Prologo

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-Non mi importa!- 

La voce squillante di una donna interruppe il sogno del bambino nella stanza affianco, in parte ancora avvolto dalle coperte bianche. I suoi occhi color della giada, ancora impastati di sonno, dapprima si spalancarono, poi si richiusero quasi del tutto, pieni di preoccupazione e fastidio.

Istintivamente, il ragazzino scese dal letto, i piedi scalzi incontrarono il ruvido del parquet, mentre dall'altra parte del muro, due voci, una autoritaria di uomo, e l'altra rabbiosa di donna, si urlavano imprechi ed accuse, intanto che oggetti venivano spostati o, molto probabilmente, lanciati. A cosa dicessero, oramai il bimbo non ci faceva nemmeno più caso.

Come in quelle situazioni era sua abitudine fare, diede una rapida ed incompleta risistemata al suo lettino, prima di uscire dalla camera, strusciando abbastanza rumorosamente le ciabatte a terra. 
Passò con noncuranza davanti la porta di cucina, dove i suoi genitori stavano ancora litigando, ignari di averlo svegliato. Lanciò un'occhiataccia ad entrambi. Prima alla signora dai capelli corvini, elegantemente truccata e vestita, che stava in un lato della stanza, le braccia conserte e le mani piene di oggetti, presumibilmente facenti parte della sua scorta di 'munizioni'; poi, all'uomo con il completo scuro, al momento girato di spalle, con il suo solito aspetto intimidatorio e possente. 

Passò avanti, continuando a fare rumore, coperto dalle grida che non accennavano a diminuire. Attraversò il lungo corridoio, il grosso quadro di famiglia, che rappresentava tre figure sorridenti abbracciate, lo fissò per l'intero tragitto, silenziosamente, mentre il litigio si faceva sempre più distante e sfocato. 

Doveva ancora essere molto presto, il sole non era del tutto sorto, e i pochi raggi che già sbucavano da dietro gli enormi edifici non bastavano ad illuminare la sua via, sulla quale ancora regnava l'aura misteriosa della notte passata. 
Nella sua testa, il vuoto più totale, aleggiante soltanto il ricordo del sonno spezzato poco prima.

Si era ripromesso di non pensarci troppo, ai suoi genitori. Si era giurato di abituarsi alle litigate e al loro essere severi. Si ripeteva sempre che era per il suo bene, e che entrambi lo amavano, proprio come tutti gli altri genitori amavano i suoi figli. 

Raggiunse la sua meta, una piccola scala a chiocciola in legno che conduceva in soffitta. 
Quel luogo, buio, pieno di oggetti malfunzionanti, scatoloni e attrezzi, era diventato un po' il suo rifugio, lontano dalle urla e dalle sporadiche manate di papà. Era un luogo silenzioso, confortante, che soltanto lui visitava, abbandonato dagli altri perché polveroso e pieno di ragni. Eppure lui lo adorava.
Se si arrampicava su una scatola, poteva affacciarsi alla piccola finestrella dal vetro sporco, ed osservare la città; poteva scavare tra i ricordi dei suoi genitori, indossare i vecchi vestiti del padre e giocare con i soldatini consumati, e altri oggetti dimenticati. Ogni tanto si intratteneva anche con le pagine ingiallite di antichi libri, ma poi trovava parole difficili, a lui sconosciute, e non potendo chiedere a nessuno il significato, abbandonava la lettura e si dedicava ad altro. 

Era quello che in tutto e per tutto poteva dirsi il suo posto felice. 

Salì la scalinata scricchiolante a quattro zampe, troppo basso per arrivare al corrimano, e rapidamente giunse in cima. Si guardò attorno, lasciando che gli occhi si abituassero a quella quasi completa oscurità. Le iridi scintillanti presero nota della tenda tirata davanti la finestra, e di alcuni oggetti spostati. Sbuffò infastidito, gonfiando un po' le guance. Detestava quando i suoi genitori mettevano mano nel suo 'regno'. Si sedette in un angolo, tra due grossi scatoloni, le ginocchia al petto e le braccia incrociate sopra di esse.
Restò immobile per un po' ad ascoltare il silenzio velato di imprecazioni, che flebili come un lontano ricordo gli giungevano alle orecchie, e di scricchiolii del pavimento, lasciandosi confortare dalla stanza, mentre, calde come il viso arrossato, iniziavano a scendere delle piccole lacrime cristalline dai suoi occhi, che fino a quel momento avevano con forza resistito. 

Happy Place : BokuakaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora