L'attesa

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 «Ciao Giulio, dimmi»

«Davide, ti disturbo?»

«No, tranquillo, sto salendo in auto adesso. Che succede?»

«Ho bisogno di parlare con qualcuno»

«Va bene, ma non vuoi aspettare che io arrivi?»

«È una cosa un po'... Riguarda la storia di venerdì»

«Il contratto di Castellini? Matteo non te l'ha detto? Alla fine lo abbiamo trovato, lo aveva il suo promotore»

«No, che c'entra Castellini? Io parlavo dell' altra cosa»

«Ah, vero, Sara! Come è andata?»

«Beh, sai...»

«Hai fatto come ti avevo detto? Prosecchino, anello nel bicchiere, rosellina rossa e taac!»

«Non proprio»

«Ma almeno è andata bene?»

«Non proprio».

Hai mai passato le giornate a progettare un solo attimo della tua vita?Un discorso provato mille volte davanti allo specchio, una giornata programmata ora per ora, una litigata in cui, con grande minuzia, cerchi di prevedere le risposte che potreb...

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Hai mai passato le giornate a progettare un solo attimo della tua vita?
Un discorso provato mille volte davanti allo specchio, una giornata programmata ora per ora, una litigata in cui, con grande minuzia, cerchi di prevedere le risposte che potrebbe darti l'altro.  Tutto per un singolo, breve momento. 
Quante volte è andato esattamente come lo avevi immaginato?
Quante volte tutto è funzionato perfettamente come volevi?

A me non è mai successo eppure, con la stessa testardaggine di una mosca che sbatte contro una finestra chiusa, l'ho continuato a fare per anni. La mia storia comincia proprio in uno di quei momenti e, credimi, questa volta lo avevo progettato veramente bene.

Immagina di essere nell'hinterland di Milano. Pensa ad una di quelle cittadine piene di cemento e macchine, una di quelle in cui alla sera ti addormenti ascoltando il bubolare di una sirena in lontananza e alla mattina ti risvegli con il cinguettare dei clacson. Lì, in uno di quei palazzoni altissimi, tutti grigi e con i balconi uguali, esattamente al quinto piano, c'è il bilocale in cui inizia la mia storia. Per darti un'idea di quello che stava succedendo, ti direi di riempire l'appartamento di centinaia di rose rosse e di altrettante candele poi, in mezzo ai fiori e proprio davanti alla porta d'ingresso, immagina che ci sia un uomo alto e affascinante; vestilo con un costosissimo completo di alta sartoria e mettigli tra le mani un anello con un diamante, uno così grosso da rimanere accecati dal suo brillio.

Forse ho esagerato un po'. 

Magari abbassiamo il numero di rose e di candele, diciamo che erano solo una trentina - però facevano la loro figura - e al posto dell'uomo alto e affascinante mettiamone uno normale, né troppo alto né troppo basso, con una di quelle facce talmente ordinarie da passare sempre inosservato. Per quanto riguarda l'abito... beh, non era proprio sartoriale. In realtà non era nemmeno un  abito, erano solo un paio di pantaloni eleganti ed una camicia. Però l'anello non era poi così male, in fin dei conti mi era costato quasi due stipendi. Eh sì, perché quel ragazzo normale e dalla faccia ordinaria sono io, o meglio, ero io, un paio di anni fa, in uno di quei giorni che avrebbe dovuto cambiare la mia vita per sempre, e in un certo modo ci è riuscito, ma non come mi sarei immaginato.

Strade nella nebbiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora