Strade nella nebbia

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Appena finito di lavorare, Davide fece capolino dalla porta del bar e mi fece cenno di uscire.
Io gli andai incontro, ma non appena fui fuori lui guardò all'interno in direzione di dove ero seduto e decise di entrare.
Salutò il barista, si avvicinò al tavolo ed esclamò
-Eh no, il tovagliolo nella tazza proprio no!-
La raccolse e svuotò il contenuto nel bidone della spazzatura. Quando il ragazzo dietro al bancone lo ringraziò per la gentilezza, lui commentò:
-Figurati, lo fanno anche a me, so bene quanto sia fastidioso-
Poi tornò fuori chiudendo la porta e disse:
-Scusami, sai com'è, deformazione professionale -
-Deformazione professionale? Cosa c'entra il caffè con le assicurazioni?-
Lui rimase in silenzio per un po', si guardò intorno come se stesse controllando che qualcuno non lo avesse sentito poi, fissandomi in un modo che non riuscii bene a decifrare, mi disse:
-Sì, hai ragione. Andiamo?-
Lui si avviò verso il parcheggio, io lo seguii e gli chiesi:
-Davide?-
-Dimmi, Giulio-
-Sei sicuro di sentirti bene?-
-Benissimo,perché?-
-Hai appena detto che lavori in un bar-
-Ma sì, mi ero dimenticato-
Sempre più perplesso salii in macchina e iniziai a seguire il mio amico attraverso le vie della città.

Hai mai provato a percorrere una strada avvolta dalla nebbia?
Non sto parlando di una leggera foschia e nemmeno della nebbia che puoi trovare in una grande città come Milano.
Quella non è vera nebbia. Per quanto tu la possa sentire mentre ti solletica il collo o ti congela la punta del naso, la nebbia di Milano non la vedi.
Per esempio, se tu abitassi in una via del centro, potresti uscire di casa una mattina di Novembre e accorgerti che la nebbia si è portata via i colori delle case in fondo alla via, oppure, se fossi in piazza Duomo, potresti pensare che la Madonnina abbia deciso di andarsene dalla sua casa tra le guglie, ma tutto il resto non cambia.
Anche quando ti allontani dal centro e vai verso la periferia la situazione è molto simile. Certo, la nebbia lì è più fitta, e i palazzi perdono anche il loro grigiore per diventare solo dei contorni sfocati, come se fossero dei semplici disegni a matita fatti da un artista con la mano leggera. Però la nebbia non la vedi, ti accorgi che c'è solo perché non vedi il resto.
Solo quando ti lasci la città alle spalle e le forme ruvide dei grandi ed alti palazzi iniziano ad appiattirsi ed ad allargarsi, trasformandosi in vecchie e tozze case anni sessanta, dai toni pastello con i serramenti malandati e le tegole di diverso colore,  o in graziose ed eleganti villette moderne con i giardini curati ed i pannelli solari sul tetto e quando il grigio della città lascia posto al marrone ed il verde dei campi, che la nebbia prende davvero forma.
La nebbia della campagna è un grosso muro bianco che inghiotte tutto e te lo restituisce poco alla volta, a suo piacimento.
La nebbia della campagna fa paura.
Quando percorri una strada statale immersa nella nebbia ti ritrovi in un mondo diverso dal tuo. Ci siete solo tu e lei. Non esistono punti di riferimento e la cosa più lontana che riesci a vedere è il cofano della tua auto.
Potresti allora pensare che la nebbia resti solo lì fuori, a fluttuare intorno ai tuoi fari, a sfiorare i tuoi finestrini.
Invece no, Quella stronza entra anche nell'abitacolo e si va a spiaccicare contro il parabrezza e te lo appanna. Così, solo per farti uno scherzo, solo per farti capire chi comanda.
E non dare modo alla nebbia di capire che ti stai incazzando, perché se si accorge che vuoi sfidarla, lei rincara la dose e ti entra anche nella testa e ti fa pensare, pensare, pensare...
Quella sera di ottobre, mentre seguivo il puntino rosso in cui si era trasformata l'auto di Davide davanti a me (e mentalmente lo maledicevo, perché mi aveva convinto a percorrere delle tortuose strade di campagna per raggiungere casa sua, quando avremmo potuto prendere una semplice autostrada), la nebbia era entrata molto facilmente nella mia testa.
Pensavo a Sara, a Matteo, al lavoro, a quello che avevo fatto, a quello che avrei dovuto fare molto prima. Rivivevo la storia, litigavo mentalmente con loro ancora e ancora, senza togliermi nessuna soddisfazione, senza liberarmi dal macigno che mi si era piazzato nello stomaco.
Quando la nebbia decise che ne aveva abbastanza di me, mi lasciò andare e iniziò a sputacchiare fuori qualche casa ai lati della strada che stavo percorrendo.
Lentamente le case iniziarono ad aumentare, trasformandosi nella via principale del paese in cui abitava Davide.
Seguii il mio collega fare un paio di curve attraverso delle vie che mi sembravano troppo strette affinché una macchina potesse attraversarle e parcheggiai dietro di lui, vicino ad una casa che non sembrava molto felice che io fossi lì.
La posizione delle finestre e delle due tettoie sopra di esse, la porta piuttosto piccola e i due balconcini laterali la facevano apparire come il volto imbronciato di una grassa e vecchia signora dalla pelle pallida ed i capelli rosso mattone.
-Benvenuto a casa! -Esclamò lui sorridendo mentre mi faceva strada attraverso quella bocca corrucciata.
Per fortuna l'interno era molto più accogliente dell'esterno. L'ingresso era ampio e luminoso e nell'aria si poteva sentire il profumo della cera che avevano usato per lucidare i pavimenti.
-Sopra c'è casa mia - disse indicando una grossa scala in marmo con la ringhiera in legno scuro che occupava quasi tutta la stanza e che terminava in un grazioso pianerottolo sommerso da vasi di piante verdi.
-E qui sotto - aggiunse aprendo una porta a vetri un po' retrò - c'è la tua nuova casa.
Un odore di lavanda e naftalina mi arrivò con prepotenza alle narici e un tafferuglio di colori mi esplose davanti: pentole arancioni, tende a grandi fiori blu e rosa, soprammobili variopinti, sedie in ciliegio e librerie in noce, cassettiere in betulla e un grosso frigorifero giallo limone.
-l'arredamento è un po'... diciamo estroso -, disse Davide mentre mi mostrava le due stanze da cui era composto il piccolo bilocale, -però la cucina è nuova, l'abbiamo cambiata tre anni fa ed è stata usata pochissimo. Anche perché poi... vabbè non pensiamo alle cose tristi, ti piace?-
Annuii in silenzio, d'altra parte qualunque cosa sarebbe stata meglio che dormire in macchina.
Una volta che ebbi sistemato le mie cose, Davide tentò di invitarmi a cena su da lui ma io rifiutai così mi salutò e io restai solo.
Rimasi a guardarmi intorno per un po' ad osservare l'appartamento finché non mi accorsi che un paio di occhi gialli ricambiavano il mio sguardo.
-Tu che hai da guardare?- domandai alla piccola statuetta segnatempo a forma di gufo che mi stava fissando.
Sarebbe stato meglio accettare l'invito a cena. Pensai.
-Non avevo voglia di vedere persone- risposi al gufetto rosa come se fosse stata lui a parlare.
Come vuoi rispose, o meglio, mi figurai che rispose.
con lo stomaco brontolante e una grande pesantezza sulle spalle decisi di far finire al più presto quella giornata orribile e mi buttai sul letto.

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