista cambiava.
Ero abbastanza soddisfatto.

- Ragazzi buongiorno, oggi lavoriamo interamente sulla sinfonia di Beethoven. Per la rassegna primaverile del prossimo aprile la voglio perfetta. -

Ezio prese posto, ogni chiacchiericcio si interruppe bruscamente, tutta l'attenzione era riservata al direttore.

La settima sinfonia di Ludwig van Beethoven.
La amavo moltissimo.
Ricordai di averla ascoltata proprio quella gelida mattina.
Appena prima di cominciare a suonare, scambiai uno sguardo con Saverio, il violinista accanto a me.
Un ragazzo biondo, alto, innamorato di Brahms.
Dopo un sorriso complice, la sinfonia n.7 prese vita.

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