-Fammi capire, tu eri come un pirla ad aspettarla e lei è entrata tra le braccia di un altro?-
-Se con: "tra le braccia di un altro" intendi "con la lingua di Matteo ficcata in gola e le mani di lui sul culo di lei", sì-
- Matteo chi?-
-Quanti Matteo conosciamo?-
Davide rimase in silenzio per qualche secondo, prima di lasciarsi sfuggire un epiteto poco carino nei confronti del nostro collega.
-Senti -, aggiunse poi, -tu sei già in ufficio? Io sto entrando nel parcheggio ora -
-Sono ancora qui sotto -.Riagganciai il telefono premendo il tasto sullo schermo e scesi dall'auto cercando di capire da quale entrata sarebbe arrivato.
Un suono di clacson mi fece voltare verso il cartello con scritto "ingresso est"; appena sotto di esso vidi l'auto di Davide e lui che mi salutava dall'interno dell'abitacolo. Con un gesto della mano gli indicai il posto libero proprio di fianco al mio e lo guardai muovere il volante con la sicurezza di un capitano al timone della sua nave, mentre la faceva scivolare con eleganza e precisione all'interno dei segni bianchi tracciati a terra.
Uscì dall'auto poco dopo giocherellando con le chiavi, prese la giacca invernale che era appoggiata con cura sul sedile posteriore, la indossò con calma e ci avviammo verso l'ufficio.
- Su, dai! Che tutto si aggiusta - Mi disse sfoggiando un sorriso un po' troppo compassionevole per i miei gusti.
- Avrei dovuto prendere a pugni Matteo -
-E a cosa sarebbe servito? -
- Mi sarei sfogato -
Lui fece una smorfia e scosse la testa per qualche attimo, poi mi chiese:
-E dopo? Cos'è successo? -
-Beh, io non ho detto più niente, ho tirato un calcio a quei cazzo di fiori, mi sono seduto sul divano e ho acceso la TV in silenzio -
- E loro? -
-Hanno farfugliato qualcosa con un tono molto imbarazzato e poi sono usciti. Credo che lei abbia passato il weekend a casa sua. -Un piccolo refolo di vento mi congelò le orecchie. Cacciai le mani nelle tasche dello smanicato e continuai a percorrere breve vialetto alberato che univa il parcheggio con la nostra azienda. Le foglie secche a terra scrocchiavano ad ogni nostro passo.
Quando arrivammo davanti alla grande porta a vetri dell'ingresso Davide estrasse con molta calma il badge e lo appoggiò sul sensore. La porta fece un sonoro "clack" e si aprì automaticamente.
Ci dirigemmo verso gli ascensori senza dire più nulla. Rimasi a fissare le venature grigie sul pavimento e ad ascoltare il rumore dei nostri passi sul marmo bianco echeggiare nella stanza vuota.
Quando fummo davanti alle porte metalliche gli dissi:
-Davide, io sinceramente non so se riuscirò a condividere la stessa scrivania di quello stronzo -
Lui annuì, mi mise una mano sulla spalla e mi disse:
- va bene dai, entro stasera o al massimo domani non sarai più vicino a lui-
-Non puoi farlo prima? -
-Non chiedermi miracoli, devo capire prima al posto di chi metterti, poi devo chiedere al reparto tecnico di spostarti il computer e lì, se ci va bene e se ne occupa il Gian, ce la caviamo in mezza giornata, ma se per caso ci tocca Antonio... Insomma devi resistere almeno una giornata-
-Ma come faccio?-
-Sai cosa diceva mia suocera? Lasa büi!, Lascia correre!-
-Fosse facile - Dissi seguendolo sull' ascensore e premendo il tasto del secondo piano.
Davide non aggiunse altro per tutta la salita, solo quando si aprirono le porte mi piantó la chiave della sua auto contro il petto e con tono perentorio si raccomandò così:
- Capisco che ora tu sia molto arrabbiato ma ricordati che questo è comunque un posto di lavoro, quindi: non fare cazzate-
mi salutò e io mi avviai verso la mia scrivania.Quando vidi Matteo già seduto alla sua postazione esitai per qualche secondo.
Lui tentò di salutarmi, ma lo ignorai, tutto quello che riuscivo a sentire era una vocina nella mia testa che continuava a ripetere: Tiragli un pugno! Tiragli un pugno! e un'altra che rispondeva: No, ricorda cosa ha detto Davide.
Allora la prima incalzava la seconda: Si, ok, però intanto tiragli un pugno.
Mi resi conto che non avevo il minimo controllo dei miei pensieri: Se da una parte avevo solo voglia di sollevarlo per il collo e sbatterlo a terra in una chokeslam perfettamente eseguita, dall'altra sentivo la voce di Davide echeggiarmi nella testa come un mentore in un film anni ottanta che mi ammoniva dicendo: non fare cazzate...ate...ate...
Per evitare di impazzire cercai di concentrarmi sulle mail in arrivo, ripetendo nella mia testa le sue parole come un mantra:
Lasa büi... Lasa büi..
lasa büi... Lasa büi...
Mentre stavo rispondendo con difficoltà al messaggio di un promotore particolarmente collerico che non riusciva a capire come mai il contratto del suo cliente era stato rifiutato, sentii la sedia di Matteo rotolare verso di me.
-Giulio, Posso rubarti un secondo? -
Lasa büi... Lasa büi...
Risposi senza togliere lo sguardo dal monitor:
Non ti è bastato rubarmi la ragazza?-
lui provò ad aprire ancora la bocca, ma io lo zittii con un "vaffanculo".
Digrignando i denti e Ignorando l'ennesima richiesta di Matteo di parlare, mi alzai e, con la scusa di offrire un caffè ad collega che stava passando proprio in quel momento, mi allontanai verso le macchinette.
Che poi, a dirla tutta, io odiavo quel collega. Aveva quel particolare tono supponente di chi aveva capito tutto del mondo e parlava solo di due argomenti: il calcio e le donne. A volte, quando voleva dimostrare di saper intraprendere un discorso più serio, parlava anche delle donne dei calciatori. Non ricordo esattamente cosa mi stesse dicendo in quel momento (probabilmente di un calciatore che aveva fatto qualcosa di spettacolare la sera prima), ma immagino che si fosse accorto del fatto che non lo stavo ascoltando, perché ad un certo punto mi chiese:
-Ué, Barbi, che hai? Hai litigato col Matthew?-
Risposi senza guardarlo, con gli occhi fissi verso il liquido nero dentro al bicchierino.
-Ho beccato Sara e Matteo insieme -
-Che sfiga - commentò.
Tutto qui? Ti sto dicendo che la ragazza con cui sto da anni mi ha tradito e tu sai dire solo "che sfiga"?
Non so se il mio sguardo fosse eloquente, ma dopo che i nostri occhi si incrociarono lui si corresse dicendo:
- Ehm... Volevo dire che mi spiace, quando è successo? -
-Venerdì-
Il dodici ottobre per essere precisi...per fortuna non avevo deciso di regalare a Sara un Carillon maledetto, pensai, e mi scappò un mezzo sorriso acido.
-Perché ridi, Barbi?-
-No, niente, è che questa storia mi ricorda un fumetto di qualche anno fa-
-Un fumetto?-
-Sì, è la storia di questo tizio che dopo essere stato lasciato dalla sua donna si trasforma in un mostro e può tornare umano solo se...-
-Barbieri, allora te le cerchi! Se alla tua età pensi ancora ai fumetti è normale che la tua donna scappa con un altro -
Probabilmente un calcio nei testicoli mi avrebbe fatto meno male di quelle parole. Mi sentii come se nel mio stomaco si fosse formato un enorme buco nero, e le parole "hai ragione" mi si bloccarono in gola, indecise se essere ricacciate giù o essere lasciate libere di uscire dalla bocca, gli occhi mi bruciavano e di sicuro non sarei riuscito a trattenermi, se il mio collega non mi avesse detto:
-Barbi, se adesso ti metti anche piangere vado dalla Gise e ti faccio prestare un assorbente-.
Ricacciai indietro le lacrime e bevvi il mio caffè senza aggiungere altro; così lui continuò:
-Dai non ci pensare, dopo il lavoro vieni con me, aperitivino sui Navigli, ti presento un paio di mie amiche e a fine serata non ti ricordi nemmeno come si chiama, quella-
Risposi senza nemmeno guardarlo.
-No, grazie, davvero, non mi interessa-
STAI LEGGENDO
Strade nella nebbia
General FictionSullo sfondo di un piccolo paese della campagna Pavese seguiamo le storie di quattro personaggi accomunati dallo stesso lavoro nella stesso bar: Giulio, il narratore nonché l'ultimo arrivato, Perennemente arrabbiato con il mondo. Alessandra, la pro...