Quando Wakatoshi gli aveva detto che non avrebbe più trascorso un giorno della sua vita senza rimpiangere la schiavitù di prima, aveva creduto che si trattasse di un'esagerazione detta al solo scopo di spaventarlo.
Dopo quasi tre settimane, però, aveva ormai capito quanto invece avesse ragione.La damnatio ad metalla, cioè la condanna ai lavori forzati all'interno di miniere e cave di estrazione, era considerata per gravità seconda solo alla pena capitale. I ritmi di lavoro erano estenuanti.
I detenuti erano costretti ad alzarsi alle prime luci dell'alba e non uscivano dalla miniera fino a dopo il tramonto del sole. Per venti giorni e venti notti, quindi, Tooru non aveva visto la luce del sole, vivendo come una talpa nel sottosuolo.
Come se il lavoro del minatore non fosse già faticoso di per sé, i condannati portavano delle catene che li legavano l'uno all'altro, troncando sul nascere ogni speranza o tentativo di fuga.
In quel lasso di tempo, diverse volte gli era capitato di non vedere più improvvisamente qualcuno con cui aveva lavorato e condiviso i pasti esigui fino al giorno di prima.Di tutte queste, solo una era stata perché l'uomo era stato sollevato dal suo incarico, dopo aver scontato la propria pena. Le altre vite, invece, si erano spente durante la notte.
Le guardie che li sorvegliavano, poi, solitamente liberti arricchitisi e di bassa estrazione sociale, contribuivano alla loro degradazione psico-fisica.Erano muniti di un frustino di cuoio, simile a quello che si usa sui cavalli, del quale abusavano anche senza che ve ne fosse un reale motivo.
Era frequente, durante la giornata, che al rumore martellante dei picconi contro la pietra si intervallasse quello di ossa che cedevano rompendosi sotto il peso del carico da trasportare.E, spesso, in questi casi la colpa era di una delle guardie che, con colpi di frusta innecessari, aveva provocato la lesione di tendini e legamenti.
E un ulteriore colpo di frusta si riversava contro coloro che osavano alzare lo sguardo e guardarsi intorno per comprendere chi fosse il malcapitato.
Eppure, chiunque avrebbe saputo di dover morire prima di scontare la propria pena, avrebbe di gran lunga preferito farlo nella miniera, schiacciato da un carico o soffocato dalle polveri, piuttosto che per mano dei loro detentori.Una giovane donna, nove giorni prima, si era rotta una gamba dentro la miniera. Ancora ben lungi dal potersene andare e dunque ancora proprietà dell'uomo che possedeva la miniera era stata affidata alla custodia sua e dei suoi uomini più vicini.
Le urla strazianti e i pianti avevano accompagnato le notti prive di sonno di Tooru per quattro giorni, fino a che, all'improvviso, era calato il silenzio e la donna era morta.La ragazza che in quel momento gli lavorava vicino era una delle più belle che avesse mai visto. Aveva lunghi capelli neri, lisci e un po' crespi, che incorniciavano un viso delicato ma dai lineamenti decisi per poi ricadare su un seno morbido e prosperoso, che la giovinezza rendeva però alto e sodo allo stesso tempo.
Gli occhi erano dello stesso colore del mare profondo, dotati di una profondità che, quando li aveva incrociati la prima volta, lo aveva lasciato sconvolto. Erano occhi vivi, intelligenti, determinati e ridenti.
Le labbra carnose e piene si tendevano in un sorriso cortese ogni volta che i loro sguardi si incrociavano. I tratti orientali del viso ne rivelavano la natura di schiava senza che parlasse.
Kiyoko, era questo il suo nome, gli si era presentata il suo primo giorno di lavoro e da allora avevano sempre lavorato fianco a fianco. Il suo temperamento timido e silenzioso si era rivelato, anziché scostante come si potrebbe pensare, incredibilmente piacevole da avere a fianco.
Kiyoko era instancabile, batteva il piccone e caricava merce sui carrelli senza mai fiatare o lamentarsi, con una tenacia e una forza di volontà che Tooru insieme ammirava e invidiava.
O almeno, lo era stata fino a pochi giorni prima.
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Luogo chiamato libertà |KageHina & IwaOi|
Fanfic|In revisione| Roma, 66 a. C. Shouyou Hinata è uno schiavo di origine britannica, affidato a Tobio Cassio Kageyama, figlio illegittimo di un senatore romano e una liberta, di cui porta il secondo cognome. Divergenze di rango e di carattere insieme a...