Il signor Autunno

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Breve e spoglio, che passa come un suono soave, onda del mare che non fa schiuma.

Cosa sei di così bello, autunno, per farti da me così amare?

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Pubblicato per la prima volta nell'autunno 2014.

Dedicato a chi , come me, ama il signor autunno. 

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Passai distrattamente. Nemmeno mi guardava. Era come il vento. Io mi girai e andai per la mia strada, fregandomene di lui, fregandomene di tutto e tutti. Dov’è che se ne andava così di fretta? Perché fuggiva al mio sguardo?


Me ne fregai anche di questo e procedetti a passo lento per la via dei fiori. Io la chiamavo così; era davvero bella in primavera.


Le foglie gialle soffocavano gli ultimi fiori, il freddo li faceva appassire. La bellezza sfioriva, lasciando il posto al triste servo dell’inverno: l’autunno. Colui che fa strada al suo padrone, uccidendo l’estate e il suo calore. Uccidendo anche me.


A casa mia faceva freddo; niente riscaldamento, costava troppo. Pensavo di andarmene da un’amica, nel fine settimana, nella sua bella casa giù in Puglia, dove fa più caldo. Ma niente soldi per la benzina, ormai ero proprio al verde.

Così decisi che tanto valeva mangiare qualcosa e poi tornare a passeggiare. Nel frattempo sarebbe arrivato il lunedì, e allora sarei potuta andare al lavoro.


Al parco non c’era praticamente nessuno. Era una giornata grigia, poco invitante. Come si fa ad amare questo freddo?, pensavo. E quegli alberi così tristi, le foglie che cadono a terra… come potrei amare tutto questo?


Seduto su una panchina, su quella dove mi sedevo io di solito, c’era però qualcuno. Era uomo anziano, con un berretto rosso e la barba bianca. Ma chi è? Babbo Natale?

Andai da lui, incuriosita. «Salve, posso sedermi?»


Lui mi guardò in modo strano, come se gli sembrasse impossibile che io volessi sedermi vicino a lui. Poi mi sorrise: «Certo, cara, perché no?»


«Mi dica, perché lei sta fuori con questo freddo?» gli chiesi, davvero curiosa di saperne il motivo.


«Mia cara, è proprio per il freddo che sono qui» fu la sua emblematica risposta.


Io aggrottai la fronte. Non capivo. «Scusi, temo di non…»


«Il freddo preserva» m’interruppe lui.


«Preserva?» A quel punto cominciavo davvero a pensare che fosse matto.


«Sì, preserva» annuì il vecchio, con convinzione.


«Non capisco.»


«A cosa serve il caldo senza il freddo?» domandò allora il mio strano interlocutore.


«A riscaldare» risposi io, com’era ovvio.


«Ma senza il freddo non sapresti godere del caldo, non credi?»


Quella frase mi lasciò di stucco. «Non lo so.»

Rimanemmo in silenzio per un po’. Ascoltavo il rumore del vento tra le foglie, le chiome degli alberi che ondeggiavano. Ripensai alle sue parole. E cominciai a rifletterci. Lui sembrò capire i miei dubbi e non me ne lasciò il tempo.


«Vedi, è questa la verità.» Mi guardò con occhi rugosi, dello stesso colore delle cortecce degli alberi. «Vengo qui perché la mia anima si preserva, resta intatta. Il calore dell’estate la alimenta. E poi il freddo la conserva. Come per il cibo.» Come per il cibo.


«Non l’avevo mai vista da questo lato. Dico davvero.»


Il vecchio sorrise. Si alzò. «Ora devo salutarla, ma ci incontreremo presto.»

Mi resi conto che lo guardavo a bocca aperta. Stavo ancora pensando a ciò che mi aveva detto. «Se… se la disturbo posso andarmene io. Le lascio la panchina.»


Ma lui scosse la testa. «No, no, ora devo davvero andare.» Si accarezzò la barba, in un gesto che non dimenticai. «Però si ricordi quello che le ho detto. Non c’è motivo di odiare l’autunno.»


Io non sapevo cosa rispondere, così feci di sì con la testa. Lui prese il suo bastone e si avviò a passi lenti.

Una parte di me avrebbe voluto seguirlo, passeggiare con lui e fargli altre domande, ma per una qualche strana ragione rimasi lì. Immobile, seduta sulla panchina, riflettei a lungo.


Camminando per tornare a casa, per la stessa strada che avevo fatto prima, guardai con occhi diversi quegli alberi mezzi spogli. Avevano un che di triste, certo, ma anche un fascino strano. Quelle secche foglie gialle, tutto sommato, potevano anche apparire dorate. E quel cielo cupo, riparava gli occhi dai violenti raggi del sole; aveva qualcosa di rilassante, che in qualche modo mi ispirava serenità. Era come le acque calme di un lago, uno di quei laghi che si vedono in montagna.


Quel giorno non imparai ad amare l’autunno. Ancora odio il freddo, m’intristiscono i paesaggi smorti di questa stagione di mezzo, ma quando lo guardo c’è qualcosa di diverso nei miei occhi. Come se vedessi qualcos’altro.


Mentre cammino per la via dei fiori, lui se ne va più lentamente, anche se non si ferma a guardarmi. Pare quasi che, da dietro, mi sorrida. L’autunno misterioso fugge ancora; ma in modo diverso.

Non ho imparato ad amarlo, no. Semmai, ho imparato a odiarlo. Ed è tutto meno difficile.




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