4

97 5 0
                                    

Tutto attorno a me era offuscato da un'accecante luce bianca, il cuore scalpitava dentro al petto, minacciando di saltare fuori. Sentivo la testa vorticare nel nulla e qualsiasi cosa comandassi, il mio corpo non rispondeva, come se non ci fosse.

<<Elizabeth>> chiamò una voce bassa e possente. Non mi ci volle molto a riconoscerla: era Dio.
Sentii il mio corpo riprendere sensibilità e l'attimo dopo stavo precipitando nel vuoto, l'oscurità che prendeva il posto della luce.
Caddi con un tonfo su di un pavimento terroso, ricoperto di erba e fango. Le mie narici percepirono subito un forte odore di terra bruciata e zolfo.
Raccolsi le mie forze e mi alzai in piedi, l'equilibrio instabile e un mal di testa pulsante, come se nulla fosse reale.
Mi girai: alle mie spalle un incendio stava lacerando gli alti alberi della foresta in cui mi trovavo, mentre procedeva verso di me ad una velocità impressionante. Iniziai a correre facendomi spazio tra i fitti tronchi degli alberi e le sterpaglie, il fuoco che ardeva alto dietro di me.
Strinsi ancora i denti fino a quando lo scenario non cambiò.
Vidi un ampio spiazzale, una radura occupata da una figura maschile di spalle vestita di nero.
Si girò leggermente verso di me, permettendomi di vedere una chioma corvina, un paio d'occhi scuri come gli abissi più profondi e un ghigno tagliente.
Un'esplosione fece divampare un incendio tre volte più grande di quello nella foresta, stavolta, però, proprio sotto ai miei occhi.

<<Elizabeth>> chiamò una voce diversa dalla precedente, più giovane, marcata e seducente.
Le fiamme continuarono ad alzarsi e in quel momento ebbi come una visione che mi tolse il fiato dai polmoni. Vidi una porta altissima, un paio di ali nere incatenate su di essa, che battevano sulla sua superficie bramando la libertà.
Tornai a vedere le fiamme e, prima ancora che potessi rendermene conto, queste mi divorarono, strappandomi un disperato urlo di dolore.
Poi il buio.

Aprii gli occhi di scatto, destandomi da un sonno nel quale non ricordavo nemmeno di essere caduta.
Gli ultimi avvenimenti bruciavano nella mia mente come carboni ardenti, quindi costrinsi immediatamente il mio cervello ad attivarsi e mi issai a sedere.
Quando misi a fuoco il luogo in cui mi trovavo ebbi un capogiro, non capii se per la sorpresa o perché mi ero alzata troppo in fretta: fatto sta che ero a casa. Più precisamente mi trovavo nel mio letto, con ogni singolo dettaglio al suo posto, persino il dolce odore di vaniglia del mio profumo preferito.
Aspettai che il mio cervello si svegliasse completamente, dopodiché mi girai verso il comodino e afferrai il mio cellulare che si trovava esattamente dove doveva stare.
Lo accesi e vidi sul display che erano le 6:30 del 12 agosto, la sveglia aveva appena smesso di suonare. Era il primo giorno del secondo anno di college.
Gettai il cellulare tra le coperte e mi presi il viso tra le mani, cercando di rimettere a posto il caos che avevo in testa.
L'ultima cosa che ricordavo era di essere stata a casa di Benjamin Dawson, capitano della squadra di football del college, nonché mio compagno di avventure sessuali. Ero andata via presto per svolgere delle commissioni e tornare a casa, poi mi ritrovai nella navata centrale della St. Mary e da lì ebbe inizio il mio assurdo viaggio dall'Inferno al Paradiso.
"Vai all'Inferno e uccidi il Diavolo", quello il chiaro ordine di Dio che continuava a risuonarmi in testa. Dopodiché rividi il dannato arcangelo Michele che mi gettava giù dal Paradiso, come se quello fosse il suo passatempo preferito.
Tolsi le mani dal viso ma lo scenario non cambiò, ero ancora nella mia stanza a Kings Cove.
Possibile che ci avessero ripensato? Che mi avessero rispedita a casa?
Un attimo dopo mi sorse un inquietante dubbio. Con un gesto rapido scostai le coperte dal mio corpo, concentrandomi sulle gambe coperte solo da un paio di cortissimi pantaloncini: nessun graffio, nessun sanguinamento, niente terra... erano immacolate.
Decisi di alzarmi, perché rimanere seduta a letto non mi avrebbe aiutato a chiarire nulla e sarei finita con l'ufficializzare la mia follia; che dopotutto era l'unica risposta plausibile a tutte le domande che mi ronzavano in testa. Ero una pazza schizzata con tanto di certificato.
Andai in bagno e mi diedi una rinfrescata nel tentativo di cancellare quelle ultime ore, reali o meno che fossero.
Tornata in camera notai che era letteralmente tutto come l'avevo lasciato il giorno prima: armadio vuoto e outfit già pronto sul baule ai piedi del letto.
Avevo due alternative arrivata a quel punto: dare di matto e uscire per strada in pigiama urlando di deliri soprannaturali, oppure vestirmi, vivere la mia normalissima vita e accettare che si era trattato di un banalissimo sogno... solo troppo vivido.
Optai per la seconda.
Come da programma indossai dei jeans leggermente larghi di un azzurro chiarissimo e una t-shirt a righe orizzontali bianche e nere che infilai dentro ai pantaloni. Semplice ma presentabile.
Mi diedi un'ultima sistemata al viso e ai capelli, che decisi di legare in una disordinata coda di cavallo, quell'effetto mi piaceva sempre da impazzire.
Indossai qualche gioiello e le scarpe e mi preparai a scendere al piano di sotto, pronta ad affrontare la furia di Michele con tutto il mio outfit da college.
Varcata la soglia della mia stanza sentii subito un buonissimo odore di french toast invadere con prepotenza l'aria del pianerottolo al secondo piano, portando una scia di zucchero, grasso e buoni propositi.

ChosenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora