Capitolo 1

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Enrico

- Enrico muoviti! Papà e mamma sono già in macchina, manchi solo tu -

Alzai la testa e per la centesima volta quella mattina mi asciugai gli occhi dalle lacrime che da minuti interi ormai non riuscivo a fermare.

- Francesco ti ho detto che arrivo! Smettila - urlai a mio fratello cercando di non far tremare la voce e di sembrare aggressivo.

Per diciannove anni avevo abitato in Toscana, in città, e quella era l'ultima mattina che avevo passato nell'appartamento di famiglia, ormai venduto.
Ero nato e cresciuto lì ma, a causa del lavoro dei miei genitori, tutta la famiglia era costretta a traslocare in un paesino sperduto sulle alpi Trentine.

Guardai per l'ultima volta fuori dalla finestra della mia stanza all'undicesimo piano e scattai una foto. Da lassù la vista si perdeva fino all'orizzonte; i palazzi, i grattacieli e le strade che si snodavano tra di essi, a uno sguardo attento non scappava nulla. Fin da bambino restavo incantato a guardare i movimenti di quella vita frenetica che aveva sempre caratterizzato la mia esistenza.

Quando uscii dalla camera e chiusi la porta alle mie spalle, ebbi la sensazione di chiudere un capitolo della mia vita, lasciare tutto ciò che amavo di quel posto. I ricordi, la scuola, gli amici, le passioni, tutto ciò sembrava mi fosse stato strappato e io mi ritrovavo in mezzo al nulla.
Faceva troppo male lasciare casa per andare a vivere in un luogo sperduto nel bosco.

Scesi le scale e salii in macchina sui sedili posteriori.
I miei genitori sembravano contenti del cambiamento, mio fratello quasi indifferente. Da parte mia odiavo già il posto dove avremmo abitato.

Misi le cuffie e le attaccai al cellulare. Quando i brani dei Gojira mi invasero la mente sospirai guardando il paesaggio della Toscana che scorreva fuori dal finestrino.
Salutai con gli occhi le colline coltivate a ulivi, i vigneti infiniti ed eleganti, cercai di imprimere nella memoria più dettagli possibili.
Quando le lacrime minacciarono di nuovo di bagnarmi le guance abbassai le palpebre e poco dopo mi addormentai.

*

Fu Francesco a svegliarmi, con una gomitata nelle costole.
Nelle mie cuffie al posto dei Gojira si scatenavano gli Orbit Culture.
Spensi la musica e mi tolsi le cuffie.

- Ma dove cazzo siamo?! - biascicai.

Notai solo in quel momento che i miei genitori non erano in macchina e che eravamo fermi in un piccolo parcheggio.
Di fronte a noi torreggiava una villetta al centro di un ampio giardino circondato da uno spesso steccato di legno.

- Casa nostra! - Francesco mi guardò con entusiasmo.

- Ma è in mezzo al nulla! - mi strofinai gli occhi per scacciare gli ultimi residui di sonno.

Circa duecento metri dallo steccato del giardino vidi un piccolo gruppo di case e infine l'alto campanile di quella che doveva essere la chiesa.

- Ho dormito tutto il viaggio? -

- Sì Enrico, con quella musica nelle orecchie. Non so come hai fatto. Mamma e papà sono entrati a dare alcune indicazioni per scaricare la nostra roba dal camioncino dei traslochi. - fece una pausa e si passò una mano tra i capelli biondo scuro per poi sorridermi.

- Intanto che finiscono di arredare la nostra bella villetta, noi staremo in un bed&breackfast a tre chilometri dal paese. Dicono sia il migliore della zona-

- A tre chilometri da qui?! In mezzo al bosco? Dato che qui non si vede altro se non alberi e prati - Sbuffai irritato.

Poco dopo tornarono i miei genitori e partimmo verso il bed&breakfast.

- Scandaloso. Com'è possibile che non si possa arrivare davanti alla casa in macchina? - ero furioso.
Avevamo dovuto parcheggiare l'auto nell'area riservata ai clienti, prendere le nostre valigie e seguire la ripida mulattiera che scendeva verso un edificio enorme affiancato da una casa più piccola.
Tutto il terreno intorno ai due immobili era ripido. Molto ripido.

- Benvenuti signori. - un uomo sulla trentina strinse la mano a mio padre e a mia madre per poi condurci nella piccola casetta e poi alle nostre due stanze.

In totale c'erano quattro stanze matrimoniali, ognuna provvista di rispettivo bagno ed infine, al pianoterra, c'era una sala molto ampia con diversi tavoli e credenze ingombre di stoviglie.

Mi ritrovai in camera con mio fratello mentre i miei genitori erano nella stanza accanto.
L'ambiente era molto luminoso e accogliente, c'era uno spazio incassato nel muro dedicato agli armadi sulla sinistra appena dopo l'entrata mentre il bagno era sulla destra. Due letti singoli e un divanetto con un basso tavolino completavano l'arredamento.
Dall'enorme finestrone si poteva ammirare tutta la valle.

- Carino qui. Ti dispiace se mi prendo il letto verso il muro? Sai che odio la luce della finestra la mattina - Francesco mi sorrise.

- Come vuoi. Odio questo posto -
Uscii dalla stanza e andai nella sala delle colazioni per prendermi un bicchiere d'acqua.

-Salve giovanotto. Io sono Stefano. Per qualsiasi cosa, chiedi pure - l'uomo che ci era venuto incontro prima mi strinse la mano. Sembrava simpatico e disponibile.

- È lei il padrone di questo posto? E cos'è quella casa enorme qua vicino? -

Stefano scosse la testa.
- Non sono io il proprietario di questa meraviglia purtroppo. La casa vicino in realtà è un maso, un'azienda agricola. Ma lo scoprirai da solo. - mi fece l'occhiolino sorridendo e fece per andarsene.

- Un'azienda agricola? Dio mio dove siamo capitati... - mi sedetti pesantemente su una sedia.

Stefano si girò a guardarmi.
- Aspetta a parlare ragazzo. Anzi se per caso incontri la proprietaria stai attento a quello che dici - sghignazzò di sottecchi.

- Perché dovrei? -

La risata in risposta alla mia domanda eccheggiò lungo il corto corridoio e su per le scale.

- Valentina tiene molto alla sua attività e non accetta giudizi offensivi, specie da quando è rimasta sola. È un'ottima amica per me, le voglio bene e le do una mano a gestire un po' tutto. La burocrazia è sempre troppa al giorno d'oggi  - detto questo si girò e uscì all'aperto.

Ero confuso. Com'era possibile che tutto ciò che vedevo fosse di una persona sola?

- Enrico se vuoi puoi andare a riposare un po'. Vengo a chiamarti per cena - alle mie spalle era sopraggiunta mia madre.

- Va bene. Grazie mamma -

Tornai nella mia stanza. Mio fratello dormiva già.
Non avrei mai pensato che dopo il viaggio dalla Tascana al Trentino passato a dormire mi sarei ritrovato stanco. Appena toccai il cuscino, crollai in un sonno profondo che per un po' mi portò via dalla realtà di aver perso tutto ciò a cui tenevo.

Anima Ferita continua...

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